(AGENPARL) – Roma, 30 Novembre 2024
(AGENPARL) – sab 30 novembre 2024 STATI GENERALI ITINERANTI
PER L’UMANIZZAZIONE DELLE CURE E IL BENESSERE ORGANIZZATIVO
La Carta di Udine
Udine
30 novembre
STATI GENERALI ITINERANTI
PER L’UMANIZZAZIONE DELLE CURE E IL BENESSERE ORGANIZZATIVO
La Carta di Udine
Udine
30 novembre
Sommario
PREFAZIONE……………………………………………………………………………………………………………… 5
PREAMBOLO …………………………………………………………………………………………………………….. 7
IL SIGNIFICATO DI UMANIZZAZIONE DELLE CURE ………………………………………………………… 9
Umanizzazione delle Cure è un modello di civiltà …………………………………………………………….. 9
Umanizzazione delle Cure è accogliere i bisogni di salute della popolazione………………………… 9
Umanizzazione delle Cure è prendersi cura della persona nella sua interezza …………………….. 10
Umanizzazione delle Cure è accogliere la storia e la narrazione del paziente ……………………… 10
Umanizzazione delle Cure è promozione della salute e della prevenzione …………………………. 11
Umanizzazione delle Cure è cooperare con gli enti del terzo settore …………………………………. 12
Umanizzazione delle Cure è porre la tecnologia al servizio della persona…………………………… 13
Umanizzazione delle Cure è garantire il benessere organizzativo …………………………………….. 14
9. Umanizzazione delle Cure è favorire l’integrazione tra ospedale e territorio per la continuità
del percorso di cura ……………………………………………………………………………………………………………. 14
Umanizzazione delle cure è garantire l’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale ……….. 15
Umanizzazione delle Cure è garantire la sicurezza………………………………………………………. 16
Umanizzazione delle Cure è garantire la sostenibilità………………………………………………….. 16
Umanizzazione delle Cure è resilienza ………………………………………………………………………. 17
QUALITÀ E UMANIZZAZIONE DELLE CURE: UN LEGAME INDISSOLUBILE ………………………..19
Le declinazioni scientifiche di qualità di cura nell’Umanizzazione delle Cure …………………………….. 19
Dimensione relazionale ……………………………………………………………………………………………………… 19
Dimensione organizzativa ………………………………………………………………………………………………….. 20
Dimensione strutturale ………………………………………………………………………………………………………. 21
IL MODELLO DI CURA …………………………………………………………………………………………………23
Visione …………………………………………………………………………………………………………………………….. 23
Missione …………………………………………………………………………………………………………………………… 23
Rappresentazione grafica del modello …………………………………………………………………………………. 24
Il modello …………………………………………………………………………………………………………………………. 26
Le aree di sviluppo e i pilastri ………………………………………………………………………………………………. 28
Formazione ………………………………………………………………………………………………………………………………………….28
Ricerca…………………………………………………………………………………………………………………………………………………30
Assistenza Clinica………………………………………………………………………………………………………………………………….32
Valutazione ………………………………………………………………………………………………………………………………………….36
PREFAZIONE
L’Università degli Studi di Udine presenta la “Carta di Udine per l’Umanizzazione delle Cure e il Benessere
Organizzativo”, come documento scientifico di indirizzo che enfatizza il ruolo del Servizio Sanitario Nazionale, pilastro sociale imprescindibile. Vuole promuovere un cambio di paradigma nella filiera della salute,
costruito interamente sulla persona/paziente, ridando centralità alla dimensione umana.
Inoltre, la Carta si prefigge di condividere con il mondo accademico, con gli enti del sistema sanitario e tutte
le istituzioni e amministrazioni pubbliche, con il tessuto imprenditoriale, con la cittadinanza e le sue rappresentanze, l’evoluzione di un pensiero scientifico e sistemico, che pone le sue radici sugli aspetti etici e morali
del “prendersi cura delle persone” in una visione comunità centrica.
La Carta è frutto di un progetto in evoluzione denominato “Salute e Umanizzazione delle Cure: un modello
di innovazione sociale per una Sanità di Eccellenza”. Nasce quindi da una profonda riflessione riguardo il
rapido progresso della Medicina e della Chirurgia, che riconosce le sue basi nella formazione, nella ricerca,
nell’innovazione e nell’utilizzo consapevole delle tecnologie, e considera necessariamente l’Umanizzazione
delle Cure come principio fondante. A tale scopo, si punta a rafforzare il significato di presa in carico globale
della persona, integrando la prospettiva clinico-assistenziale con quella organizzativo-gestionale.
Questo documento, supportato da solide basi scientifiche, viene presentato per avviare un dialogo costruttivo, al fine di potenziare la rete di promozione della salute, di prevenzione e di cura delle malattie. La crisi
impone il cambiamento: ora è il momento di diffondere un nuovo modo di essere della Sanità pubblica, è il
momento di rimetterci in gioco e di pensare a un nuovo Rinascimento, volto a creare le premesse per una
adeguata accessibilità alle cure, restituendo al sistema agilità e qualità, caratteristiche che permettono di
rispondere alle sfide e ai bisogni di salute della popolazione nella rapida evoluzione sociale che stiamo vivendo. La “Carta di Udine” si rivolge a tutti gli operatori sanitari che, con diversi compiti e competenze, partecipano quotidianamente alla costruzione della filiera della salute, che può essere potenziata garantendo
la presa in carico globale del paziente e investendo nel benessere della persona. Per realizzare questo ambizioso progetto è necessario che la squadra dell’ecosistema della salute comprenda diverse figure professionali e nuove competenze da affiancare agli operatori sanitari: informatici, statistici, ingegneri gestionali, ingegneri clinici, ingegneri fisici, sociologi, biotecnologi, giuristi, economisti, project manager, rappresentanti
del terzo settore e tutte le figure che cooperano alla costruzione della Medicina a 5 P (Preventiva, Predittiva,
Partecipativa, Personalizzata, di Precisione).
L’impegno è di diffondere la cultura della Salute quale bene sociale da cui non si può prescindere, promuovendo scelte strategiche atte a rispondere in maniera innovativa e sinergica al contesto sociale ed epidemiologico, sia sul piano clinico-assistenziale che su quello organizzativo-gestionale.
La Carta si apre con un preambolo della prof.ssa Luigina Mortari, Ordinario di Epistemologia della Ricerca
qualitativa e di fenomenologia della cura presso l’Università degli Studi di Verona, e prosegue nella declinazione dell’Umanizzazione delle Cure in chiave moderna, scandita in 13 punti; affronta poi il concetto di qualità in una dimensione scientifica, per concludere con la riflessione sul nuovo modello di cura. La “Carta di
Udine” è un lavoro di squadra, realizzato a più mani, da professionisti che hanno prestato competenze e
conoscenze al servizio di un obiettivo comune: dare voce ad una visione di sistema per il bene della società.
Dedicato a Piero Angela, per essere al servizio di scienza e umanità… “Ho fatto la mia parte. Fate la vostra”
Massimo Robiony
PREAMBOLO
La cura è una primarietà esistenziale, perché senza cura la vita non può essere conservata, attuata nella sua
pienezza e riparata quando il dolore del corpo o dell’anima sommergono l’essere umano.
La cura è imposta dalla qualità del nostro esserci che, da quando entra nel tempo della vita, si trova ingombrato del compito di dover divenire il proprio poter essere. Non ci è dato di vivere con leggerezza. Da subito,
da quando col nascere è toccato dalla luce, il nostro venire a essere nel mondo è appesantito dal compito di
dover avere cura della vita. L’essere umano è un essere incompiuto, mancante cioè di una forma finita, e
viene al mondo già da subito sobbarcato del compito di divenire il suo proprio poter essere e a esso dare una
forma pienamente umana. Proprio per questo dover rispondere positivamente alla chiamata a essere l’essere umano, è dotato di energia, un’energia vitale che trova espressione nel pensare e nel dire, nel sentire e
nell’agire. Ma noi non semplicemente viviamo così come ci accade di vivere, ma siamo mossi da un’intima
tensione, a vivere una vita buona. Un’intima e strutturale tensione, perché ognuno di noi viene nel mondo
con questa tensione depositata nell’anima.
Quello che cerchiamo tutti è una buona qualità della vita. Tutti siamo alla ricerca di un sentiero per percorrere il tempo della vita nel modo migliore possibile. Non ci è dato, va cercato; va cercata una mappa di azioni
per dare la migliore forma possibile al nostro tempo. Cercare con il pensiero la forma da dare al tempo
dell’esserci e poi cercare quelle azioni che realizzano la visione di una vita buona è il lavoro di cura di sé.
Ma questo lavoro del vivere, che in certi momenti può diventare arte dell’esistenza, è un compito difficile
perché deve fare i conti con la debolezza ontologica. Siamo esseri potenti e deboli allo stesso tempo: siamo
potenti perché dotati di energia, quell’energia che ci consente di poter essere, di poter dare forma all’inedito,
ma anche deboli, perché non ci è data sovranità sull’esistenza, perché siamo condizionati rispetto al mondo
fisico e sociale in cui ci troviamo a essere, perché dipendiamo dagli altri. Queste qualità ontologiche, che
rendono la condizione umana intensamente problematica, sono alla radice della necessità di ricevere cura
dagli altri e reciprocamente di avere cura degli altri: avere cura della vita per conservarla, farla fiorire e ripararla quando il ritmo armonico dell’esserci entra in crisi nel corpo e/o nell’anima.
Oltre alla cura della comunità, nella prospettiva di realizzare il bene comune in cui si realizza la politica, alla
cura educativa, che si occupa di promuovere il pieno fiorire delle possibilità di ciascuno, di essenziale importanza è la cura della salute che si attua nelle strutture sanitarie.
La cura sanitaria è quella che si occupa di conservare e di riparare lo stato di salute di ogni persona, secondo
i principi del rispetto per l’altro, di benevolenza intesa a procurare ciò di cui l’altro ha necessità, e dell’equa
ripartizione delle risorse. Un buon livello di cure concepisce il paziente non solo come un utente cui devono
essere fornite le terapie, ma come una persona nella sua unità inscindibile di mente e corpo.
Il corpo che noi siamo è cosa massimamente vulnerabile, perché il suo funzionamento può incepparsi e
quando questo accade si ha esperienza della sofferenza. Non c’è solo il dolore del corpo, ma anche quello
della mente. Ci sono sofferenze momentanee che accompagnano il tempo quotidiano, lasciando accadere
il ritmo consueto dell’esistere; ci sono sofferenze che, intermittenti o continue, assorbono l’energia vitale,
rendendo necessario un supporto continuo.
Un buon sistema sanitario è quello capace di rispondere alle richieste di salute di ogni cittadino per consentire a ciascuno di vivere una buona qualità della vita. A questo scopo diventa essenziale una politica che persegue la più intensa ed elevata umanizzazione della cura.
Il rinnovamento dei servizi sanitari nella prospettiva di una umanizzazione della cura dovrebbe avvenire su
più livelli, investendo sia sul capitale materiale sia su quello immateriale con:
– strutture fisiche;
– risorse materiali e tecnologiche;
efficacia organizzativa;
elevata competenza dei professionisti della cura;
elevata competenza dei manager e del personale amministrativo che gestiscono i servizi.
Strutture fisiche: va garantita l’adeguazione degli ambienti fisici agli standard che definiscono una buona
qualità della vita (hospital design; emotional design).
Risorse materiali e tecnologiche: una struttura sanitaria di qualità offre agli utenti un buon servizio di ristorazione, capace di differenziarsi anche secondo una prospettiva multiculturale; si preoccupa di garantire un
livello di strumentazione tecnologica di elevata qualità; si organizza secondo i principi della sostenibilità ambientale.
Efficacia organizzativa: l’organizzazione del contesto viene pianificata in modo tale da facilitare la relazione
fra tutti i soggetti coinvolti nella cura (pazienti, personale sanitario, caregiver, personale amministrativo) e
tale da offrire le prestazioni migliori nei tempi e nei modi giusti. A chi opera dentro la struttura sanitaria va
garantita un’organizzazione tale da poter conciliare i tempi del lavoro con i tempi della vita privata.
– Al personale amministrativo va offerta la possibilità di una formazione continua che sappia incrementare non solo le competenze tecniche specifiche di ogni ruolo, ma anche le competenze relazionali che
sono essenziali per costruire una buona relazione con tutti coloro che entrano nelle strutture sanitarie.
