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Medici ospedalieri in corsia

C’è un grido di dolore verso lo stato del servizio sanitario che si è concretizzato, da ultimo, con un appello di 14 scienziati. Il documento può essere letto in due modi. Se lo vogliamo considerare come un allarme che denuncia la mancanza di finanziamento per le prestazioni che devono essere erogate, è condivisibile. Se invece si vuol dare a questo documento un carattere tecnico politico e si vuole arrivare ad un mondo distopico in cui prevalga la famelica voracità di attingere al Pnrr per spingere colossali quanto inefficaci investimenti pubblici, allora sono decisamente contrario. In sanità non mancano gli investimenti e tanto meno gli investitori. Quello che manca è la destinazione di risorse sufficienti alla spesa sanitaria corrente. È una scelta al ribasso che effettuano tutti i governi che, per attirare consenso, destinano risorse a inutili politiche distributive (per esempio coi bonus ) invece che alla sanità»:

Stefano Massaro, 48 anni, ex avvocato di diritto amministrativo, è ceo di Cerba HealthCare, tra le principali catene di poliambulatori, medicina dello sport e del lavoro, radiologia, laboratori analisi. Con l’acquisizione di Lifebrain ora conta oltre 400 centri, 32 laboratori (25 milioni di esami ogni anno), 2000 dipendenti e 5 milioni di pazienti accolti nel 2023. La sua è quindi una voce autorevole della sanità privata.

Domanda. Il sistema sanitario nazionale è in pericolo?

Risposta. Sì e non solo per i problemi demografici col conseguente aumento del fabbisogno ma soprattutto per la costante erosione del finanziamento della spesa in prestazioni sanitarie e per il maldestro tentativo di regolamentare le carriere dei medici. Più si manifesta una cultura di stampo statalista, fenomeno in fortissima accelerazione dall’inizio del periodo pandemico, più si assisterà alla regressione del servizio sanitario nazionale.

D. Il settore privato assorbendo risorse pubbliche non aggrava questa situazione?

R. È vero il contrario. La peggiore politica è quella che crea antitesi tra pubblico e privato. La sanità pubblica non è quella erogata in strutture pubbliche ma quella erogata con il denaro pubblico. Non interessa a nessuno se l’erogatore sia pubblico o privato. In realtà la situazione si aggrava ogni qual volta l’erogazione non viene affidata alle strutture più efficienti che sono quelle che si fanno bastare meno soldi per erogare più prestazioni, mantenendo eccellente il livello del servizio. Spesso le strutture private danno prova di efficienza ma mi rifiuto di cadere nella contrapposizione aprioristica e preconcetta: può benissimo essere più efficiente anche una struttura pubblica.

D. Però nel privato sembra ci sia anche chi lavora per affossare il sistema pubblico.

R. Non mi pare. Il privato non aspetta altro che essere opportunamente finanziato per poter erogare tutte le prestazioni in favore di tutti i cittadini. Se esistono liste d’attesa abnormi, ciò è dovuto alla mancanza di fondi, non alla mancanza di strutture. Al cittadino raccontano che sia opera del privato alla ricerca di maggiore redditività ma è falso. È il classico divide et impera: scatenare la guerra tra poveri ha sempre irrobustito le istanze stataliste, di destra come di sinistra.

D. Quale dovrebbe essere il giusto equilibrio tra pubblico e privato?

R. Ronald Reagan sosteneva che lo Stato, al di fuori delle proprie legittime funzioni (legislativa, amministrativa e giudiziaria) non sapesse fare nulla meglio di quanto non fosse in grado di fare il settore privato. La penso come lui. In ogni caso, stante la situazione, strutture pubbliche e strutture private dovrebbero sottostare alle medesime norme, sia in termini qualitativi che finanziari. Al contrario, nella realtà, quando una struttura privata ha il bilancio in perdita è costretta a chiudere, quando ciò accade ad una struttura pubblica si espande utilizzando altro denaro del contribuente. Questo non è un equilibrio.

D. Più in generale, quali sarebbero i rimedi per rimettere in sesto il servizio sanitario?

R. I paesi più avanzati destinano al servizio sanitario una porzione del proprio pil superiore al 10%. L’Italia è al 6,8% pur essendo il paese con l’età media più alta.  Dovremmo ancorare la spesa a quella percentuale minima trovando risorse attraverso l’abolizione di tutte quelle marchette elettorali a cui assistiamo da anni, come il Superbonus. Avere una soglia invalicabile e non negoziabile aiuterebbe anche il mondo della politica che sarebbe liberato da questa competizione clientelare.

D. Come si uscirà da talune incomprensioni tra governo e Regioni?

D. Da un lato il paese è martoriato da una complessità regolamentare dovuta alle autonomie regionali e dall’altro c’è una fortissima tensione circa l’adozione dei Lea (livelli essenziali di assistenza) e la questione aperta dei tariffari. Sulla prima questione sarebbe auspicabile una regolamentazione unica, ma spaventa che essa possa essere partorita a livello centrale. Per fare un esempio, il cittadino lombardo non è certo disposto ad accettare passi indietro disponendo di un sistema di gran lunga migliore se comparato alle altre regioni. Quanto alle tariffe, lo Stato aveva immaginato di estendere i Lea abbassando tariffe già ferme da tempo, come se non esistesse inflazione, costo del lavoro e costo degli investimenti. Si pensava di ottenere più prestazioni semplicemente pagandole meno. Questo aveva portato a un tariffario insostenibile, catapultando le Regioni nel ciclone. Il lavoro dei prossimi mesi dovrebbe consentire di addivenire a conclusioni più sensate.

D. In che modo il Pnrr potrebbe sostenere il servizio sanitario?

R. Ci si ferma ad una concezione contabile che separa gli investimenti dalla spesa corrente. Il Pnrr visto esclusivamente come una colossale mole di investimenti è uno spreco di denaro pubblico. Comprendere che una popolazione più sana sia di per sé un investimento sociale dovrebbe far rientrare alla voce «investimenti» tutti i costi relativi a prestazioni di prevenzione. La prevenzione è la grande assente nel sistema attuale. Oggi si investe solo sulle patologie. Vi sono tantissimi biomarker predittivi che saprebbero dire al cittadino come evitare per tempo una serie di patologie che potrebbero rappresentare cause di morte oltre che costituire le voci più dispendiose della spesa sanitaria. Quindi ci sono efficaci strumenti di prevenzione che andrebbero valorizzati, pure in un’ottica di risparmio.

D. Quale ruolo possono giocare le assicurazioni in campo sanitario?

R. Le assicurazioni sono la vera sanità privata. Se esse sono il frutto di una scelta individuale per ottenere una copertura ulteriore rispetto a quella garantita dal sistema sanitario nazionale, ben vengano. Se invece vestono sembianze mutualistiche, si trasformano in una doppia tassazione sull’individuo e diventano un nemico del sistema sanitario pubblico. Un’assicurazione che non hai indicato personalmente e che ti manda a ricevere assistenza in una struttura sanitaria che non hai scelto, è una mano felpata che si intrufola nel portafogli e sottrae risorse all’individuo e al servizio sanitario. Si tratta di un aspetto negativo che andrebbe monitorato e valutato con attenzione.

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