Questa volta Matteo Salvini non può dire, come ha fatto in occasione dell’ultimo sciopero generale, esattamente un anno fa, che chi aveva aderito era «un’esigua minoranza». Secondo Cgil e Uil, i lavoratori che hanno manifestato venerdì contro la manovra, i tagli alla sanità, la riforma fiscale e le politiche del governo in 43 piazze d’Italia sono stati 500mila. E l’adesione allo sciopero è stata in media del 70 per cento.
Al di là delle cifre, e delle rituali contestazioni sui numeri, parla il colpo d’occhio generale. Da Milano, Torino, Napoli, Bologna sono arrivate immagini di cortei affollatissimi, maree di bandiere rosso Cgil e azzurro Uil, anche se stavolta c’erano anche i sindacati di base. Dal Colle più alto è arrivato un chiaro segnale di attenzione al mondo del lavoro a cui, ha detto il presidente Mattarella in un messaggio alla Confederazione degli agricoltori italiani, «va assicurato il giusto compenso».
Un riferimento, in particolare, al contrasto al caporalato. Ma l’affermazione ha un valore generale in un paese in cui sono 3 milioni i lavoratori poveri, cioè con un salario sotto i mille euro al mese.
Mezzo paese si ferma
A Roma hanno sfilato in 60mila, a Bologna in 50mila, a Napoli in 30mila. Il comunicato dei sindacati canta vittoria: «Cento per cento di adesioni alla Heineken di Taranto, alla Sammontana di Firenze, alla Citterio di Parma, alla Lagostina di Novara e alla Dana di Reggio Emilia. 85 per cento alla Ferrarelle in Valle Camonica, alla Lavazza di Vercelli, alle Acciaierie Beltrame Vicenza, nei punti vendita Coop e IperCoop della Liguria e alla Carrefour di Carugate (Mi); 80 alla Siemens di Trento e alla Leonardo di Pomigliano d’Arco», «90 all’Ikea di Genova, alla Pirelli di Settimo Torinese e alla Fincantieri di Castellammare di Stabia; 75 a Poltrona Frau di Macerata, alla Italcementi di Brescia e alla Fincantieri di Palermo; 95 alla Isab di Siracusa». Scuole chiuse in tante città. Il sito Collettiva.it, della Cgil, ha battuto in tempo reale le cifre di mezzo paese che si fermava.
A Bologna Maurizio Landini ha marciato al fianco del sindaco Matteo Lepore e del neopresidente della regione Michele de Pascale. Dal palco il segretario Cgil ha attaccato il governo: «Sta raccontando balle, un paese che non c’è. Non rappresenta la maggioranza del Paese».
Poi si è rivolto direttamente a Salvini, che ha precettato i lavoratori del trasporto locale e aeromarittimo riducendo l’astensione da 8 a 4 ore (quelli delle ferrovie nazionali sono stati esentati dallo sciopero dagli stessi sindacati, accogliendo una richiesta della Commissione di garanzia): «Le piazze non si precettano, c’è un tentativo di mettere in discussione il diritto di sciopero, un tentativo serio di una svolta autoritaria». L’anno scorso Landini aveva fatto la stessa denuncia dal palco di Roma. Aveva visto giusto: poi il governo ha approvato un ddl Sicurezza che prevede fino a due anni di carcere per i blocchi stradali.
Landini ne ha chiesto il ritiro: «La sicurezza di un paese non è messa in discussione se i lavoratori di fronte al rischio di licenziamento occupano le fabbriche o le strade. Se molte imprese sono ancora aperte e non sono passati licenziamenti e chiusure, è grazie a lotte, scioperi, occupazioni, blocchi stradali di lavoratrici e lavoratori».
Stessa musica dal palco di Napoli, dove ha parlato il segretario Uil Pierpaolo Bombardieri: «Queste piazze sono la migliore risposta a chi ha criminalizzato una giornata democratica. Chi ha un ruolo istituzionale dovrebbe avere più rispetto».
La destra di governo stavolta non può minimizzare la marea dei cortei. E allora si attacca a una frase di Landini, pronunciata prima di salire sul palco: «È il momento di rivoltare questo paese come un guanto, le ingiustizie hanno raggiunto un livello non più sopportabile». È una variante del precedente invito alla «rivolta sociale» che aveva fatto gridare al «pericolo eversivo».
Ma è troppo anche un guanto. Da FdI lo hanno accusato di essere un «fomentatore di odio» e «cattivo maestro». Poi è successo che nel corteo torinese si è infilato uno spezzone di pro-Pal che ha bruciato foto della premier e un fantoccio con le sembianze di Salvini: è finita a scontri con la polizia.
Ed è qui che Salvini ha affondato in serata: «Quando uno invita alla rivolta sociale e poi stranamente oggi dei dementi attaccavano la polizia e bruciavano le fotografie in piazza, dico al signor Landini che deve essere più cauto quando parla perché poi qualcuno lo prende sul serio».
Conte attacca Schlein
I politici della sinistra si sono divisi per i cortei, Elly Schlein a Roma, Nicola Fratoianni a Bologna. Dove era anche Giuseppe Conte, ma ospite di un’iniziativa dell’Osservatorio economico e sociale. Da qui ha scoccato la prima freccia contro il governo: «Tutti scioperano, tutti si lamentano eccetto le industrie delle armi e le banche: sono gli unici avvantaggiati».
La seconda freccia però è stata contro il Pd, reo di aver votato la nuova Commissione europea, che per lui è «non è progressismo, oggi significa austerità, non più Next Generation Eu. Credo che sia stato commesso un grande errore politico, non un inciampo o un infortunio».
Domenica Conte, Schlein e Landini si rivedranno a Chianciano, invitati da Angelo Bonelli all’assemblea di Europa verde.
In parlamento le opposizioni si stanno muovendo unite contro la manovra, ora bisognerà capire se lo sciopero smuoverà qualcosa, o se Meloni sceglierà lo scontro anche con i sindacati. «Per quel che ci riguarda non finisce qui», ha detto Landini, «c’è il problema di rinnovare i contratti nazionali di lavoro, sia pubblici sia privati, e di impedire licenziamenti e chiusure di fabbriche». E in primavera la prova dei referendum. Balla ancora quello sull’autonomia differenziata: Meloni vuole evitarlo, il sindacato invece si sta preparando.
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