Chi occupa posizioni dirigenziali deve poter contare su iniziative di formazione capaci di promuovere
una buona leadership.
– Ai professionisti della salute (medici, infermieri, ecc.), da cui dipende la qualità delle cure erogate, va
garantita un’elevata offerta di esperienze formative capaci di superare i limiti di una formazione iniziale
spesso carente sul piano delle competenze umanistiche.
L’Umanizzazione delle Cure ha un’assoluta necessità di professionisti che hanno cura di:
– incrementare le competenze scientifiche e cliniche;
– coltivare il pensare in modo da sottrarlo a ogni forma di declinazione tecnicistica;
– sviluppare le competenze relazionali indispensabili a qualificare la relazione con i pazienti, i caregiver, i
colleghi;
– perfezionare le competenze di moral reasoning per affrontare le situazioni altamente problematiche e i
dilemmi etici che insorgono nella pratica quotidiana.
Poiché la qualità di umanizzazione delle cure dipende in gran parte dal clima relazionale, è essenziale che
tutti coloro che operano nelle strutture sanitarie dedichino tempo alla formazione etica al fine di garantire
un’elevata ecologia delle relazioni. Da parte del servizio sanitario vanno garantite forme di consulenza etica
che supportano il personale nei delicati processi decisionali.
Gli orientamenti che costituiscono i driver della società attuale – individualismo, logica mercantile, scientismo e burocraticismo – non devono mai intaccare le scelte che orientano la politica sanitaria, che sempre
deve mettere al centro la salute dei pazienti e la qualità della vita dei professionisti della salute.
Luigina Mortari
IL SIGNIFICATO DI UMANIZZAZIONE DELLE CURE
L’Umanizzazione delle Cure rappresenta la visione omnicomprensiva del prendersi cura che si articola nella
prospettiva relazionale, nella prospettiva tecnico-professionale, nella prospettiva organizzativa e nella prospettiva strutturale. Rispondere ai bisogni di salute della popolazione diventa una strategia d’azione complessa, che richiede la considerazione profonda di diversi temi che necessariamente devono essere integrati
fra loro. Pertanto, l’Umanizzazione delle Cure rappresenta, nella sua interezza, diversi significati.
1. Umanizzazione delle Cure è un modello di civiltà
Umanizzazione delle Cure significa mantenere vivo, nelle persone che abbiamo in cura, l’amore per
la propria vita oltre che per la propria salute. Questo compito prezioso ed insostituibile è affidato
agli operatori sanitari. Essi hanno l’obbligo di suscitare, qualora sia andata persa, o rafforzare, qualora si sia affievolita, la convinzione che ciascuno di noi, seppure in condizioni di fragilità fisica o psichica, rimane un bene insostituibile per la comunità umana. La persona malata, anche se fragile o in
condizioni di dipendenza, non per questo vede diminuita la sua dignità, se qualcun altro non ne è la
causa. Non deve mai e per nessun motivo accadere che chi è operatore di salute susciti un sentimento di inutilità o di inferiorità nella persona malata. “La dignità è nello sguardo di colui che cura”
(Harvey Max Chochinov).
È importante insegnare a vivere l’esperienza della malattia e della dipendenza dall’altro come una
parte della propria storia, mantenendo sempre viva in ciascuno la speranza in una condizione di salute migliore e in una guarigione quando possibile. Il medico, l’infermiere e tutto il personale di assistenza debbono aver chiaro che per le persone affidate alle loro cure “la sofferenza è intollerabile
solo quando non interessa a nessuno” (Cicely Saunders).
Umanizzazione delle Cure vuol dire fare esperienza di solidarietà, educare al rapporto intergenerazionale, generando modelli relazionali utili anche al di fuori del contesto sanitario.
L’Umanizzazione delle Cure genera fiducia; rappresenta un modello di civiltà e una opportunità di
crescita per la società intera.
Uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una
cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma
non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te.
Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. Un femore
rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha
bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare
qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando
serviamo gli altri. Essere civili è questo. (Ira Byock)
2. Umanizzazione delle Cure è accogliere i bisogni di salute della popolazione
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il concetto di salute come “una condizione
di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità”, che assume una connotazione sia individuale (persona) che collettiva (comunità).
Pertanto, l’Umanizzazione delle Cure fa necessariamente riferimento a un’etica amica della persona, in quanto attitudine esistenziale dei soggetti coinvolti verso il miglioramento delle condizioni
di vita, per sé e per gli altri (medicina di iniziativa).
L’organizzazione dei servizi sanitari deve altresì fondarsi sulla centralità della persona, considerata
nella sua duplice veste di cittadino e paziente, oltre che di professionista della salute. Questa prospettiva è fondamentale per garantire la qualità dell’assistenza erogata. Di conseguenza, organizzazione e qualità dell’assistenza costituiscono i pilastri della filiera sanitaria e dell’intera economia
della salute, che richiedono un approccio basato sulla co-progettazione e cooperazione tra i principali attori della società civile: mondo accademico, settore imprenditoriale, decisori politici e istituzioni pubbliche, popolazione.
La creazione di sinergie sistematiche tra ricerca, industria e settore pubblico facilita i processi di miglioramento e innovazione, promuovendo una condivisione proattiva di conoscenze ed esperienze
che si concretizza in azioni. Una partecipazione democratica e inclusiva della società civile rafforza
l’impatto sociale e amplia la capacità del sistema sanitario di rispondere in modo efficace e sostenibile ai bisogni della collettività, anche rappresentata dall’associazionismo non-profit e dagli Enti del
Terzo Settore.
3. Umanizzazione delle Cure è prendersi cura della persona nella sua interezza
L’Umanizzazione delle Cure, nel prendersi cura della persona nella sua interezza, recupera il senso
etimologico del termine cura ovvero ‘premura’, facendosi carico anche delle dimensioni psicologica,
relazionale e valoriale della persona, evitando di limitarsi nel trattare esclusivamente la malattia. Il
riconoscimento e il rispetto della dignità di ogni persona passano attraverso i principi bioetici di beneficenza e non maleficenza (fare del bene e non recare danno), autonomia e giustizia, cui consegue
garanzia di appropriatezza, proporzionalità, diritto all’autodeterminazione ed equità di accesso. In
tal senso, l’Umanizzazione delle Cure si integra con la visione One Health, che riconosce l’interconnessione tra salute umana, salute animale e salute dell’ecosistema, promuovendo un benessere sostenibile e integrato. La visione One Health rafforza l’idea che la salute individuale dipende anche
dalla qualità dell’ambiente e dal rispetto delle risorse disponibili.
Pertanto, prendersi cura della persona nella sua interezza stimola la progettazione di percorsi clinico-assistenziali confortevoli e appropriati: competenze professionali, tecnologia e luoghi di assistenza sono al servizio della persona, consentendo di realizzare – nonostante la malattia – la miglior
qualità di vita possibile, nel rispetto della sua dignità e dei suoi valori.
Questo paradigma olistico si concretizza nella definizione di percorsi diagnostici, terapeutici, assistenziali e riabilitativi:
– orientati quanto più possibile alla persona, considerata nella sua interezza fisica, sociale e psicologica e pianificati secondo appropriatezza;
– declinati secondo l’approccio innovativo basato sulle 5P della Medicina: Personalizzata, Predittiva, Preventiva, Partecipativa e di Precisione;
– capaci di garantire sicurezza e alta qualità delle cure, integrando competenze diverse, assicurando continuità lungo l’intero percorso di cura;
– capaci di coinvolgere la persona e i propri familiari, quali soggetti attivi nei processi di cura;
– finalizzati alla co-creazione di benessere e salute per tutti gli attori del sistema.
4. Umanizzazione delle Cure è accogliere la storia e la narrazione del paziente
L’Umanizzazione delle Cure consiste nell’accogliere la storia e la narrazione del paziente, riconoscendo il valore unico del suo vissuto e delle sue esperienze. Questo approccio va oltre la semplice
cura dei sintomi: implica ascoltare attivamente il paziente, comprendere i suoi valori, le paure, le
speranze, le aspettative. La narrazione personale diventa così parte integrante del percorso terapeutico, permettendo agli operatori sanitari di vedere il paziente nella sua interezza, come una
persona unica e completa, non solo come un caso clinico. Accogliere la storia del paziente significa
costruire un rapporto di fiducia, dove il paziente si sente rispettato e coinvolto nelle decisioni che
riguardano la sua salute. Ciò consente di creare un ambiente di cura empatico, in cui l’aspetto umano
è centrale e ogni intervento medico è adattato alle specificità del singolo individuo. La Medicina
Narrativa è la metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata sulla narrazione: strumento comunicativo fondamentale per acquisire, comprendere e integrare le prospettive di tutte le persone
che intervengono nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura).
La Medicina Narrativa si integra con l’Evidence-Based Medicine (EBM), rendendo le decisioni clinicoassistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. Come dichiarato dall’Istituto Superiore di Sanità, la narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile
della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle
scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura. La Medicina Narrativa rende il processo di guarigione non solo un percorso medico, ma un’esperienza che
tiene conto della dignità e dell’unicità di ogni paziente, concretizzando il significato di umanizzazione delle cure attraverso “competenze, che permettono di riconoscere, recepire, interpretare le
storie di malattia e agire in risposta alle stesse”.
5. Umanizzazione delle Cure è promozione della salute e della prevenzione
La promozione del mantenimento della salute a tutte le età e la prevenzione di patologie dovute a
fattori di rischio modificabili sono azioni strategiche che mirano a migliorare il benessere delle persone e della società e a ridurre l’incidenza delle malattie.
La promozione della salute è un intervento volto a migliorare il benessere e la qualità della vita delle
persone attraverso l’educazione alla salute, l’alfabetizzazione sanitaria, la promozione di stili di vita
sani, la protezione dell’ambiente, il supporto alla salute mentale, il supporto alla riduzione delle disuguaglianze e al benessere sociale. Si integra nel modello di salute bio-psico-sociale che qui si declina anche alla responsabilità compartecipata del cittadino: diritto del singolo a vivere in ambienti
che promuovono salute, ma anche dovere del singolo a scelte di vita sane generative di salute e benessere sociale. La salute come diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione Italiana (art.32)
può così pienamente realizzarsi e armonizzarsi in un contesto culturale bioetico partecipato che
abbraccia non solo la salute dell’uomo, ma anche dell’ambiente e della società in cui vive. Si basa su
una visione integrata e olistica della salute e del benessere dell’uomo, che include fattori fisici, mentali, sociali, ambientali e culturali, elementi essenziali dell’agenda europea PNRR. Si concretizza in
un processo che mira a promuovere e a rafforzare negli individui, sin dalla giovane età, l’educazione
alla consapevolezza e alla conoscenza dei funzionamenti biologici e psico-sociali dell’uomo e degli
altri organismi in relazione con l’ambiente, per sviluppare aderenza all’adozione di stili di vita sani e
alla responsabilità per la propria salute e per quella della comunità. La promozione della salute in un
modello di educazione, formazione e sostegno continui rappresenta una parte importante del cambiamento culturale e sociale necessario a consentire l’invecchiamento in salute o healthy ageing
della popolazione, ovvero il mantenimento del benessere fisico e mentale per quasi tutta la vita.
L’obiettivo è creare le condizioni per permettere a ognuno di raggiungere il massimo potenziale di
salute, promuovendo una responsabilità condivisa tra individui, comunità e istituzioni.
La prevenzione delle patologie, che rappresenta l’altro pilastro del cambiamento verso l’invecchiamento in salute della popolazione, si focalizza su interventi specifici per evitare o ridurre l’insorgenza
delle principali malattie metaboliche, cardiovascolari e degenerative, declinandosi in prevenzione
primaria, secondaria e terziaria.
La prevenzione primaria comprende tutti gli interventi destinati a ridurre l’incidenza delle malattie
nella popolazione; combatte le cause e i fattori di rischio modificabili.
La prevenzione secondaria mira alla diagnosi precoce delle patologie, con particolar riguardo agli
individui ad alto rischio, e mira a ridurre l’insorgenza di patologie gravi, a garantire trattamenti meno
invasivi e, là dove possibile, la guarigione.
