«A fronte di misure fiscali che assorbono importi sempre più rilevanti sarebbe opportuno introdurre in maniera sistematica nelle procedure di bilancio una loro valutazione ex post, da un lato, per valutare se le diverse misure sono risultate efficaci rispetto agli obiettivi perseguiti ed eventualmente poterle riorientare e, dall’altro, per verificare che le risorse collettive effettivamente impiegate non superino le stime iniziali della perdita di gettito attesa», ha detto in audizione l’Ufficio parlamentare di bilancio. «Il monitoraggio e la quantificazione ex post assumono rilevanza sotto il profilo sia della tenuta dei conti pubblici sia per l’aggiornamento degli andamenti tendenziali di agevolazioni già esistenti e per migliorare l’attività di quantificazione delle nuove misure».
Riassumendo: secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, manca in Italia una valutazione degli incentivi, come quelli edilizi o alle imprese, che permetta di capire come si stanno spendendo i soldi e se si può migliorare la spesa. Per quanto riguarda Industria 4.0, qualche valutazione è comunque uscita negli ultimi anni.
Nel 2020 Banca d’Italia ha pubblicato una ricerca, poi uscita su una rivista scientifica nel 2023, in cui sono stati valutati gli effetti economici di tre riforme, introdotte tra il 2011 e il 2017: la liberalizzazione del settore dei servizi regolamentati; gli incentivi all’innovazione, di cui faceva parte Industria 4.0; e il pacchetto di riforme che hanno innovato la giustizia civile. Secondo i ricercatori della Banca d’Italia, nel 2019 il Pil italiano era tra il 3 e il 6 per cento più alto rispetto a quello che sarebbe stato registrato se non si fossero adottate le riforme analizzate. Il contributo maggiore alla crescita dell’economia è stato dato alla liberalizzazione del settore dei servizi. Più nel dettaglio, per le stime di Banca d’Italia – che per loro natura hanno un margine di incertezza – l’effetto sulla produttività degli incentivi alle aziende avrebbe generato un aumento della produttività pari all’1,4 per cento. Per avere un ordine di confronto, la liberalizzazione dei servizi avrebbe aumentato del 4,3 per cento la produttività di questo settore.
Anche all’interno delle relazioni annuali pubblicate da Banca d’Italia negli ultimi anni sono state inserite alcune valutazioni sugli effetti di Industria 4.0. Per esempio, secondo la Relazione di Banca d’Italia per il 2017, l’impatto delle agevolazioni relative a Industria 4.0 è stato particolarmente rilevante solo sugli acquisti di mezzi di trasporto. Stando ai dati presentati, questa componente era l’unica, fra i beni strumentali materiali, ad aver superato i livelli precedenti la crisi. Al rialzo degli investimenti avrebbero contribuito anche le condizioni creditizie molto favorevoli, riconducibili all’orientamento espansivo della politica monetaria. La legge di Bilancio per il 2018 ha escluso dalle agevolazioni l’acquisto di veicoli e mezzi di trasporto.
La Relazione della Banca d’Italia per il 2017 ha anche aggiunto che in quell’anno e nel 2018 il contributo combinato delle agevolazioni fiscali alle imprese per gli investimenti, degli aumenti degli investimenti pubblici e del rinnovo dei contratti del pubblico impiego sarebbe stato complessivamente inferiore allo 0,3 per del Pil nel 2017 e allo 0,2 per cento nel 2018. Di contro, la politica monetaria ha contribuito per lo 0,9 per cento nel primo anno e per lo 0,7 per cento nel secondo.
Un altro indicatore utile per valutare la componente tecnologica di un Paese è la total factor productivity (TFP), che misura quanto efficacemente un’economia usa le sue risorse per produrre beni e servizi. Secondo il database AMECO della Commissione Ue, negli ultimi vent’anni la TFP dell’Italia è rimasta praticamente costante.
Riguardo agli obiettivi di stimolo alla spesa in ricerca e sviluppo, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha sottolineato che la crescita fra il 2011 e il 2020 è stata pari allo 0,3 per cento del Pil, passando dall’1,2 all’1,5 per cento. Nonostante l’aumento, l’Italia è rimasta al di sotto della media europea, che nello stesso periodo è salita dal 2 per cento al 2,3 per cento. Il divario è ancora più evidente se si considera che nel 2020 l’Italia è stata raggiunta dalla Grecia, un Paese che nel 2011 aveva la spesa in ricerca e sviluppo più bassa in Europa (pari allo 0,7 per cento del PIL). Questo divario non è stato colmato negli anni successivi: nel 2022 la spesa in ricerca e sviluppo dell’Italia valeva l’1,3 per cento del Pil, quello della Grecia quasi l’1,5 per cento.
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