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L’attesa è grande. Dal vertice sul lavoro convocato per domani da Giorgia Meloni, i sindacati si aspettano di capire cosa accadrà alla misura regina decisa un anno fa dal governo proprio nel giorno della festa dei lavoratori: il taglio del cuneo contributivo. Vale dieci miliardi per le casse dello Stato e cento euro in media in più ogni mese per le buste paga dei lavoratori che guadagnano meno di 35 mila euro lordi l’anno. Questa volta non sarà semplice finanziare la misura con il deficit. Ma se la strada dell’indebitamento fosse preclusa, da dove potrebbero arrivare i soldi? Di strade alternative ce ne sono almeno due. Le ha indicate l’Istat nella sua audizione in Parlamento sul Def: tagli di spesa o aumenti dell’Iva. Su una rimodulazione delle aliquote sui consumi è atteso, probabilmente entro l’estate, un decreto attuativo della delega fiscale a cui sta lavorando il vice ministro dell’Economia Maurizio Leo. E lo stesso vale anche per la riforma delle tax expenditures, le detrazioni e le deduzioni fiscali, altro provvedimento che potrebbe produrre gettito.

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Taglio del cuneo, il governo vuole confermarlo

Quali che siano le coperture, per ora l’intenzione del governo sembra quella di proseguire sulla strada del taglio del cuneo. Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia, ha definito la conferma della decontribuzione la «priorità numero uno». Ma, come detto, ci sono da trovare dieci e passa miliardi in un contesto in cui lo stesso governo ha avuto difficoltà a stanziare anche solo 100 milioni per un bonus da 100 euro per le tredicesime delle famiglie monoreddito. Tra i tecnici resta comunque la speranza di trovare il modo, anche nelle strettoie del nuovo Patto di stabilità, di alzare almeno un po’ il deficit, guadagnando 7-8 miliardi da destinare al taglio del cuneo. Ma è un conto difficile da fare oggi, alla vigilia delle elezioni europee e, soprattutto, in mancanza delle «linee guida» che i Paesi dovranno seguire per scrivere la prossima legge di Bilancio. È la ragione per cui il governo ha deciso di non presentare un “quadro programmatico” nel Def, il documento di economia e finanza, appena approvato. Farlo avrebbe significato alzare il velo sulle intenzioni per la prossima manovra. Dunque restano le vie alternative dei tagli di spesa e degli aumenti delle entrate. Se si seguisse la prima di queste due vie per finanziare il cuneo, ha spiegato l’Istat, il Pil si ridurrebbe marginalmente, dello 0,1%, ma i consumi delle famiglie aumenterebbero dello 0,6% e calerebbe la spesa primaria di mezzo punto (un parametro importante questo, anche per i giudizi Ue sui conti con il nuovo Patto).

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La strada

L’altra strada indicata dall’Istat è quella di un aumento dell’Iva. Una misura che spingerebbe di nuovo su l’inflazione di circa un punto, riducendo però deficit e spesa primaria. Ma, se il governo si limitasse ad alzare le aliquote, sarebbe una misura probabilmente impopolare e difficile da far digerire. Sull’Iva è molto improbabile che si vada oltre una semplice razionalizzazione del prelievo, spostando alcuni beni da un’aliquota ad un’altra. Dei “traslochi” che potrebbero comunque avere qualche effetto di gettito. Lo stesso vale per le “tax expenditures”, le detrazioni e le deduzioni che riducono la base imponibile. Anche in questo caso si tratta di un esercizio difficile e sul quale più di un governo ha fallito. Ma anche qui qualche tabù è caduto. Sulle detrazioni è già stata introdotta una tagliola a partire dai redditi superiori a 120 mila euro e che le azzera totalmente a 240 mila euro. E lo scorso anno è stata anche decisa una “franchigia” di 260 euro alle detrazioni dei redditi superiori a 50 mila euro. Ma più che tecnico il problema rischia di essere politico. Tutti i decreti attuativi della riforma fiscale è previsto che vadano a finanziare il taglio delle tasse e non quello dei contributi. Dirottare sul cuneo i fondi che il vice ministro dell’Economia Maurizio Leo sta raccogliendo con la riforma (finiscono tutti in una sorta di salvadanaio, il fondo per l’attuazione della delega), potrebbe mettere a rischio il piano fiscale del governo. Palazzo Chigi e il Tesoro, insomma, si trovano di fronte al dilemma se puntare le (poche) fiche a disposizione sul taglio delle tasse o su quello dei contributi. Sull’utilità di proseguire sulla via del taglio del cuneo, durante le audizioni al Def, più di un osservatore si è detto scettico, a partire dalla Banca d’Italia. La stessa Istat ha calcolato che il cuneo costa mezzo punto di Pil e fa salire la crescita solo dello 0,2 per cento. Inoltre con il rinnovo di molti contratti gli stipendi stanno salendo per conto proprio. Un dibattito, anche se ancora molto sottotraccia, insomma, si è aperto.

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