La prevenzione terziaria è rivolta a ridurre la gravità e le complicazioni di malattie ormai diagnosticate, e mira alla riduzione del rischio di recidiva e della progressione di malattia.
Una strategia che permetta di integrare la promozione della salute e la prevenzione delle malattie è
fondamentale per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Studi nell’uomo di Luigi Fontana sostengono che è possibile avere una popolazione che invecchia in modo attivo e in salute, riducendo così il carico assistenziale sul sistema sanitario. In questo modello virtuoso, ogni individuo
è una risorsa per la società e contribuisce alla sostenibilità delle cure e alla riduzione delle disuguaglianze. Le persone che mantengono uno stato di benessere fisico e mentale richiedono meno interventi sanitari e un minor impiego di risorse sociali, consentendo al sistema di concentrarsi maggiormente sulla cura delle condizioni più gravi o inevitabili o dei soggetti fragili.
Tale cambiamento culturale richiede la creazione di sinergie e strategie condivise, in primis, tra le
Istituzioni e gli Enti pubblici che rappresentano il mondo della Sanità, dell’Istruzione e dell’Università
e poi con la rete del Terzo settore. Il cambiamento culturale e sociale per essere pienamente realizzato deve infine coinvolgere il tessuto economico-produttivo, compresi i settori turistico e tecnologico, per la creazione di beni e servizi che promuovono salute, benessere e qualità di vita.
6. Umanizzazione delle Cure è cooperare con gli enti del terzo settore
Gli Enti del Terzo Settore – nella loro pluralità di forme giuridiche e organizzative, incluse le organizzazioni di pazienti – sono a pieno titolo attori dell’ecosistema salute, come emerge anche dall’evoluzione del quadro normativo che ne ha progressivamente rafforzato il ruolo, muovendo dal riconoscimento che “le associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzionali del SSN nei
modi e nelle forme stabiliti dalla presente legge” (art 1 L.833/78) alla “partecipazione dei cittadini e
delle loro organizzazioni in fase di programmazione e valutazione dei risultati conseguiti dai servizi sanitari” (art 14 D.Lgs 502/92), fino al riconoscimento della “partecipazione ai processi decisionali del Ministero della Salute degli Enti (associazioni o organizzazioni di pazienti o cittadini impegnati in tematiche sanitarie)”, ovvero della partecipazione alle politiche sanitarie (Atto d’indirizzo
MS 2022). Una dinamica evolutiva che nelle Reti di Patologia ha trovato uno dei punti più avanzati
del fenomeno di partecipazione e coinvolgimento degli enti non-profit, con la finalità di promuovere
la massima integrazione dei soggetti coinvolti nella presa in carico dei malati. Nell’area oncologica
in particolare, le organizzazioni di pazienti sono riconosciute formalmente come articolazione delle
Reti Oncologiche, tanto che il funzionamento di queste ultime viene assicurato solo in “presenza
dell’effettiva rappresentatività delle associazioni pazienti”. La maturità raggiunta dalle organizzazioni di pazienti è tale da poterle “porre in modo efficace come interlocutori nelle fasi progettuali
e organizzative degli interventi sanitari” (Revisione LG organizzative e raccomandazioni per la Rete
Oncologica 2019). Le organizzazioni di pazienti, e più in generale gli ETS, sono oggi dunque in grado
non solo di svolgere le preziose attività tradizionali di supporto e aiuto alle persone malate e ai loro
familiari/caregiver, ma anche di agire a diversi livelli istituzionali: dalla co-progettazione dei servizi
al monitoraggio e valutazione dell’efficacia complessiva dell’assistenza, attraverso parametri relativi alla qualità di vita dei pazienti; dalla capacità d’intercettare bisogni inespressi e portarli all’attenzione delle autorità competenti (azione di advocacy), favorendo iniziative per rispondere al meglio,
fino al coinvolgimento nei Comitati Etici e nella ricerca clinica. Un ruolo multidimensionale e
multifunzionale che rende gli ETS partner strategici per concretizzare nuove soluzioni nella salvaguardia dell’universalità delle cure e nella ricerca di sostenibilità del SSN.
7. Umanizzazione delle Cure è porre la tecnologia al servizio della persona
L’avvento della tecnologia e l’introduzione dell’intelligenza artificiale stanno aprendo nuovi e preoccupanti scenari per quel che riguarda l’attenzione al prendersi cura. La paura che un sistema fondato
sulla gestione umana come quello della Salute possa soccombere all’innovazione tecnologica, con
l’introduzione caotica di tecnologie sfuggite al controllo e all’approccio epistemologico e che rispondano solamente a logiche tecnocratiche ed economiche, è molto forte.
Il crescente ruolo delle nuove tecnologie in ambito sanitario e il loro utilizzo non può prescindere
dall’intelligenza umana. È necessario trasferire il significato di umanizzazione attraverso un percorso
emotivo, relazionale e formativo pratico per prepararsi a rispondere alle necessità di salute delle
persone, azione costruita anche attraverso l’innovazione, la tecnologia e l’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale, prima di entrare nel nostro mondo, deve rispettare eticità e responsabilità,
deve essere trasparente e comprensibile, deve andare nella direzione di una sostenibilità a favore
del genere umano, non deve creare entropia in un sistema complesso come quello della salute. Tale
condizione possiamo ottenerla solo attraverso l’educazione e la formazione inclusiva che tenga
conto delle diversità culturali e sociali. Diventa fondamentale attuare un profondo ragionamento sul
valore etico della tecnologia che valorizzi la dimensione umana dei professionisti della salute. Concretamente, significa applicare alle buone pratiche tutte le opportunità offerte dall’innovazione tecnologica, compresa l’intelligenza artificiale, rispettando l’etica e la morale.
Nella filiera della salute, che deve garantire la presa in carico globale del paziente, vanno compresi
tutti i professionisti che vogliono dedicarsi in maniera diretta o indiretta alla tutela della dimensione
umana. Proprio per questo motivo, diventa ormai fondamentale formare e giovarsi di molteplici figure professionali, diverse da medici e infermieri, per un vero lavoro di squadra: informatici, esperti
di robotica esperti di Intelligenza Artificiale (AI), esperti di analisi dei dati, di statistica sanitaria e di
controllo della qualità, ingegneri gestionali, ingegneri clinici, fisici, sociologi, psicologi, biotecnologi,
esperti legali, project manager, volontari del terzo settore e figure rivolte al sociale che cooperano
alla costruzione della medicina a 5P (Personalizzata, Predittiva, Preventiva, Partecipativa e di Precisione).
Il nuovo professionista sanitario deve avere la capacità di usare le tecnologie in modo creativo, non
solo per migliorare l’efficacia terapeutica e organizzativa, ma anche per aumentare la disponibilità
di tempo da dedicare alla relazione con il paziente, facilitando la comunicazione e le interazioni.
Tecnologie come la pianificazione chirurgica virtuale (virtual surgical planning), ad esempio, permettono di supportare le descrizioni verbali con immagini realistiche, migliorando la comprensione da
parte del paziente e rendendo il consenso realmente informato.
In tal modo, si aderisce ai principi espressi nell’art.1 della L.219/2017, che sottolineano l’importanza
della fiducia reciproca alla base dell’espressione del consenso, considerato non un semplice contratto, ma un accordo basato sulla comprensione e la partecipazione. Questo approccio bilancia il
modello paternalistico con quello puramente informativo, creando una relazione medico-paziente
più partecipativa e consapevole.
Il ricorso alla tecnologia digitale, ivi compresi gli strumenti di telemedicina, potrebbe ingenerare il
rischio di iniquità d’accesso per le persone anziane o poco avvezze all’uso digitale. I cittadini che
hanno già familiarità con questi strumenti e ricevono adeguata formazione possono diventare risorse preziose per promuovere e diffondere l’utilizzo efficace di tali strumenti. In questo modo, le
tecnologie digitali non solo facilitano l’accesso ai servizi sanitari, ma lo estendono a favore di quei
cittadini che vivono in aree periferiche meno servite.
Pertanto, costruire una visione definita tecno-umanesimo significa permettere ai professionisti della
salute di facilitare l’integrazione tra le competenze, generando interconnessioni tra discipline diverse che ambiscono a creare un nuovo modello di prevenzione, diagnosi e cura.
8. Umanizzazione delle Cure è garantire il benessere organizzativo
Il termine benessere si definisce come uno stato fisico, mentale, affettivo, cognitivo, economico, sociale, culturale e spirituale che caratterizza la soddisfazione nella vita e si fonda su alcuni standard
che orientano le persone nel determinare ciò che è positivo per la propria esistenza. Questo approccio è insito nella visione salutogenica descritta da Aaron Antonovsky, che sottolinea la necessità di
studiare la genesi della salute, almeno tanto quanto si studia la genesi delle malattie (patogenesi),
e di comprendere l’importanza di costruire un senso di coerenza e di orientamento comprensibile,
gestibile e significativo verso la vita, a livello individuale e a livello collettivo.
Tale approccio si inserisce come condizione imprescindibile nella gestione degli Enti dei Sistemi Sanitari Regionali, dove il benessere organizzativo rappresenta la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutti i professionisti che operano al
suo interno.
La rete Health Promoting Hospitals & Health Services (HPH), avviata dall’OMS, persegue il modello
di salutogenesi e di promozione della salute nel setting sanitario, tramite l’utilizzo di standard e strategie orientate alla qualità delle cure. La rete HPH costituisce un framework essenziale per promuovere la salute nel setting sanitario. In questo contesto, il benessere organizzativo e individuale del
personale sanitario emerge come elemento centrale: garantire ambienti di lavoro salubri e soddisfacenti è fondamentale non solo per il benessere degli operatori, ma anche per migliorare la qualità
dell’assistenza ai pazienti. La rete HPH si impegna a sostenere strategie che favoriscano la salute
psicofisica degli operatori, attraverso interventi mirati alla riduzione dello stress, alla gestione delle
emozioni, alla creazione di un clima di collaborazione e supporto e di condizioni di crescita del benessere organizzativo in parallelo a quello personale, per rimotivare la fiducia fra operatori e cittadini e fra operatori e professione. A tale scopo la rete HPH nel 2024 ha attivato una task force Internazionale denominata Well-being of Healthcare Workers, finalizzata al confronto e condivisione dei
più efficaci percorsi di salutogenesi e di empowerment dei sistemi sanitari. Così facendo, la rete HPH
contribuisce a costruire una cultura sanitaria più empatica e sostenibile, che valorizza la persona e
rende l’ospedale un luogo promotore di salute per chi cura e per chi viene curato.
9. Umanizzazione delle Cure è favorire l’integrazione tra ospedale e territorio per la continuità del
percorso di cura
L’Umanizzazione delle Cure si realizza attraverso l’integrazione tra ospedale e territorio, fondamentale per garantire continuità e qualità nel percorso di cura del paziente. Questo approccio riconosce
che la cura non si esaurisce all’interno dell’ospedale, ma deve proseguire anche una volta che il paziente ritorna nella propria comunità e intende riprendere le proprie abitudini di vita personale e
sociale. Favorire questa integrazione significa mettere in atto una rete di servizi sanitari e sociali
capace di rispondere in modo coordinato e tempestivo ai bisogni del paziente, migliorando l’accessibilità alle cure e il supporto domiciliare.
La continuità assistenziale consente una presa in carico del paziente che va oltre il trattamento ospedaliero, offrendo un supporto che include la riabilitazione, il monitoraggio, il controllo dei sintomi e
l’assistenza psicologica.
Questo modello risponde anche all’esigenza di ridurre le ospedalizzazioni e migliorare l’appropriatezza dei servizi del sistema sanitario, permettendo di focalizzarsi sulla centralità della persona e sui
suoi bisogni complessivi. L’integrazione ospedale-territorio rappresenta, quindi, una forma di umanizzazione delle cure che mira a sostenere il paziente in modo continuativo e completo, contribuendo al suo benessere e alla sua qualità di vita. Tale integrazione si concretizza con l’ottimizzazione del modello hub and spoke, favorendo:
– l’equità di accesso alle cure, passando da una organizzazione per singoli reparti verso una organizzazione per flussi di pazienti, che agendo capillarmente sul territorio permetta l’integrazione
e la connessione delle strutture e delle competenze esistenti, riducendo i disagi e gli oneri a carico del paziente, della sua famiglia e dei suoi caregiver;
– la medicina di prossimità, attraverso l’applicazione del DM 70/2015 (e DM 77/2022) che consentirà altresì di completare il percorso in solida continuità tra struttura ospedaliera e strutture territoriali, e l’impostazione di un lavoro sinergico tra medici di medicina generale, personale ospedaliero, servizi di assistenza domiciliare e strutture comunitarie, che collaborano per garantire
una gestione integrata della salute. In questo modo si favorisce un livello dignitoso della qualità
di vita per il paziente durante il percorso di cura, a livello personale, sociale e relazionale;
– l’integrazione della tecnologia e degli strumenti di telemedicina, che devono essere necessariamente progettati in modo da essere funzionali sia per gli utenti che per i professionisti della salute all’interno del percorso di cura.
