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Alto Garda, gli ambientalisti contro lo sfruttamento delle falesie: «L’arrampicata va regolamentata»


Un regolamento per mitigare i danni ambientali sulle falesie altogardesane da parte degli scalatori partendo da un casus belli, quello di Nago e dell’area alle Daine e diffondere il tutto in Alto Garda come esempio di buon turismo sostenibile. Le associazioni ambientaliste Wwf Trentino, Sos Altissimo di Nago che fanno parte del Coordinamento Ambiente Alto Garda e Ledro e unitamente all’associazione Lipu, lanciano un appello congiunto alle autorità locali, chiedendo interventi urgenti per regolamentare l’arrampicata sportiva nelle aree di Daine e Oltrezengol, nel comune di Nago-Torbole. «L’obiettivo – spiegano le associazioni – è proteggere queste zone di alto valore ambientale, storico e culturale, minacciate dalla crescente affluenza di appassionati di arrampicata e dall’impatto antropico che ne deriva». Il territorio in questione è caratterizzato dalla presenza di elementi naturali e storici unici, come le incisioni rupestri e i reperti della prima guerra mondiale, oltre a essere habitat di specie animali protette, tra cui il gufo reale (Bubo bubo), il rondone maggiore (Tachymarptis melba) e il picchio muraiolo (Tichodroma muraria), tutelate dalla Direttiva Uccelli. Le associazioni, pertanto, segnalano che l’aumento dell’attività di arrampicata, soprattutto nei periodi critici di nidificazione, potrebbe compromettere la sopravvivenza di queste specie, danneggiando il delicato equilibrio ecologico dell’area.
«Il costante afflusso di arrampicatori e l’assenza di una regolamentazione specifica – spiegano gli ambientalisti – rischiano di danneggiare i reperti storici presenti nelle falesie che la legge provinciale del 2001 tutela e che, in assenza di controlli e di misure di protezione adeguate, potrebbero subire deterioramenti irreversibili». La sola strada percorribile che tuteli i molteplici interessi sarebbe quella di istituire una regolamentazione dell’arrampicata in riferimento alle aree più sensibili. «Proponiamo una serie di misure concrete per mitigare l’impatto dell’arrampicata sportiva, garantendo al contempo la tutela ambientale e la sicurezza dei fruitori del territorio – sentenziano le associazioni -. Chiediamo di identificare le aree destinate all’arrampicata individuando quelle zone in cui l’arrampicata sportiva possa essere praticata in modo controllato, preservando dal punto di vista ambientale e storico le falesie». Nel regolamento, inoltre si chiede di istituire la chiusura temporanea o totale di quelle aree più sensibili sulla base di esempi virtuosi già adottati in altre regioni. «Necessario sarà istituire la chiusura temporanea o permanente di alcune falesie, per tutelare gli habitat più delicati e i siti storici di particolare interesse. Deve essere garantita la protezione di specie particolarmente vulnerabili – spiegano – attraverso la limitazione dell’accesso durante i periodi critici per la nidificazione, in particolare per il gufo reale, una specie particolarmente a rischio». Le strategie da attuare sono molteplici e riguardano anche il miglioramento della sentieristica e cartellonistica attraverso la creazione di percorsi escursionistici ben segnalati, con cartellonistica informativa che illustri le caratteristiche naturali e storiche del territorio. Infine saranno presi di mira proprio gli appassionati dell’arrampicata sportiva. «Serve una gestione della chiodatura delle falesie – insistono gli ambientalisti -. Invitiamo i chiodatori a non aprire ulteriori vie di arrampicata, soprattutto nelle aree sensibili. Scoraggiamo la pratica dall’alto, ritenuta più impattante rispetto alla chiodatura classica dal basso». Per tutte queste ragioni viene proposta la creazione di una riserva naturale locale nell’area di Daine e Oltrezengol con valore di tutela ma anche di promozione turistica responsabile e sostenibile. «Riteniamo – concludono – che vada scoperto un potenziale turistico votato alla tranquillità, al godimento di aspetti naturali-paesaggistici e al trekking storico-culturale, in particolare in un contesto come quello dell’Alto Garda dove già ora qualsiasi angolo di paesaggio è sovrasfruttato a fini turistici, arrivando spesso ad impedire del tutto il godimento delle preziosità locali alle stesse persone che sono custodi di quei luoghi: i loro abitanti, umani, e non umani».



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