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L’Australia vieta i social agli under 16


L’Australia è la prima nazione a vietare per legge l’utilizzo dei social media ai minori di 16 anni. Per la verità, la legge australiana non è un’assoluta novità. In altri Paesi, come la Francia e alcuni Stati degli USA – anche in Italia la questione è discussa – sono già in vigore disposizioni che limitano l’accesso alle piattaforme da parte dei minori senza il consenso dei genitori, ma il divieto australiano è molto più perentorio e stringente. Non che manchino le contestazioni, ricordiamo che di recente un tribunale della Florida ha esaminato il divieto in vigore in quello Stato (per gli under14), per violazione della libertà di parola. Superfluo dire che la decisione sta suscitando non poche polemiche, tra coloro che sono a favore, riprendendo un dibattito in essere anche alle nostre latitudini circa i danni che i social potrebbero provocare negli adolescenti, e chi, al contrario, denuncia un pericolo di isolamento per i nativi digitali.

Le ragioni, come sempre, non stanno tutte da una parte. Un mondo interconnesso, nel quale l’informazione, i contatti sociali e gli stessi servizi privati e pubblici sono sempre più agganciati al web e ai social, comporta che una serie di obiezioni non siano affatto peregrine, ma occorre tenere presente che parliamo di un pubblico molto sensibile, e che numerosi episodi riportati dalle cronache – come violenze, cyberbullismo, e via dicendo – destano non poche preoccupazioni, e non solo tra i genitori.

Il governo di Canberra, col sostegno di buona parte dell’opposizione, ritiene che la nuove normative abbiano innanzitutto lo scopo di tutelare la salute mentale e il benessere di bambini e adolescenti. Il disegno di legge non enuclea espressamente i social vietati, che dovrebbero essere individuati con successivo provvedimento, ma il ministro delle comunicazioni, Michelle Rowland, ha anticipato che, con ogni probabilità, TikTok, X, Instagram, Snapchat, Reddit e Facebook saranno inclusi nel divieto.

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La normativa, che entrerà in vigore un anno dopo l’approvazione definitiva, imporrà multe – fino a 49,5 milioni di dollari australiani (circa 32 milioni di dollari USA) – alle piattaforme che non adotteranno tutte le misure necessarie per impedire ai minori di creare un account, esonerando però quelle dedicate ai giochi e alla messaggistica, al pari di siti o applicativi cui si possa accedere senza necessità di un account (come YouTube e altre piattaforme dedicate a video). La sperimentazione dovrebbe partire a gennaio, per la durata di dodici mesi, per lasciare il tempo di individuare e mettere a punto le soluzione tecnologiche più idonee a garantire il rispetto delle nuove prescrizioni.

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Non manca il sostegno popolare: secondo un recente sondaggio di YouGov, il 77% della cittadinanza sarebbe a favore, con un aumento importante rispetto al 61 che si era registrato in agosto. Ed è quantomeno singolare il fatto che molti titolari delle cosiddette big tech non vedano con favore l’uso delle tecnologie da parte dei loro figli, spesso alle prese – come tanti coetanei – con quella che Alberto Contri, grande esperto di media, ha definito la “costante attenzione parziale”. Tra i supporter, troviamo il signor Wayne Holdsworth, che ha perso un figlio adolescente, Mac, suicidatosi dopo essere rimasto vittima di una truffa sessuale online.

Naturalmente, come accennavamo, non mancano i critici che, oltre a parlare dei problemi pratici di applicazione delle nuove misure, denunziano il rischio di un isolamento sociale dei minori e di privarli della socialità positiva che le piattaforme possono offrire. Una preoccupazione che è stata espressa anche da 140 tra accademici australiani e internazionali, esperti in tecnologia e benessere dei minori, che il mese scorso indirizzarono una lettera al premier Albanese. Lo stesso ha fatto Jackie Hallan, direttrice del servizio di salute mentale giovanile Reach Out, che ha criticato il disegno di legge,  ricordando che circa il 73 per cento dei minori che chiedono il loro supporto in Australia, accede al servizio tramite i social media.

L’Australian Human Rights Commission ha parlato di una legge che potrebbe violare i diritti umani dei giovani, ostacolando la loro attiva partecipazione sociale.

Le critiche, tuttavia, non sembrano smuovere il Governo, che ha precisato che le nuove disposizioni prevederanno una serie di eccezioni, come quelle collegate all’accesso ai servizi educativi.

Replicando alle critiche, il primo ministro Anthony Albanese ha parlato di “…. un problema globale”, aggiungendo che è nelle intenzioni del suo esecutivo garantire che “… i giovani australiani abbiano essenzialmente un’infanzia”, ​​e allo stesso tempo fare in modo che “… i genitori siano tranquilli”. Una battaglia sposata anche dalla News Corp di Rupert Murdoch, il maggiore editore di giornali del paese, che ha lanciato una campagna intitolata “Lasciateli essere bambini”.

Non si è fatta attendere la reazione di Meta – proprietaria di Facebook e Instagram – che ha parlato di norme incoerenti con la volontà espressa dai genitori, che chiedevano solo di stabilire controlli adeguati per poter vigilare sull’attività online dei loro figli. Snap chat, pur esprimendo perplessità, si è impegnata a rispettare la nuova legislazione, mentre TikTok per ora non ha preso posizione.

E la questione potrebbe persino avere dei risvolti sulle relazioni internazionali. Elon Musk, proprietario di X e grande supporter della prossima amministrazione Trump, ha parlato di un divieto subdolo, che potrebbe servire per controllare l’accesso alla rete da parte dell’intera cittadinanza, oltre ovviamente a ledere gli interessi dei giganti del web, per lo più domiciliati negli Stati Uniti. Preoccupazioni che, per la verità, sono state espresse anche da esperti in materia di dati personali e privacy, visto che le nuove misure potrebbe portare a una maggiore raccolta di dati personali, spianando la strada a una sorta di sorveglianza statale fondata sull’identificazione digitale. In risposta a tali obiezioni, uno degli ultimi emendamenti apportati al disegno di legge prevede che le piattaforme dovranno prevedere delle alternative al caricamento di documenti di identità, per asseverare l’età degli utenti.

Inutile dire che si parla già delle possibili strategie per aggirare i divieti. Enie Lam, una studentessa di Sydney che ha da poco compiuto 16 anni, oltre al pericolo di spingere i suoi coetanei verso il cosiddetto dark web, parla di nuovi giovani alfabetizzati tecnologicamente nell’aggirare i blocchi. Come dicevano i latini, “fatta la legge, trovato l’inganno”.

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