10. Umanizzazione delle cure è garantire l’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale
Il processo di aziendalizzazione del SSN avviato con la L.502/92 non ha tenuto il passo con i cambiamenti economici e sociali rendendo, nel tempo, difficilmente sostenibile l’universalità delle cure. Ciò
è tra i principali determinanti dell’aumento delle disuguaglianze di accesso alle cure in termini di
disponibilità economica, distanze e decentramento territoriale. I parziali correttivi avvenuti nel
corso degli anni si sono dimostrati inefficaci, richiamando la necessità di una vera e propria riorganizzazione che risponda ai principi di identificazione e prioritizzazione dei bisogni di salute. Forte è
il richiamo all’art.32 della Costituzione, in forza del quale “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. La tutela della salute rappresenta peraltro la finalità istitutiva del SSN (art.1, L.833/78).
Evidenziamo l’incremento dell’atteggiamento difensivistico dei professionisti sanitari secondario
all’aumento della conflittualità (che si spinge fino alla violenza verbale e fisica nei confronti degli
stessi), alla base del quale possiamo individuare come ruolo significativo sia la riduzione qualitativa
e quantitativa delle relazioni interpersonali (prendersi il tempo per parlare disinnesca le dispute legali), sia il progressivo depauperamento delle risorse strutturali ed umane del SSN.
È divenuta ineludibile la necessità di superare la frammentazione dei percorsi conseguente all’applicazione di modelli clinico-assistenziali e organizzativo-gestionali a silos, basati sull’iper-specializzazione delle competenze e sulla mancata possibilità di condivisione efficiente delle tecnologie necessarie. Attraverso l’organizzazione per flussi di pazienti, assicurata dall’integrazione delle competenze in un approccio multidimensionale, multidisciplinare e interdisciplinare, emerge la visione
strategica di riprogettazione dei percorsi di salute in grado di affrontare la complessità e la crisi del
sistema.
L’integrazione delle competenze si è resa oltremodo necessaria in rapporto alla crescente complessità dell’organizzazione sanitaria. In tale contesto si deve evitare il rischio di gestire la salute entro
una logica riduttivamente igienico-sanitaria, perdendo di vista il senso umano più profondo.
Il recupero dei valori tipici della medicina deve oggi necessariamente realizzarsi attraverso la collaborazione di più professionisti che assemblano in un unicum i propri punti di vista. Ciò dovrebbe consentire anche un più corretto ed equo utilizzo e allocazione delle risorse, riducendo l’accanimento
diagnostico e terapeutico derivante dalla visione frammentata, e non olistica, da parte degli operatori iper-specializzati; allo stesso modo, ponendo al centro la persona malata anziché la malattia, si
realizzerebbe una maggiore appropriatezza e proporzionalità dei trattamenti. Vale la pena sottolineare che, seppure il trattamento possa essere sproporzionato a seconda della condizione o del contesto, la cura, se intesa come ‘premura’, al contrario, non lo è mai.
Ultimo, ma non per importanza, va sempre considerato il diritto dei cittadini di avere semplice e
trasparente accesso alle informazioni relative ai percorsi di salute, messe a disposizione dalle nuove
tecnologie.
11. Umanizzazione delle Cure è garantire la sicurezza
Al fine di ottimizzare il funzionamento del SSN è necessario che alla base del sistema vi siano strutture organizzative e gestionali in grado di garantire la sicurezza di tutti i soggetti che vi prendono
parte.
Le fondamenta della sicurezza, indirizzate verso l’umanizzazione delle cure, devono ricomprendere
innanzitutto un’ampia diffusione delle informazioni, consentendo un processo decisionale più consapevole. Le informazioni devono essere facilmente accessibili a tutti i soggetti che possano avere
un interesse collegato, anche in maniera informale, ma efficiente e rapida.
Il rispetto delle normative o degli standard (compliance) non è sinonimo di sicurezza: per garantire
la massima tutela dei dipendenti e la massima premura nei confronti dei pazienti è necessario superare il mero rispetto delle regole, ponendo la persona al centro delle future azioni di protezione e,
soprattutto, di prevenzione. Tale approccio dovrà obbligatoriamente essere personalizzato, considerando le emozioni e i pensieri dei protagonisti coinvolti, ad esempio, banalmente, chiedendo se
un paio di calzature sia comodo o meno. I costi per la sicurezza non sono mai superflui, poiché il
mancato ottenimento del livello di sicurezza necessario può avere ripercussioni ancora più gravose
sulla struttura organizzativa. Il raggiungimento di tale approccio è subordinato ad una gestione multidisciplinare dell’organizzazione stessa, senza la quale i singoli compartimenti stagni non potrebbero affrontare in maniera completa ed efficiente i singoli contesti.
Da non tralasciare, inoltre, le innovazioni tecnologiche che fungono da motore per il miglioramento
delle tecniche e dei processi ma, altresì, presentano possibili minacce per il panorama dell’organizzazione o per i singoli.
La definizione così fornita di sicurezza non è identificabile solo nei termini di assenza di pericoli o
rischi, ma permette di garantire ai singoli uno stato di benessere fisico e psicologico che si lega per
lo più al concetto di salute stesso.
12. Umanizzazione delle Cure è garantire la sostenibilità
Il modello di business coniato da Alexander Osterwalder nel 2004 descrive le logiche secondo le quali
un’organizzazione crea, distribuisce e raccoglie il valore. In altre parole, è l’insieme delle soluzioni
strategiche e organizzative attraverso le quali un’organizzazione acquisisce vantaggio competitivo.
Parafrasando tale costrutto nel sistema sanitario pubblico, potremmo coniare la definizione di modello organizzativo sanitario come rappresentazione che descrive le logiche secondo le quali un’organizzazione crea, distribuisce e raccoglie valore pubblico nella filiera della salute. Pertanto, parlando di modello organizzativo, diventa imprescindibile collegare l’impegno e la capacità di mantenere il sostentamento dell’organizzazione a lungo termine e la sostenibilità come la condizione di
sviluppo che riesce a soddisfare i bisogni delle generazioni attuali, senza compromettere la capacità
delle generazioni future di soddisfare i propri. Tale condizione, secondo la teoria della cosiddetta
triple bottom line, viene declinata secondo tre dimensioni: ambientale, sociale ed economica.
Pertanto, all’interno di un’organizzazione sanitaria che tende verso la sostenibilità, nessuna delle tre
componenti può essere tralasciata. A livello internazionale la sostenibilità viene veicolata tramite i
17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, conosciuti anche come Agenda 2030, enunciati nel 2015 tramite una risoluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In particolare, per quel che riguarda la
filiera della salute, è stato definito l’obiettivo numero 3, secondo cui è necessario “assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età”. Questo significa assicurare prestazioni assistenziali di
qualità, e garantire che queste siano fruite nel miglior modo possibile dal paziente, sottolineando
pertanto la dimensione sociale della sostenibilità all’interno di questo obiettivo e al tema generale
della presente carta ossia l’Umanizzazione delle Cure. Di conseguenza, quello che possiamo dedurre
da questo quadro generale, è che l’obiettivo numero 3 per lo sviluppo sostenibile, non si focalizza
solamente sul miglioramento delle condizioni di salute e della qualità delle cure, ma anche sulla necessità di rafforzare la sostenibilità del settore sanitario nella sua tridimensionalità, attraverso la
combinazione di capacità o capabilities ordinarie e dinamiche. Le capacità ordinarie sono costituite
dalle competenze necessarie per svolgere le attività quotidiane caratteristiche dell’operatività del
modello organizzativo esistente. Le capacità dinamiche sono rappresentate dalle competenze che
spingono verso il cambiamento: Sensing, Seizing e Transforming. Sensing, come la capacità di percepire e modellare le opportunità e le minacce. Seizing, come la capacità di cogliere e dimensionare
le opportunità. Transforming, come la capacità di mantenere la competitività attraverso il potenziamento, la combinazione, la protezione e la riconfigurazione degli asset intangibili e tangibili dell’organizzazione. Pertanto, il processo di ideazione di nuovi modelli organizzativi per cogliere nuove
opportunità verso l’umanizzazione delle cure deve essere alimentato dal capitale umano, nelle capacità dinamiche.
13. Umanizzazione delle Cure è resilienza
L’Umanizzazione delle Cure implica l’impegno a rendere i luoghi di assistenza e i programmi diagnostico-terapeutici il più possibile orientati alla persona, considerata nella sua interezza fisica, sociale
e psicologica. Questo approccio dovrebbe essere preservato anche in condizioni di difficoltà, situazioni anomale o momenti di stress che impattano sul sistema sanitario o sull’intera comunità.
La normalità del mondo in cui viviamo oggi, d’altra parte, è caratterizzata da complessità e incertezze tali da generare crisi ricorrenti, causate da carenza di risorse, sovraccarichi, cambiamenti improvvisi o evoluzioni impreviste. Queste situazioni esercitano enormi pressioni sul sistema sanitario
e sulla popolazione che vi fa affidamento. Si pensi, ad esempio, alle pandemie (come il COVID-19),
ai disastri naturali, ma anche a sfide come il turnover del personale sanitario, i tagli drastici alle risorse finanziarie o i mutamenti nella tipologia dei pazienti, legati all’invecchiamento della popolazione o alle diversità culturali e religiose introdotte dalle migrazioni. Tali fattori rendono indispensabile un’Umanizzazione delle Cure capace di adattarsi a nuove richieste, esigenze, contesti operativi e assetti organizzativi.
Per porre al centro la salute e il benessere del paziente, nonostante i continui mutamenti del contesto, è fondamentale che il sistema sanitario sia resiliente. Questo significa che deve essere in grado
di prevedere proattivamente, assorbire e adattarsi agli shock e ai cambiamenti, mantenendo operative le funzioni essenziali, recuperando rapidamente e trasformando le proprie strutture e funzioni
per rafforzarsi e ridurre la vulnerabilità a shock futuri.
Sia a livello territoriale che di singola struttura, il sistema sanitario è composto da molteplici componenti strettamente interconnesse: l’ambiente fisico, le tecnologie, l’organizzazione, le persone e
le risorse finanziarie. Tuttavia, la capacità di resilienza richiede anche di combinare saperi, competenze, tecnologie e funzioni in modo coordinato.
Migliorare la resilienza del sistema sanitario, garantendo cure umanizzate, richiede un approccio
sistemico e interdisciplinare. È necessario individuare i punti deboli e sviluppare azioni organiche e
coordinate per trasformarli in punti di forza, intervenendo su più scale: dalla resilienza situazionaleoperativa a quella organizzativa e strutturale, fino a quella complessiva del sistema.
Solo mantenendo un equilibrio dinamico tra domanda e capacità di risposta, attraverso monitoraggio, anticipazione, adattamento e apprendimento, è possibile individuare soluzioni contingenti efficaci. Elementi come l’adattabilità funzionale dei luoghi fisici, la gestione dei dati e delle comunicazioni, la logistica, l’efficienza delle risorse e della catena delle forniture, il lavoro di squadra, le relazioni umane, la capacità decisionale e l’empatia, sono fondamentali non solo per garantire prestazioni sanitarie di buon livello, ma anche per far sì che queste siano percepite come una vera e propria
cura umanizzata.
La resilienza, quindi, si configura oggi come un elemento intrinseco e imprescindibile dell’Umanizzazione delle Cure. La capacità del sistema sanitario – inteso come un insieme organico di strutture,
tecnologie, persone e relazioni – di rispondere alle pressioni della “nuova normalità” non si limita a
influenzare la salute individuale e collettiva, ma produce effetti significativi anche sulle economie e
sulle società, riflettendosi su vari aspetti della qualità della vita.
