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Con il via libera definitivo delle istituzioni europee alla cosiddetta «direttiva Case Green», l’Italia si ritrova a dover mettere a punto un piano straordinario per la ristrutturazione e l’efficientamento energetico degli edifici. Ma c’è anche un altro lato della direttiva, altrettanto importante ma meno raccontato, attraverso cui i Paesi Ue dovranno raggiungere gli obiettivi fissati da Bruxelles. Si tratta di tutti quegli articoli del provvedimento relativi non alla riqualificazione degli edifici già esistenti, ma alla costruzione di quelli nuovi. Il provvedimento prevede infatti che a partire dal 2030 tutti i nuovi edifici debbano essere «a emissioni zero». Per gli immobili pubblici l’obbligo scatterà due anni prima, ossia a partire dal 2028. La sigla tecnica di riferimento è NZEB, un acronimo che sta per Nearly Zero Energy Buildings, ossia edifici ad altissima prestazione energetica in cui il fabbisogno di energia è molto basso o addirittura nullo.

Gli edifici nZEB in Italia

A dirla tutta, le novità introdotte dalla direttiva europea non produrranno un grande effetto in Italia, dove già dal 2021 tutti gli edifici di nuova costruzione (o soggetti a una ristrutturazione importante) devono rispondere ai requisiti dello standard nZEB. Alcune regioni sono state ancora più ambiziose, anticipando le scadenze fissate a livello nazionale con un decreto del 2015, negli anni del governo Renzi. In Lombardia, per esempio, l’obbligo di adeguare i nuovi edifici allo standard nZEB è scattato nel 2016, in Emilia-Romagna nel 2017 e per tutti gli edifici pubblici nel 2019. L’ultimo report di Enea, l’ente pubblico che si occupa di energia e sviluppo economico sostenibile, stima che siano all’incirca 45mila le unità immobiliari classificate come nZEB in Italia. Se si considera anche il settore non residenziale, il numero complessivo sale a 47mila. Una delle iniziative più virtuose in tal senso è il progetto Sinfonia, lanciato nel 2016 dal comune di Bolzano (e co-finanziato dall’Unione europea) per ristrutturare 12 case popolari ed efficientarle fino a raggiungere lo standard nZEB. «Quella è esattamente la direzione in cui dovremmo andare. Servono progetti di questo tipo ma su scala nazionale», spiega Giovanni Mori, ingegnere energetico, attivista per il clima e divulgatore scientifico. «In questo momento – aggiunge – abbiamo un tasso di efficientamento di circa 1% all’anno, l’obiettivo è riuscire ad andare tre volte più veloci».

Quanto emettono gli edifici

A oggi gli edifici sono responsabili di circa il 40% del consumo energetico e il 36% delle emissioni di gas serra di tutta l’Unione europea. Secondo le stime della Commissione, circa il 75% del parco immobiliare del Vecchio Continente è inefficiente sotto il profilo energetico, il che significa che gran parte dell’energia utilizzata viene sprecata. Nell’ambito del Green Deal, il pacchetto di misure ambientali e climatiche approvato nel 2019, l’Unione europea si è impegnata a rendere il settore dell’edilizia a emissioni zero entro il 2050. Una strategia che passa senz’altro dalla ristrutturazione degli edifici più vecchi e meno performanti dal punto di vista energetico, ma anche dall’adozione di standard più rigorosi per la costruzione delle nuove abitazioni.

Uno degli edifici ristrutturati a Bolzano nell’ambito del progetto Sinfonia, cofinanziato dall’Unione europea

