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Non c’è molta differenza tra Governi di destra e di sinistra nella lotta alla povertà e alla disuguaglianza. Rinasce sempre il vizietto di seguire lo sciagurato pensiero di Margaret Thatcher: “La società non esiste, se non come aggregato di individui e come somma di interessi individuali”. Per questo si pensa di risolvere i problemi attraverso contributi a pioggia dello Stato ai singoli cittadini saltando i corpi intermedi che sono fatti dalle persone che vivono tra le persone.

Ci si provò nel 2008 con la social card per i poveri, che fallì miseramente. È difficile immaginare un povero che si presenti a un ufficio pubblico e si faccia schedare da impiegati che non conosce, per poter ricevere aiuti.

Sull’enfatizzazione del Reddito di cittadinanza sono stati scritti fiumi di parole: un conto è un intervento emergenziale a persone in grave rischio di povertà, un altro è un incentivo a non cercare lavoro o a lavorare in nero, con il coinvolgimento di “navigator” per aiutare a trovar lavoro. Come si fa a pensare che persone impreparate, che non hanno idea del mercato del lavoro sappiano cercare un’occupazione per singoli individui che non conoscono, meglio di reti di realtà esperte, che si dedicano a questo scopo, sanno individuare bisogni formativi e le risposte necessarie, conoscendo il territorio?

Del resto, l’operazione dell’aiuto a pioggia monetaria fu tentata negli Stati Uniti negli anni 60 dello scorso secolo per cercare di aiutare i sottoproletari delle inumane periferie delle megalopoli americane. Fu un insuccesso perché senza realtà sociali organizzate e capaci di offrire aiuto, sostenendo la capacità di fare scelte e utilizzare gli aiuti, è facile che le persone e le famiglie da sole non siano in grado di gestire al meglio ciò che ricevono.

Oggi la questione si ripropone sull’alternativa tra voucher alimentari dati ai singoli individui, oppure prodotti alimentari a realtà come le Caritas, le mille piccole organizzazioni che si muovono in questo campo e un ente come il Banco Alimentare che nel 2023 ha distribuito gratuitamente oltre 115mila tonnellate di alimenti a 7600 organizzazioni partner territoriali che aiutano 1milione e 800mila persone in difficoltà.

La dotazione del FEAD (Fondo Europeo) agli enti che donano cibo ai poveri rimane stabile (circa 490 milioni per i prossimi 7 anni), mentre il Fondo Nazionale, per il 2024, destina 50 milioni che possono però essere spesi con grandi difficoltà date le diverse complessità burocratico-amministrative.

Il fatto è che il programma di voucher o card è oggi molto più finanziato degli interventi che prevedono la collaborazione con enti intermedi. L’entità complessiva è stata tre volte più grande della somma destinata agli enti che lavorano nel campo della povertà alimentare.

Il punto è che sia considerata più efficiente e sicura una interlocuzione diretta tra ente pubblico e persone bisognose attraverso i voucher, dimenticando quanto sia importante la relazione umana, la capillarità degli interventi, la capacità di raggiungere persone bisognose non raggiunte dai servizi sociali, per avviare percorsi di inclusione. Tutto questo non è possibile al semplice intervento monetario che, se non amplifica, nemmeno riduce la componente di individualismo e di solitudine – sempre implicata nel disagio economico – monetizzando il bisogno per cui, alla fine, “nessuno si fa carico di nessuno”.

Distribuire soldi a chi ne ha bisogno potrebbe sembrare la soluzione più logica. Seguire una logica di sussidiarietà orizzontale, sostenendo associazioni e comunità che si strutturano per l’aiuto ai poveri, è alla lunga molto più efficace nel ridurre povertà e disuguaglianza.

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