Investire nella resilienza come componente essenziale dell’Umanizzazione delle Cure consente ai
decisori politici di migliorare la risposta del sistema anche di fronte a eventi avversi, riducendo al
minimo l’impatto sulla salute pubblica e garantendo il mantenimento delle funzioni essenziali. In
ultima analisi, l’azione proattiva, la flessibilità e la capacità di far fronte ai cambiamenti, anche nelle
situazioni più critiche o inedite, permettono di sviluppare interventi contestualizzati, sensibili alle
persone e alle esigenze delle comunità, assicurando così un’effettiva Umanizzazione delle Cure anche nei momenti più difficili.
QUALITÀ E UMANIZZAZIONE DELLE CURE: UN LEGAME INDISSOLUBILE
La qualità di cura rappresenta il livello di eccellenza con cui i servizi sanitari rispondono ai bisogni di salute,
garantendo un’assistenza centrata sul paziente, efficace, sicura, accessibile e tempestiva, equa ed efficiente.
Umanizzazione delle Cure in tutte le sue sfaccettature, e qualità di cura sono due concetti profondamente e
indissolubilmente legati tra loro. Non esisterebbe l’Umanizzazione delle Cure senza le varie declinazioni di
qualità e non si cercherebbe un sistema sanitario di qualità senza che alla base vi sia la volontà di seguire un
percorso di umanizzazione.
Infine, è importante ricordare che le diverse accezioni di qualità legate alla cura e all’umanizzazione, declinabili in una dimensione relazionale, organizzativa e strutturale, sono frutto del lavoro della ricerca scientifica
multidisciplinare, partendo dall’ambito clinico-assistenziale, dall’ambito umanistico, dall’ambito organizzativo e gestionale. Questo presupposto implica una necessaria evoluzione del concetto di qualità di cura che
va di pari passo con l’evoluzione della ricerca scientifica e della pratica clinico-assistenziale e organizzativogestionale portata avanti in tutto il mondo da ricercatori e professionisti della salute che hanno l’ambizione
di creare un nuovo paradigma di cura applicabile nei diversi contesti sanitari.
Le declinazioni scientifiche di qualità di cura nell’Umanizzazione delle Cure
L’Umanizzazione delle Cure enfatizza l’importanza della qualità, che va oltre il concetto di prestazione sanitaria, cogliendo tutte le dimensioni di un percorso di cura: relazionale, clinico-assistenziale, organizzativogestionale e strutturale.
Dimensione relazionale
La prima definizione a cui è necessario fare riferimento è la qualità percepita, che comprende tre livelli di
significato, interconnessi tra loro: relazionale, organizzativa e/o strutturale.
Partendo dal punto di vista relazionale, la qualità percepita fa riferimento sia alla soddisfazione relativa alle
cure erogate sia alle modalità e competenze comunicative (verbale e non verbale) espresse tra pazienti, professionisti della salute e caregiver. Oltre al legame relazionale, anche l’empatia verso il paziente e il rispetto
per le dignità, unicità, individualità e umanità sono considerati come elementi di umanizzazione delle cure
(Bush et al.).
Dal punto di vista organizzativo, la qualità percepita è strettamente connessa alla gestione generale delle
strutture sanitarie, tenendo in considerazione sia la logistica dei servizi sia la forza lavoro. Infatti, la qualità
percepita considera due prospettive: quella dei pazienti (e caregiver) e quella del personale. Una scorretta
gestione dei carichi di lavoro, senza investire sul benessere organizzativo, può provocare il cosiddetto burnout e influenzare le relazioni tra il personale e i soggetti con cui si interfacciano: colleghi, pazienti, famigliari, caregiver, volontari, fornitori, ecc.
Dal punto di vista strutturale la qualità percepita è strettamente collegata con la dimensione organizzativa,
in quanto la struttura architettonica, la domotica, la logistica, l’accessibilità degli ambienti e la disponibilità
degli spazi impattano sull’organizzazione del lavoro e sulle modalità di erogazione dei servizi sociosanitari,
influenzando comportamenti e percezione delle esperienze.
Diventa pertanto fondamentale costruire indicatori che permettano di valorizzare le tre dimensioni della
qualità percepita, che devono essere analizzate considerando necessariamente il contesto di riferimento, lo
stato dell’arte e le strategie di miglioramento.
Un ulteriore livello di analisi riguarda la cosiddetta qualità della partecipazione, che si riferisce all’impegno
attraverso cui le persone raggiungono i risultati prefissati o si impegnano in determinate attività. Attività
che possono essere legate, ad esempio, a iniziative proposte dalle associazioni di pazienti o a progetti
promossi dalle strutture sanitarie. La qualità della percezione può essere pertanto associata al concetto di
organizational commitment, in altre parole: impegno organizzativo.
L’impegno organizzativo può essere definito come “l’atteggiamento e il sentimento dei dipendenti nei confronti dell’organizzazione che li impiega” (Hussami et al.). Più in generale l’impegno organizzativo è visto
come una “forza [il mind set] che lega un individuo a un corso d’azione rilevante per uno o più obiettivi “(Herscovitch e Meyer), oppure, come “la forza relativa all’identificazione e al coinvolgimento di un individuo in
una particolare organizzazione” (Al Jabri e Ghazzawi). Tali definizioni si possono tradurre nella capacità delle
organizzazioni di condividere vision, strategia di azione e cultura organizzativa, ingaggiando il personale a
diversi livelli per il raggiungimento degli obiettivi, creando un forte senso di appartenenza e investendo sul
clima organizzativo, che impatta sulla qualità percepita dell’utente.
Dimensione organizzativa
Tale dimensione della qualità di cura evidenzia l’importanza della prospettiva organizzativo-gestionale, integrata a quella clinico-assistenziale.
È possibile declinare la prospettiva organizzativo-gestionale attraverso le seguenti definizioni:
– qualità organizzativa, vista come lo sviluppo di strumenti, framework, metodi o anche reti organizzative di valori che portano a un certo livello di qualità nel sistema sanitario. La qualità organizzativa non
riguarda solo gli aspetti umani o il carico di lavoro, ma anche l’ambiente in generale delle strutture sanitarie, come ad esempio: l’identificazione delle priorità, lo sviluppo di processi sostenibili e l’identificazione del giusto contesto di attuazione delle iniziative relative alla qualità (Carney; Seth et al.; Zheng et
al.).
– Qualità tecnico-professionale, descritta come un insieme integrato di differenti fattori: conoscenza
scientifica avanzata, produttività, organizzazione ed evoluzione delle hard skills e soft skills, e ogni altro
fattore collegato al cosiddetto QIW quality of improvement of work. Da considerare che la qualità tecnico-professionale è influenzata da fattori come la fatica, sia fisica sia emotiva, e il burnout che hanno
un impatto negativo sulla qualità di cura. Inoltre, diversi accademici hanno riconosciuto la connessione
tra qualità professionale e qualità della vita professionale, che ha un forte impatto sul sistema sanitario
e in generale sulla qualità globale di ogni processo ad esso relativo (Laserna Jiménez et al.).
– Qualità gestionale, ossiala capacità di un’organizzazione di gestire le proprie risorse, processi e persone in modo efficace ed efficiente per raggiungere i propri obiettivi. Si tratta di un insieme di pratiche,
strumenti e competenze che consentono di ottimizzare le operazioni, migliorare la produttività, soddisfare le esigenze dell’utente e creare valore sostenibile nel tempo. La qualità gestionale ha anche un
grande impatto sul lato dell’innovazione delle organizzazioni (Zhao et al.) ed è anche un fattore essenziale che deve essere integrato con le politiche finanziarie e sociali (An et al.).
La dimensione organizzativa della qualità di cura, nelle sue declinazioni, è pertanto funzionale al riconoscimento dei bisogni del paziente e all’erogazione appropriata di servizi di promozione della salute, di prevenzione delle patologie e di cura.
Investire su questo approccio sistemico permette di migliorare l’equità di accesso, ovvero lo stato in cui le
disuguaglianze basate sullo status socioeconomico e sulle barriere geografiche vengono distrutte. Agevolare il mantenimento di un buono stato di salute della popolazione, investire sulla prevenzione e la diagnosi
precoce, permettono di rendere il servizio sanitario meno congestionato e garante dell’uguaglianza. L’uguaglianza è anche legata a principi morali ed etici, che dovrebbero orientare gli operatori sanitari a trattare
tutti i pazienti nello stesso modo, mostrare resilienza e impegno nel loro lavoro (Bush et al.).
L’equità di accesso e l’appropriatezza della cura influenzano l’equità degli esiti. Per garantire l’equità degli
esiti, in aggiunta ai parametri di indirizzo forniti dalle istituzioni nazionali e dalle organizzazioni sovranazionali, è importante implementare nuove politiche di governance e metodologie innovative di organizzazione
che devono essere necessariamente contestualizzate, implementando protocolli innovativi e utilizzando
nuove metodologie e strumenti per promuovere una sanità di qualità. Creare modelli organizzativi che investono sistematicamente su formazione, ricerca e ri-progettazione di percorsi clinici, aumenta la qualità
della cura e degli esiti di cura.
Dimensione strutturale
Come pubblicato dall’Osservatorio europeo sui sistemi e le politiche sanitarie Improving Healthcare Quality
in Europe: Characteristics, effectiveness and implementation of different strategies, gli indicatori strutturali di
qualità sono utilizzati per valutare l’adeguatezza delle strutture e delle attrezzature, i rapporti di personale,
le qualifiche del personale medico e le strutture amministrative. Spesso risulta difficile stabilire un chiaro
legame tra le strutture e i processi o gli esiti clinici, il che riduce, in una certa misura, la rilevanza delle misure
strutturali. In ogni caso, dobbiamo ricordare che il processo di cura dei pazienti è fortemente influenzato da
questi indicatori, in particolare il rapporto tra operatori e pazienti o il numero di medici con diploma di specializzazione e l’adeguatezza delle strutture. Pertanto, è sicuramente necessario concentrare le forze nel
determinare misure che si focalizzino sul miglioramento della qualità strutturale, per garantire la qualità
complessiva del sistema sanitario, considerando sempre il contesto di riferimento.
Per quanto riguarda la dimensione strutturale, è importante affrontare anche il tema della qualità tecnologica che, nel contesto sanitario, non è solo legata a fattori tecnici (attività con target specifici, definizione
dei rischi, uso di materiali-sostanze pericolose ecc.), ma anche all’evoluzione e alle modalità di introduzione
delle tecnologie e come il personale interagisce con esse.
In tal senso, diventa fondamentale l’applicazione dell’approccio Heath Technology Assessment (HTA) in
chiave moderna, come processo multidisciplinare di valutazione sistematica delle tecnologie sanitarie, che
include farmaci, dispositivi medici, procedure cliniche e modelli organizzativi, con l’obiettivo di supportare
le decisioni in ambito sanitario. Pertanto, l’HTA non è solo uno strumento per valutare efficacia e costi delle
tecnologie, ma rappresenta un approccio integrato che considera l’intero impatto di una tecnologia sul sistema sanitario e sulla società.
IL MODELLO DI CURA
Visione
Il modello di cura si pone l’obiettivo di potenziare l’integrazione dei servizi assistenziali e sociosanitari in un
sistema comunità̀ centrico per la promozione della salute, rispettando i principi di sostenibilità̀ e universalità̀
di cura, attraverso un cambio di paradigma legato a umanizzazione, innovazione e tecnologia in Sanità e
investendo anche sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
Per intraprendere tale sfida, la soluzione proposta si ispira al modello della Società 5.0, proposta da M. Fukuyama (2018): una comunità super intelligente dove le esigenze sono personalizzate, differenziate e rispettate, distribuendo beni e servizi nelle quantità richieste, alle persone che ne hanno bisogno, nel momento
del bisogno. I cittadini ottengono servizi di qualità, godono di una vita confortevole e vigorosa in una società
comunità centrica, orientata al benessere, guidata da innovazione tecnologica, economica e socioculturale
e capace di innescare il cambiamento attraverso la cooperazione tra scienza, politica, industria e cittadinanza (4-helix approach).