Materiali e processi di costruzione

Per far sì che un immobile rispetti i criteri nZEB non esistono ricette o guide preconfezionate. Piuttosto, c’è un ventaglio di soluzioni già disponibili sul mercato, che permettono di migliorare la prestazione energetica degli edifici o di ridurne le emissioni in fase di costruzione. «L’11% delle emissioni immesse nell’atmosfera viene dalla produzione di cemento, acciaio e vetro», ricorda Silvia Ricci, vicepresidente di Ance (Associazione nazionale costruttori edili) con delega alla transizione ecologica. Per far fronte alla sfida della riduzione delle emissioni, sempre più costruttori stanno scegliendo i materiali di costruzione in base al Life Cycle Assessment, ossia alla valutazione dell’impatto di un determinato materiale durante il suo intero ciclo di vita. «Qualsiasi edificio oggi deve essere pensato in chiave di sostenibilità ambientale fin dalla fase di progetto», precisa Ricci. Poi ovviamente c’è da fare i conti con l’impatto del cantiere vero e proprio. «Come Ance stiamo attivando alcuni strumenti per la misurazione dei consumi nel cantiere e premiare le aziende più virtuose. Poniamo molta attenzione per esempio all’utilizzo responsabile delle risorse naturali o a chi opta per materiali di costruzione riciclati e riciclabili, oppure prodotti in impianti alimentati a fonti rinnovabili», spiega la vicepresidente dell’Ance.

Il boom dell’edilizia in legno

La ricerca di materiali alternativi al cemento ha portato negli anni al successo dell’edilizia in legno. Nel 2022 sono state 3.602 le unità abitative in legno costruite in Italia, al terzo posto in Europa dopo Germania e Svezia. Il fatturato del settore ha raggiunto i 2,3 miliardi di euro, in crescita del 15,8% rispetto al 2021. Tutti questi dati sono contenuti nell’ultimo rapporto del centro studi di FederlegnoArredo, che raduna le principali imprese del settore. A fare la parte del leone sono soprattutto Lombardia, Trentino-Alto Adige e Veneto, che da sole ospitano il 50% di tutte le aziende italiane che si occupano di edilizia in legno. «È un trend che va sicuramente attenzionato dal punto di vista economico. L’edilizia in legno – osserva Silvia Ricci – presenta molti vantaggi ma è ancora molto costosa, soprattutto per quanto riguarda la parte strutturale».

DREAMSTIME | Dal 2030 tutti i nuovi edifici residenziali in Ue dovranno essere dotati di un impianto fotovoltaico

Tante piccole centrali elettriche

Oltre alla scelta dei materiali e all’isolamento termico, c’è un terzo elemento da tenere in considerazione: la produzione di energia. La direttiva europea sull’efficientamento energetico degli edifici prevede il bando definitivo delle nuove caldaie alimentate a combustibili fossili a partire dal 2040. La principale alternativa a oggi è rappresentata dalle pompe di calore, che ricavano energia dall’ambiente esterno o dal sottosuolo e lo restituiscono alla casa sotto forma di calore con un’efficienza fino a quattro volte superiore rispetto alle caldaie a gas. «Elettrificare vuol dire anche efficientare. Potenzialmente, se sostituissimo tutte le caldaie con pompe di calore senza toccare il sistema energetico, avremmo comunque un raddoppio di efficienza», fa notare Giovanni Mori. C’è poi la questione relativa all’energia elettrica. La direttiva Ue prevede l’obbligo di installazione di pannelli solari su tutti i nuovi edifici residenziali a partire dal 2030. Un vero e proprio cambio di paradigma, che trasformerebbe le abitazioni in una rete composta da tante piccole centrali elettriche, in grado non solo di consumare energia ma anche di produrla. «C’è una norma europea, da discutere nella prossima legislatura, che prevede che ogni singola casa possa diventare un punto di accesso e vendita alla rete di energia elettrica. Questa – osserva Mori – sarà una svolta».

I vantaggi in bolletta

Al di là del contributo a ridurre le emissioni, avere case più isolate e più performanti dal punto di vista energetico permette anche di avere bollette meno salate. Secondo il rapporto Il Valore dell’Abitare – promosso da Cresme, Fondazione Symbola, Ance e European Climate Foundation – è sufficiente un salto di due soli classi energetiche per far ridurre in media del 40% la bolletta di una famiglia. Una percentuale che, tradotta in termini assoluti, è pari a un risparmio annuo di 1.067 euro se si prendono in considerazione i valori del 2022. I lavori di riqualificazione permettono poi di veder crescere il valore della propria casa. In media, stima il rapporto dell’Ance, un’abitazione ristrutturata vale il 44,3% in più di una da ristrutturare.

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