ROMA. La destra fa il bis in Basilicata, le urne confermano ciò che era già ampiamente chiaro: il miracolo della Sardegna non si ripete, stavolta la spaccatura del centrosinistra consente a Vito Bardi di essere rieletto presidente con i voti decisivi di Azione e Iv, che nell’isola correvano a sostegno del “terzo incomodo” Renato Soru mentre in Lucania hanno scelto di appoggiare il candidato del centrodestra. Il candidato del centrodestra vince con più del 55%, staccando di molto Piero Marrese che, sostenuto dal centrosinistra, si ferma al 43%. Giorgia Meloni festeggia, ma nel centrodestra il dato forse più rilevante è quello di Fi che per la seconda volta in un mese – dopo l’abruzzo – sorpassa la Lega di Matteo Salvini e sale fino al 12%. Il centrodestra vince nonostante il calo dell’affluenza di quasi quattro punti, al 49,8% contro il 53,5% e la premier Giorgia Meloni ne approfitta per dare una lettura nazionale del voto: «I cittadini hanno voluto confermare il loro sostegno alle nostre politiche».
La leader di Fdi è generosa, parla di «vittoria del centrodestra e di tutta la coalizione», ma basta scorrere le agenzie per capire che l’umore non è lo stesso in tutta l’alleanza. Oltre a Meloni festeggia anche il segretario di Fi Antonio Tajani mentre Matteo Salvini affida il commento ad una nota della Lega: «Grande soddisfazione per i primi dati in arrivo dalla Basilicata – dice il comunicato del partito – dove si profila l’ennesimo largo successo del centrodestra unito». Poi però silenzio, l’unico “big” del partito che parla è Roberto Calderoli: «Da ministro per gli Affari regionali mi complimento con il governatore Vito Bardi».
Tajani, invece, ha tutto l’interesse a metterci la faccia: «In Basilicata ha vinto Vito Bardi. Ha vinto il candidato di Forza Italia. Ha vinto il centrodestra unito». Ma l’entusiasmo non è solo dovuto al fatto che il presidente è «di Forza Italia». Il fatto è che i voti dei partiti, appunto, premiano gli “azzurri”, come li chiamava Silvio Berlusconi. Fi passa dal 9,1% di 5 anni fa a oltre il 12%, sorpassando appunto la Lega che si ferma tra il 7% e l’8%, mentre nel 2019 era al 19,1%. Anche in questo caso, come in Abruzzo, c’è la “staffetta” con Fdi che diventa primo partito con il circa il 16%.
Il vincitore, Bardi, racconta: «Ho avuto varie telefonate, certo mi ha chiamato Meloni per congratularsi… Ora lavorerò per formare una squadra con competenze per portare a termine i programmi avviati durante la scorsa legislatura».
Ma il centrodestra forse non ce l’avrebbe fatta senza i voti dei centristi. La sola Azione ha portato in dote quasi l’8% di voti, grazie soprattutto al contributo di Marcello Pittella, ex presidente della regione ed ex Pd. Italia viva, poi, sosteneva la lista “Orgoglio lucano” che ha raccolto un altro 7% abbondante di voti. Non a caso Matteo Renzi rivendica di essere stato «il primo a sostenere Vito Bardi anche in virtù di un’antica amicizia» e aggiunge: «Il centro si dimostra determinante per vincere».
Più sobrio Carlo Calenda, che preferisce dare al centrosinistra la colpa della rottura che lo ha portato a sostenere Bardi: «Senso di colpa con il centrosinistra? No… Abbiamo come sempre cercato di costruire con le altre forze di opposizione, ma il M5s ha messo un veto e il Pd ha acconsentito».
Sull’altro fronte praticamente nessuno dei leader commenta, dato già eloquente. Del resto nessuno si faceva illusioni dopo il caos delle scorse settimane per riuscire a trovare un candidato. Solo a pochi giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle liste Pd, M5s, Verdi-Sinistra e il movimento “Basilicata casa comune” sono riusciti a convergere sul dem Piero Marrese, dopo che per i veti incrociati era stata bruciata prima la di candidatura dell’imprenditore Angelo Chiorazzo (il fondatore di “Basilicata casa comune”, sgradito al M5s) e poi quella del medico Domenico Lacerenza, osteggiato da una buona parte dello stesso Pd lucano. Uno psicodramma che si è completato con il divorzio da Azione. Uno strappo che Calenda dice di aver subito. Pina Picierno, Pd, riapre la discussione del rapporto con M5s: «Abbiamo commesso degli errori. Nel cosiddetto campo largo e nel rapporto con il M5S è necessario stabilire alcune regole».
Il risultato è una Caporetto, il Pd supera il 14% di voti, più del 2019 (quando però i voti di area erano distribuiti anche su due liste civiche) e comunque un filo sotto il 15,2% delle politiche 2022. Il M5s anche in questo caso crolla, fermandosi tra il 7 e l’8% contro il 20,2% del 2019, molto meno anche del 25% delle politiche di un anno e mezzo fa.
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