Nell’assistenza sanitaria, questo modello potrebbe essere tradotto in Umanizzazione dell’assistenza. Secondo gli studiosi, l’Umanizzazione dell’assistenza è una strategia di definizione delle politiche che mira a
rispondere alle esigenze di salute della popolazione attraverso l’integrazione di due dimensioni essenziali: la
gestione clinica e quella organizzativa.
Pertanto, è fondamentale considerare tutte le parti coinvolte nel processo di assistenza a diversi livelli e le
loro interazioni. Inoltre, l’umanizzazione dell’assistenza deve essere tradotta in pratica:
1) organizzando e implementando quattro processi principali nel sistema sanitario ricerca, formazione, assistenza clinica, valutazione;
2) integrando le capacità;
3) concentrandosi su tre prospettive principali: organizzativa, relazionale e architettonica.
L’intero sistema sanitario dovrebbe essere in grado di diventare effettivamente il primo motore economico
e sociale della crescita in una società moderna.
Missione
La missione è quella di proporre un modello scalabile per contribuire a dare nuovo significato alla Sanità
come driver di crescita socioeconomica, una Sanità focalizzata non solo sulla cura, ma anche sulla promozione della salute, sulla prevenzione delle malattie e sul benessere psico-fisico delle persone, garantendone
appropriatezza di applicazione.
La proposta risponde alle sfide della Missione 6 del PNRR in merito al trasferimento e sviluppo di elevate
competenze tecniche, digitali, professionali, manageriali, relazionali e di integrazione, necessarie per:
1) generare e sviluppare un sistema sanitario nazionale resiliente (attraverso l’attuazione delle reti di prossimità e la spinta verso innovazione, ricerca e digitalizzazione);
2) affrontare gli aspetti critici e strutturali in relazione alle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in corso e maggiormente evidenziati dalla pandemia;
3) riprogrammare un sistema in modo che venga caratterizzato dalla valorizzazione delle persone, sostenendo le competenze e promuovendo la ricerca scientifica in ambito biomedico e sanitario;
4) potenziare la prevenzione e l’assistenza sul territorio, con l’integrazione tra servizi sanitari e sociali, e
con l’implementazione di tecnologie nel Servizio Sanitario Nazionale;
5) attuare la reingegnerizzazione dei processi per l’erogazione del percorso di cura, come frutto dell’integrazione tra assistenza, ricerca, formazione, innovazione e transizione digitale.
La proposta si identifica nell’opportunità di integrare e plasmare l’approccio scientifico della Medicina a 5P
nella sfera organizzativa, gestionale e relazionale del sistema sanitario, partendo dal percorso del paziente
per la presa in carico globale.
Tabella 1 La Medicina a 5P
Definizione della Medicina a 5P.
Medicina Preventiva. Prevenire condizioni patologiche e disturbi prima dell’insorgenza di sintomi
o complicanze, quando le probabilità di recupero
sono massime. La prevenzione migliora le condizioni di salute generale in una visione di invecchiamento attivo, e riduce i costi della sanità.
Medicina Predittiva. Si rivolge alle persone sane
per la ricerca di segni di fragilità o di difetto che
possono causare lo sviluppo di una malattia e si
pone come medicina dell’individualità.
Medicina di Precisione. Applicazione di tecnologie e processi per la diagnosi, la prevenzione ed il
trattamento di patologie in considerazione della
variabilità individuale del genoma, dell’ambiente
e dello stile di vita della persona.
Medicina Partecipativa. Un modello socioassistenziale che colloca al centro il paziente, ponendo sullo stesso livello il cittadino e i professionisti della salute. Un approccio centrato sui bisogni e sulle potenzialità della persona assistita. Attribuisce pari dignità agli attori coinvolti nel processo di cura e nel percorso diagnostico/terapeutico, coniugando evidenze scientifiche e preferenze dei pazienti.
Medicina Personalizzata. Un modello medico
che propone la personalizzazione della salute, in
termini di decisioni mediche, pratiche, e/o prodotti su misura.
Sperimentare soluzioni innovative in cui le pratiche mediche e manageriali contribuiscono insieme nel
creare valore pubblico, considerando le prospettive dei diversi portatori di interesse (enti del servizio sanitario nazionale, territorio e cittadini) richiede una visione d’insieme che consideri quattro elementi fondamentali: competenze; relazioni; processi, tecnologie.
Rappresentazione grafica del modello
La struttura concettuale del modello di cura di un sistema sanitario sostenibile, fondato sull’Umanizzazione
delle Cure (UC), è rappresentato dalla Fig. 1. Si tratta di un edificio simbolico, costituito dai seguenti elementi:
FONDAMENTA. Sono costituite dalla profonda riflessione sulla centralità dell’essere umano e di quanto la
salute sia un fondamentale diritto tutelato dalla Costituzione della Repubblica Italiana, per preservare il benessere del singolo e della collettività.
Questa prospettiva, personalistica e comunitaria, va rivalorizzata in una chiave applicativa attraverso l’investimento su competenze integrate fra loro: tecniche, organizzative e relazionali. Queste competenze si focalizzano sull’armonizzazione e il dialogo tra la prospettiva clinico-assistenziale e la prospettiva organizzativo-gestionale, che perseguono la stessa visione.
Alla base di tutto si trovano l’Umanizzazione delle cure e il Benessere Organizzativo, che rappresentano la
strategia a sostegno dell’intera struttura.
PILASTRI. Quattro colonne che rappresentano i principali percorsi su cui si fonda questo modello:
• Percorsi di formazione, educazione e prevenzione (Area Formazione)
• Percorsi di ricerca (Area Ricerca)
• Percorsi clinico-assistenziali (Area Assistenza Clinica)
• Percorsi di valutazione (Area Valutazione)
ARCHITRAVE E TIMPANO. Indicano l’obiettivo principale da raggiungere dal sistema, ovvero la centralità
della persona, che si traduce nel miglioramento della qualità della vita, della qualità delle cure, del benessere
individuale e organizzativo.
SOSTENIBILITÀ. L’intero modello è racchiuso nella cornice della sostenibilità, che rappresenta l’equilibrio
necessario per mantenere un sistema sanitario efficace ed efficiente, nonché orientato alla persona nel
tempo. La sostenibilità è intesa come armonizzazione delle seguenti dimensioni: organizzativa, sociale, ambientale, economica e finanziaria.
Tale rappresentazione sintetizza nella concretezza gli enunciati espressi dalla Carta di Udine che attraverso
un approccio resiliente ridefinisce il perimetro per una Sanità sostenibile. Sottolinea inoltre l’importanza di
una visione olistica del sistema sanitario, in cui aspetti clinici, formativi, organizzativi e di ricerca si integrano
per migliorare la qualità della vita e delle cure. L’umanizzazione e il benessere non riguardano solo i pazienti,
ma anche i professionisti e le organizzazioni coinvolte.
Figura 1 Il modello di cura
Il modello
L’Umanizzazione delle Cure (UC) si declina necessariamente in una strategia volta a rispondere ai mutevoli
bisogni di salute della popolazione, attraverso la costruzione di un modello di cura capace di esprimere in
modo congiunto la prospettiva clinico-assistenziale e quella organizzativo-gestionale. Per fare ciò, è necessario investire sistematicamente e metodologicamente su 4 aree di sviluppo: Ricerca, Formazione, Assistenza Clinica, Valutazione.
Al fine di sostenere le aree di sviluppo, va favorito un cambio culturale fondato sul dialogo costruttivo tra
prospettiva clinico-assistenziali e prospettiva organizzativo-gestionale, investendo su un sistema di competenze tecniche, organizzative e relazionali.
La creazione di sinergie tra queste diverse competenze permette di creare un linguaggio comune orientato
al raggiungimento di un duplice obiettivo: il benessere (della persona e organizzativo) e la qualità (della vita
e della cura). Tale cambiamento culturale deve essere sostenuto da un nuovo sistema organizzativo e gestionale. La sfida è mantenere il focus sulla risorsa più importante: le persone, senza le quali non esisterebbe
nessuna organizzazione e nessuna comunità.
Il sistema organizzativo e di gestione dell’UC richiede l’applicazione di una metodologia che permetta di
pianificare, organizzare, dirigere, coordinare e monitorare le attività mantenendo il focus sulla visione (architrave). Tale metodologia è rappresentata dall’implementazione delle 4 aree di sviluppo, interdipendenti
tra loro, favorendo l’integrazione accademica che coopera alla trasformazione del vecchio modello basato
sui padiglioni, in un nuovo modello funzionale (Dipartimento) che incarna fattivamente tutto ciò che ci si
aspetta dall’ospedale di domani: il focus sul paziente, la multidisciplinarietà, l’ambiente salutogenico, la connessione fra cura e ricerca.
Ricerca, per progettare e condurre studi traslazionali, multidisciplinari e interdisciplinari, al fine di tradurre
le conoscenze acquisite in effettivi benefici per il paziente e per i professionisti.
Formazione, per stimolare il pensiero sistemico; la capacità adattiva nella gestione del cambiamento, le
sinergie tra competenze tecniche, organizzative e relazionali; il trasferimento consapevole e innovativo di
modelli, metodi e buone pratiche. L’area si declina nel dettaglio in percorsi di formazione, educazione e prevenzione.
Assistenza clinica, per riprogettare i percorsi di cura, considerando i flussi di pazienti e le aree funzionali in
riferimento ai macro-temi della medicina affidati a ciascuna struttura sanitaria e setting assistenziali. Tale
logica organizzativa permette di focalizzarsi sul valore per il paziente, assegnando le competenze appropriate. Trattasi dell’introduzione del modello a matrice che orienta una costruzione dipartimentale interrompendo i silos dei reparti, lavorando sulle risorse comuni: dimensione architettonica, dimensione risorse
umane, dimensione tecnologica e reportistica breve per monitoraggi di decisioni proattive.
Valutazione, per misurare la qualità di cura e la sostenibilità secondo i dettami dell’Umanizzazione delle
Cure, considerando sia il benessere della persona in qualità di cittadino e paziente, sia il benessere dei professionisti della salute e il clima organizzativo.
La sperimentazione di questo modello di cura potrà dare una risposta concreta al tema della sostenibilità
del SSN: organizzativa, sociale, ambientale, economica e finanziaria.
I pilastri rappresentano il vero motore della Sanità Moderna. Non si può più prescindere da una loro stretta
connessione, che oggi vede l’introduzione forte del concetto di interdisciplinarità. La rete tra professionisti
di differente formazione, che restituisce alla Sanità lo slancio necessario a diventare il driver di crescita socioeconomica, si deve fondare essenzialmente sulla consapevolezza del fatto che chi lavora per la salute
delle persone ha un ruolo fondamentale. Dobbiamo puntare a inserire nuove figure professionali (economico-gestionali, giuridiche informatiche; tecnologiche, tecnico-costruttive, etc.) che collaborando in maniera innovativa con gli operatori sanitari in senso stretto, realizzano nella pratica l’UC come nuovo modello
di cura.
L’ UC si basa sul paradigma olistico: le proprietà di un sistema non possono essere derivate solo attraverso
la conoscenza prodotta dalle informazioni delle singole componenti e, in base alla teoria dei sistemi, il tutto
possiede un significato maggiore e diverso dalla semplice somma delle parti. I risultati delle attività sanitarie
non sono solo legati ai trattamenti biomedici e all’assistenza standard, ma anche agli aspetti declinati precedentemente, in cui il cittadino è considerato in maniera globale, come un essere umano con i suoi bisogni,
non solo fisici, ma anche psicologici e spirituali. L’UC mantiene costante all’interno dell’organizzazione il
concetto di persona e non di paziente, di cittadino, e non di corpo da trattare, di essere umano unico e non
di prestazione. La visione sulla centralità della persona si concretizza investendo sul benessere (della persona come cittadino e organizzativo all’interno delle strutture sanitarie) e sulla qualità (della vita e della
cura). Tradurre tale visione in risultati e impatti a favore della popolazione richiede la definizione di una strategia e l’applicazione di un nuovo modello di cura, sistemico e sostenibile. La strategia diventa la base del
tempio, senza la quale un’organizzazione non può orientare la propria organizzazione, la propria gestione e,
soprattutto, il proprio team.
Questo scenario permetterebbe di proporre soluzioni ad alcune criticità dell’attuale panorama sanitario. Per
esempio, restituendo centralità alla “governance clinica” attraverso la sinergica intersezione dei percorsi
(descritti nei pilastri) per la migliore offerta di benessere e salute alle persone.
In questa prospettiva, dove il progressivo aumento del bisogno di salute, l’innovazione tecnica e tecnologica
si incrociano con logiche economiche, che devono necessariamente essere etiche e sostenibili, vi è la necessità di fare ordine, riscrivendo il “capitolo” di chi fa cosa. La necessità di coniugare logiche di miglioramento
della qualità dei servizi sanitari con istanze di natura economico-gestionale deve essere affrontata in una
logica di ripartizione ed autonomia di competenze nei diversi campi di azione permettendo un dialogo fluido
attraverso l’introduzione nei dipartimenti di figure professionali come project manager, esperti di economia
aziendale e ingegneri, gestionali, superando la figura del medico manager.
In tale prospettiva unificante, i bisogni di salute recepiti dagli operatori sanitari sono elaborati attraverso la
condivisione con la parte manageriale. In seno ai Dipartimenti andrebbe istituita la figura del project manager, dedicato a favorire il dialogo e la creazione di un linguaggio comune, che supera la dicotomia tra gestione economica e gestione clinica, di competenza rispettivamente del top management e dei medici specialisti, promuovendo l’avvicinamento tra i due approcci fino a fonderli in un’unica visione condivisa (leadership integrata).
È altresì importante il benessere organizzativo che mira al recupero motivazionale, essenziale per il capitale
umano, che merita il riconoscimento dell’importanza del ruolo sociale che riveste ridando adeguata dignità
al lavoro ed alle persone che lo svolgono.
Le aree di sviluppo e i pilastri
Formazione
Al fine di rafforzare la resilienza del sistema sanitario e garantirne la sostenibilità, diventa fondamentale
attivare un processo di cambiamento culturale sistematico. Tale processo si concretizza nella realizzazione
di un piano strutturato e continuativo dei percorsi di istruzione, formazione e alfabetizzazione sanitaria, che
coinvolga tutti i livelli del sistema, favorisca la creazione di un linguaggio comune e di una visione condivisa
sul significato di UC e sulla definizione di qualità di cura.
È auspicabile che i percorsi di formazione si sviluppino secondo le seguenti traiettorie:
Strategica. Creazione di programmi formativi rivolti a tutti i professionisti della salute, indipendentemente
dal background culturale, che permettano di approfondire i seguenti temi, con approfondimenti graduali e
adeguati rispetto alla tipologia di competenza del discente, per condividere una visione e un linguaggio comune: Umanizzazione delle Cure come visione di sistema; Medicina Narrativa, come percorso per prendersi
cura di sé, del paziente e del proprio collaboratori; Miglioramento delle soft skills: comunicazione e ascolto
attivo; capacità di lavorare in team; gestione del cambiamento, problem solving; Health Promoting Hospitals.
Tecnologica: Creazione di programmi formativi volti a educare all’utilizzo degli strumenti informativi e digitali, dei sistemi di supporto decisionale clinico e dell’intelligenza artificiale.
Governance e Leadership Sanitaria. Offrire percorsi di alta formazione (es. master interateneo) per formare leader capaci di guidare la trasformazione culturale, con l’obiettivo di promuovere una visione sistemica, multidisciplinare e multistakeholder basata sull’Umanizzazione delle Cure, investendo sulla promozione e gestione della conoscenza collettiva, attraverso l’integrazione di competenze tecniche, organizzative e relazionali. Il percorso di alta formazione deve essere prioritariamente rivolto a tutti i professionisti
che agiscono nella filiera della salute, con prospettiva di carriera e orientati a costruire una visione di sistema
che favorisca l’applicazione e l’integrazione di nuovi e diversi approcci, modelli e strumenti; che risultano
fondamentali per concretizzare il cambio di paradigma fondato sull’innovazione sociale. Stimolare il pensiero olistico e la capacità adattiva; creare sinergie tra competenze diverse e complementari; trasferire modelli, metodi e buone pratiche; qualificare professionisti per assumere ruoli di direzione, gestione, coordinamento e progettazione devono rappresentare il fulcro del percorso formativo.
Mentorship e Coaching: Creare percorsi di affiancamento per favorire il trasferimento di competenze tra
figure esperte e giovani professionisti.
È auspicabile che i percorsi di educazione e prevenzione si sviluppino secondo le seguenti traiettorie:
Promozione della salute e di prevenzione. Investire nella costruzione di programmi di educazione sanitaria
permanenti, organizzando:
• percorsi strutturati di educazione alla salute, partendo dai primi livelli di istruzione d’infanzia e primaria;
• campagne informative di promozione della salute e di prevenzione, per aumentare la consapevolezza
dei cittadini pazienti sul proprio ruolo attivo per la promozione della salute, partendo dalla cura di sé
(sensibilizzazione e comunicazione);
programmi di accompagnamento e formazione per pazienti e caregiver volti a migliorare la loro consapevolezza e, conseguentemente, la partnership di cura promuovendo la personalizzazione delle
cure e la capacità decisionale;
Formazione su larga scala rivolta alla cittadinanza, utilizzando webinar e piattaforme digitali per diffondere conoscenze in modo rapido e capillare.
Innovazione educativa nei percorsi di studio universitari
• Rinnovare i programmi di laurea e le modalità di insegnamento in Medicina, Infermieristica e Professioni sanitarie per includere il concetto di Umanizzazione delle Cure, qualità di cura, organizzazione
dei percorsi di cura e misurazione degli esiti, lavoro di team e gestione del cambiamento.
• Proporre tirocini innovativi, integrando esperienze pratiche nei percorsi formativi, per far comprendere ai futuri professionisti il valore e le modalità di lavoro di team multidisciplinari nell’applicazione
di modelli di assistenza centrati sul paziente.
• Istituire corsi trasversali di insegnamento universitario per l’integrazione dei saperi.
Ricerca
Investire nella ricerca, conducendo studi di tipo qualitativo, quantitativo e mixed method, significa costruire
un sistema più efficace, sostenibile e attento alle persone, in una visione di sostenibilità. Implementare questa area di sviluppo permette di migliorare la salute, di valorizzare la dignità dell’intera esperienza sanitaria
e di aumentare la fiducia nei confronti del sistema sanitario e dei professionisti.
Si evidenziano di seguito gli elementi caratterizzanti di questo pilastro:
1. favorire la sinergia e l’integrazione tra progetti di ricerca esistenti e incentivare lo sviluppo di progetti comuni di ricerca clinica, traslazionale, di base, epidemiologica e organizzativa;
2. realizzare azioni comuni per lo sviluppo della ricerca volte al trasferimento di competenze, metodologie e rigore scientifico inerenti, per esempio, a: come pianificare un progetto di ricerca clinica e
clinico traslazionale; come condurre una sperimentazione clinica; come scrivere un articolo medico
scientifico; come scrivere un progetto di ricerca.
3. aumentare la consapevolezza e la conoscenza per reperire fonti di finanziamento attraverso la candidatura a bandi di finanziamento europei.
I potenziali benefici derivanti dalla ricerca sono:
Miglioramento degli esiti clinici
La ricerca consente di sviluppare nuove terapie, tecnologie e modelli di assistenza che migliorano la qualità
delle cure e riducono la mortalità e le complicanze, come per esempio, l’identificazione di trattamenti più
efficaci e personalizzati e la riduzione degli errori clinici attraverso innovazioni e formazione
Adattamento alle sfide emergenti
Il sistema sanitario affronta sfide complesse come l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche e le pandemie. La ricerca è indispensabile per sviluppare soluzioni innovative per gestire risorse limitate e riconvertire la distribuzione delle fonti finanziarie, investendo sulla promozione della salute,
sulla prevenzione, e su percorsi di cura personalizzati.
Efficienza e sostenibilità del sistema sanitario
Investire in ricerca significa anche sviluppare nuovi modelli organizzativi che si focalizzano sul percorso di
cura e non sulla singola prestazione, permettendo di ottenere risposte efficaci e sostanziali per: la riduzione
delle liste di attesa, l’efficientamento dei servizi, l’aumento dell’appropriatezza della domanda di cura e dei
trattamenti, l’ottimizzazione delle risorse, la creazione di partnership pubblico-privato solide, l’integrazione
ospedale territorio.
Umanizzazione delle cure
La ricerca focalizzata sull’umanizzazione pone l’accento sull’esperienza del paziente e sul rispetto delle sue
necessità emotive, psicologiche e sociali. Tale ricerca è cruciale per: migliorare la qualità della vita durante il
percorso di cura; aumentare la soddisfazione dei pazienti e dei caregiver; ridurre lo stress e il burnout tra i
professionisti sanitari, migliorando il rapporto tra professionisti della salute e utenti.
Innovazione tecnologica e digitale
La ricerca favorisce l’integrazione di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e la telemedicina, che
possono trasformare l’assistenza sanitaria, migliorando l’accessibilità e la tempestività delle cure e offrendo
soluzioni che rispettano il comfort del paziente.
Equità e inclusione
La ricerca contribuisce a ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure, sviluppando interventi specifici per
gruppi vulnerabili e garantendo che le innovazioni siano accessibili a tutti.
Creazione di un sistema centrato sul paziente
Investire nell’UC permette di coinvolgere il paziente come partner attivo nel processo decisionale e di costruire percorsi di cura personalizzati che tengano conto delle preferenze individuali.
Assistenza Clinica
L’Umanizzazione delle Cure abbraccia i principi dell’assistenza centrata sul paziente e sulla persona, considerando tutti gli stakeholder coinvolti nel processo di cura (pazienti, operatori sanitari, fornitori di assistenza, responsabili politici) e le loro interazioni. Questo approccio permette di umanizzare il sistema nel
suo complesso, concentrandosi sulle prospettive relazionali, organizzative e strutturali del servizio sanitario,
integrando le attività tra ospedale e territorio.
L’Umanizzazione delle Cure può essere applicata se l’organizzazione sanitaria è concepita per essere al servizio dei cittadini, focalizzandosi non solo sulla cura, ma anche sulla promozione della salute e sulla prevenzione.
È pertanto necessario passare dalla tradizionale organizzazione basata sull’intensità di cura a una nuova
struttura organizzativa incentrata sui temi cruciali della medicina e sui diversi livelli di complessità dell’assistenza. Tale struttura prevede la redistribuzione di competenze, ruoli, processi e carichi di lavoro tra gli attori
coinvolti, tenendo conto del concetto di ospedale diffuso nel rapporto tra hub, spoke, case e ospedali della
comunità, servizi territoriali. Si tratta di un cambiamento nell’organizzazione che mira a rispettare l’universalità e la sostenibilità delle cure, integrando la prospettiva clinica, relazionale, organizzativa, tecnologicodigitale, strutturale. In questo modo, diventa possibile realizzare una appropriata assistenza sanitaria (efficiente, efficace, sicura e di qualità). Per realizzarla è necessario applicare metodologie di reingegnerizzazione dei processi che si focalizzano sul percorso di cura nella sua interezza e non sulla singola prestazione,
come il Lean Healthcare Management, il Value Based Healthcare e il Design thinking. Per essere efficaci, tali
metodologie devono essere fondate sul lavoro di team multidisciplinari. Superare il concetto di singola prestazione e focalizzare l’attenzione sul percorso di cura permette di ridurre la discontinuità assistenziale, migliorando la relazione tra ospedale e territorio.
Tabella 2 Le metodologie di riferimento
Lean Healthcare Management
Si basa sullo sviluppo di una cultura sanitaria caratterizzata da
una maggiore soddisfazione (dei
pazienti e dei collaboratori) attraverso miglioramenti continui, in
cui tutti i professionisti partecipano attivamente all’identificazione e alla riduzione delle attività che non aggiungono valore.
Attua l’approccio del miglioramento continuo, come processo
di apprendimento evolutivo a
tutti i livelli organizzativi: strategico, manageriale e operativo.
L’approccio si concretizza in un sistema di gestione che mira a ottimizzare i processi, eliminando
sprechi e attività non a valore aggiunto, per migliorare l’efficienza,
la qualità delle cure e l’esperienza
del paziente. Si concentra sulla
collaborazione, sulla standardizzazione dei processi e sul coinvolgimento del personale per garantire un’assistenza centrata sul paziente.
Value Based Healthcare (VBHC)
Viene definito come approccio
alla gestione della salute che
pone al centro il valore generato
per il paziente, piuttosto che il volume di prestazioni erogate. Introdotto da Michael Porter e Elizabeth Teisberg nel loro libro Redefining Health Care (2006), il
VBHC mira a trasformare i sistemi
sanitari focalizzandosi su risultati
clinici significativi e sul contenimento dei costi complessivi.
Design Thinking
Approccio creativo e collaborativo per risolvere problemi complessi, mettendo al centro i bisogni delle persone. Strutturato in
fasi iterative (empatia, definizione, ideazione, prototipazione
e test), combina analisi e creatività per generare soluzioni innovative. Utilizzato in vari settori,
consente di esplorare alternative,
coinvolgere diversi attori e testare rapidamente idee. Questo
metodo promuove una mentalità
orientata all’apprendimento continuo, al lavoro di squadra e all’adattamento, favorendo risultati
efficaci e sostenibili.
Le azioni da intraprendere
Passare da un meccanismo che premia il numero di prestazioni a un sistema che incentiva il valore del percorso di cura è una trasformazione complessa, ma essenziale per migliorare la qualità dell’assistenza e garantire la sostenibilità. Questo cambio di paradigma richiede interventi a diversi livelli: strategico, organizzativo, culturale, tecnologico e strutturale per portare all’integrazione tra le varie unità operative secondo
un modello dipartimentale.
Il Dipartimento, infatti, offre l’architettura organizzativa che meglio risponde alle esigenze correlate alla
complessità dei processi sanitari, alle innovazioni, al governo delle tecnologie, alla gestione dell’ampio spettro di professionalità e competenze, allo sviluppo di efficacia ed efficienza dei servizi offerti, sotto forma di
percorso di cura.
Un Dipartimento deve essere interpretato come una area di lavoro funzionale per rispondere ai bisogni di
salute della popolazione, dove all’interno lavorano unità operative che mantengono la loro autonomia per
rispondere alle richieste peculiari della specialità, ma che nell’individuazione di temi comuni esprimono la
multidisciplinarietà offrendo al paziente le migliori competenze e i più innovativi percorsi di cura.
Diventa fondamentale la definizione e la condivisione di obiettivi comuni da raggiungere, adottando comuni
criteri di comportamento clinico-assistenziali, didattici e di ricerca, dove vengono accettati e condivisi piani
operativi, collaborativi, etici, medico-legali, ed economici.
Le azioni strategiche da tenere in considerazione sono le seguenti:
1. Creazione di una visione comune
• Definire il valore: chiarire che il focus sarà sugli esiti clinici rilevanti per i pazienti e pertanto sulla
salute delle persone.
• Coinvolgimento degli stakeholders: attuare la cooperazione tra gli attori chiave del sistema (istituzioni pubbliche ed enti del SSN, mondo accademico, tessuto imprenditoriale, cittadinanza e sua rappresentanza) e creare programmi strutturati volti al cambiamento lavorando con le diverse figure
coinvolte (medici, pazienti, amministratori, policymaker, amministrativi, informatici, ingegneri,
etc.) per ottenere un consenso condiviso sulla visione.
2. Leadership integrata
• Creare una governance strategica e organizzativa caratterizzata dal lavoro congiunto tra competenze clinico-assistenziali e organizzativo-gestionali, che mirano al raggiungimento di un obiettivo
comune: l’applicazione del nuovo modello di cura. Tale approccio permette di creare un linguaggio
comune e di rispettare le competenze, favorendo la loro massima espressione nella pratica quotidiana per il raggiungimento degli obiettivi comuni e condivisi.
3. Riprogettazione dei percorsi di cura
• Organizzazione dell’assistenza in percorsi integrati per condizioni cliniche, coinvolgendo le diverse
specialità, favorendo la multidisciplinarietà e assicurando il coordinamento e l’integrazione tra diverse aziende, strutture e professionalità coinvolte nella gestione del medesimo paziente.
• Creazione di team multidisciplinari che collaborano in modo integrato, favorendo la presa in carico
globale, eliminando le barriere tra specialità e favorendo la condivisione delle informazioni cliniche
per decisioni tempestive e accurate.
Coordinamento tra i livelli di cura, diversi ma complementari: i pazienti vengono presi in carico da
team multidisciplinari.
Valorizzazione dell’esperienza del paziente (patient experience), adottando un approccio di cura
compassionevole che favorisca il coinvolgimento attivo della persona nelle decisioni terapeutiche.
4. Miglioramento dell’efficienza operativa
• Utilizzo razionale delle risorse, eliminando sprechi e inefficienze attraverso il miglioramento dei processi e l’integrazione delle cure.
• Adozione di nuovi protocolli standardizzati per la riduzione dei tempi di attesa e la redistribuzione
della spesa sanitaria, intesa come investimento.
• Condivisione delle risorse umane e delle tecnologie tra diverse specialità
• Inserimento del medico specializzando nelle aree critiche di assistenza (es. pronto soccorso), migliorando l’esperienza prevista nel percorso di formazione.
5. Focus, misurazione e monitoraggio dei risultati (outcome clinici e oganizzativi)
• Standardizzazione delle metriche: Identificare gli indicatori di esito clinico (es. tassi di sopravvivenza, qualità di vita, riduzione di complicanze) e di performance organizzativa rispetto all’impiego
di risorse associate ai percorsi di cura (flussi di pazienti). La misurazione sistematica e trasparente
degli esiti clinici permette di valutare la qualità delle cure.
• Tecnologia per la raccolta dei dati: implementare sistemi informatici per la raccolta e l’analisi dei
dati sugli esiti e sulle risorse impiegate lungo l’intero percorso del paziente.
6. Sperimentazione dei modelli di finanziamento
Il cambiamento del modello di cura potrebbe permette di sperimentare parimenti modelli di finanziamento alternativi, testando modalità di pagamento in grado di ridurre i costi, mantenendo o migliorando la qualità, la quantità e l’appropriatezza delle cure erogate.
Pertanto, l’attenzione si focalizza sulle misurazioni di processo e di esito.
7. Formazione e cambiamento culturale
• Educazione del personale e dei futuri professionisti: formare i professionisti a collaborare in team, a
utilizzare dati sugli esiti e a coinvolgere attivamente i pazienti.
• Coinvolgimento dei pazienti: Educare i pazienti a partecipare alle decisioni sul loro percorso di cura.
8. Utilizzo consapevole della tecnologia
L’utilizzo consapevole della tecnologia in sanità significa integrare strumenti digitali e innovazioni tecnologiche con i bisogni dei pazienti e la qualità delle cure.
In questo contesto, l’HTA declina in maniera sistemica l’introduzione consapevole delle tecnologie, attraverso l’adozione di dispositivi medici, la protezione dei dati sensibili e la telemedicina.
Accanto a tale tematica, correlata con l’innovazione dei sistemi sanitari, si inserisce l’intelligenza artificiale, con i suoi algoritmi di machine learning e deep learning. Pertanto, un approccio epistemologico
risulta necessario per l’introduzione etica e responsabile all’interno del sistema sanitario. Si deve andare
verso una sostenibilità a favore del genere umano, che non deve creare entropia in un sistema complesso come quello della salute.
Fondamentale è garantire l’accessibilità, la formazione continua del personale e un uso etico, evitando
disuguaglianze e assicurando il benessere dei pazienti in ogni fase del trattamento.
L’informatizzazione dell’area clinico-assistenziale, la dematerializzazione della documentazione medica e l’accessibilità alle informazioni e ai servizi di diagnosi e cura sono presupposti indispensabili per
erogare un’assistenza ad alto valore aggiunto per il cittadino. In questo contesto, dopo la pandemia, la
telemedicina ha acquisito un’importanza fondamentale, determinando lo sviluppo di un’area di assistenza a distanza funzionale alla connessione con il territorio.
Un altro capitolo importante per la sostenibilità (economico-giuridica) riguarda i dispositivi medici impiantabili, soggetti al Regolamento UE n. 2017/745 sui dispositivi medici (MDR).
9. Valutazione continua e miglioramento
• Ciclo di apprendimento continuo: utilizzare i dati raccolti per analizzare le performance, identificare
aree di miglioramento e adattare i percorsi di cura.
• Benchmarking: confrontare i risultati tra strutture e regioni per favorire la diffusione delle migliori
pratiche.
Valutazione
Il modello fondato sull’UC richiede la progettazione di un nuovo sistema di misurazione e valutazione delle
performance organizzative e individuali, che evidenzi il raggiungimento degli obiettivi di sistema, in riferimento alle aree di sviluppo esplicate precedentemente:
• obiettivi di ricerca
• obiettivi di formazione e didattica
• obiettivi di assistenza clinica
È auspicabile che la progettazione di un sistema di misurazione e valutazione delle performance si focalizzi
• indicatori di performance clinico assistenziale che permettano di valorizzare ed evidenziare il livello
di appropriatezza in termini di efficacia (qualità del percorso di cura dal punto di vista clinico, relazionale, organizzativo e strutturale); efficienza (confronto tra il raggiungimento dei risultati e la migliore combinazione e integrazione delle risorse a disposizione, secondo una logica di flusso e non
di singola prestazione); sicurezza del percorso di cura
• indicatori di performance formativa, attraverso la formulazione di obiettivi rivolti all’acquisizione di
competenze tecniche, organizzative e relazionali;
• indicatori di performance di ricerca, legate al trasferimento dei risultati nella pratica sia clinica che
organizzativa
• indicatori di sicurezza e conformità normativa
• indicatori di soddisfazione e coinvolgimento dei portatori di interesse interni ed esterni all’organizzazione attraverso un approccio multistakeholder
• indicatori di efficienza operativa, considerando il lavoro integrato a livello di dipartimenti e di percorsi di cura realizzati, in una logica di flusso
• Indicatori di performance economico-finanziaria volti alla sostenibilità del sistema e alla progettazione del modello di cura proposto
Tale progettazione, racchiude ed esplica le finalità che deve perseguire ogni ente del sistema sanitario, come
l’efficacia e l’appropriatezza dei servizi, l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, il rispetto delle normative, il
rispetto della trasparenza e la sostenibilità.
Per concretizzare tale sistema di misurazione risulta fondamentale attivare team multidisciplinari e costruire
sistemi di analisi e simulazione dei processi e dei meccanismi di valutazione attraverso la stretta collaborazione tra la governance clinica e la governance manageriale, coordinati dalle istituzioni preposte.
Hanno contribuito alla stesura della Carta di Udine:
Cristina Aguzzoli
Coordinatore Reti HPH italiane e Friuli Venezia Giulia, ARCS
Elena Bocin
Dirigente medico di Medicina interna, Dipartimento Testa Collo e Neuroscienze ASU FC
Andrea Cafarelli
Prorettore Vicario, Università degli Studi di Udine
Enrico Furlani
Assegnista di ricerca, Dipartimento di Medicina Università degli Studi di Udine
Ornella Gonzato
Presidente, Fondazione Paola Gonzato Rete Sarcoma ETS
Stefano Grimaz
Chairholder Cattedra UNESCO in Sicurezza intersettoriale per la Riduzione dei Rischi di Disastro e la Resilienza
Antea Monte
Dottoranda di ricerca, Dipartimento Politecnico di Ingegneria e Architettura Università degli Studi di Udine
Luigina Mortari
Professoressa Ordinaria di Epistemologia della Ricerca Qualitativa presso la scuola di Medicina e di Filosofia
dell’educazione presso il Dipartimento di Scienze Umane Università degli Studi di Verona
Elisabetta Ocello
Project Manager, ASU FC
Massimo Robiony
Professore Ordinario, Università degli Studi di Udine
Direttore Dipartimento Testa Collo e Neuroscienze ASU FC
Bruna Scaggiante
Professoressa di Biologia Molecolare, Dipartimento Scienze della Vita Università degli Studi di Trieste
Coordinatrice regionale LILT FVG
Anna Scalise
Dirigente medico di Neurologia, Dipartimento Testa Collo e Neuroscienze ASU FC
Nicoletta Suter
Dirigente Responsabile SSD Formazione, AS FO
Mariarosaria Valente
Professoressa di Neurologia, Università degli Studi di Udine
Direttrice Clinica Neurologica e di Neuroriabilitazione, Dipartimento Testa Collo e Neuroscienze ASU FC
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