di Ludovico Conti
Il 1924 è stato un anno cruciale per la storia italiana e per il giornalismo in particolare. Fu l’anno in cui, con l’assassinio di Giacomo Matteotti e i decreti del luglio voluti da Mussolini, il regime fascista mise fine alla libertà di stampa. Ma fu anche l’anno in cui si posero le basi per l’utilizzo delle nuove tecnologie, come la radio e il cinema, per il controllo propagandistico. Questo doppio volto del 1924 è al centro della mostra fotografica e multimediale organizzata dalla Fondazione Murialdi, ospitata presso la Casa della Memoria e della Storia a Roma (Via S. Francesco di Sales, 5) dal 14 novembre 2024 al 10 gennaio 2025 e probabilmente sarà trasferita anche in altre città . L’esposizione, che include anche documenti inediti, riflette sulla repressione fascista e sulle prime forme di modernizzazione autoritaria dei media, invitandoci a una riflessione che collega passato e presente.
Ne parliamo con Enrico Menduni, accademico e studioso dei media, presidente dell’ISIMM nonché curatore della mostra.
Professore può raccontarci come è nato questo progetto?
Il progetto è nato nel comitato scientifico della Fondazione Murialdi. La fondazione dedica al centenario dell’anno 1924, in cui la libertà di espressione fu cancellata per decreto, un ciclo di iniziative.
In quell’anno la libertà di stampa viene bruscamente interrotta per iniziativa del governo Mussolini che, in coincidenza non casuale con il delitto Matteotti e la crisi che esso determinò, emette nel luglio 1924 due decreti che di fatto cancellano la libertà di stampa e porteranno anche alla fine della libera organizzazione sindacale dei giornalisti italiani. Quindi un evento particolarmente importante e drammatico: la libertà di espressione sarà pienamente affermata solo con l’ articolo 21 della Costituzione del 1948.
Tuttavia il 1924 è un anno bifronte. Da una parte il fascismo contrasta, limita e reprime la stampa in cui individua un elemento di critica, di dissenso, di controllo da parte dell’opinione pubblica sull’operato del governo: lo fa prima in quanto partito, poi dal 1924 con l’apparato repressivo dello Stato. Dall’altra, quasi negli stessi giorni Mussolini promuove non solo la fondazione di un ente radiofonico e l’inizio delle trasmissioni radio, ma anche la costituzione di quello che sarà l’Istituto Luce, dedicato al cinema e alla fotografia. Si dota quindi di quelli che all’epoca erano le “nuove tecnologie”, i “nuovi media”, e in regime di monopolio, con un investimento di lunga portata, un po’ futurista, un po’ dannunziano.
Intendevamo quindi riflettere su quest’anno non soltanto nella sua valenza repressiva della libertà di stampa, ma anche come inizio di una “variante autoritaria” di una modernizzazione che tutta l’Europa, dopo la Prima guerra mondiale, stava affrontando. Due esempi: in Italia non c’era ancora una regolazione della radiofonia né un intervento dello Stato. Non c’erano i cinegiornali, che in Francia esistevano dal 1908 e dal 1911 in Inghilterra e Stati Uniti. L’esempio più classico della necessità dell’intervento dello Stato nei media è quello della radiofonia: in nessun paese europeo, compresa la Gran Bretagna, sarebbe stato possibile il finanziamento della radio che avevano adottato gli Stati Uniti (trasmissioni gratuite per gli ascoltatori, pagate dagli inserzionisti pubblicitari) per la relativa esiguità del mercato potenziale e il minor potere d’acquisto dei consumatori. Il fascismo fu abile nell’affrontare questa necessità in modo da acquisire il monopolio di un nuovo medium, la radio appunto, molto utile per la propaganda e accessibile anche agli analfabeti, che sfioravano il 40% della popolazione.
La mostra include materiale inedito proveniente dalla Fondazione “Paolo Murialdi”. C’è un documento o una fotografia che considera particolarmente significativo?
La Fondazione Murialdi possiede una imponente mole di documenti: giornali, fotografie, manoscritti, fondi archivistici di giornalisti; ma anche i documenti della Federazione della Stampa prima della sua abolizione da parte del fascismo (1926). Nella mostra sono esposti i verbali delle riunioni che testimoniano dei ripetuti attacchi del fascismo contro la libertà della stampa e l’autonomia della categoria.
Durante il convegno d’apertura ha parlato anche di come il giornalismo stia cambiando e di come stiano cambiando i flussi dell’informazione..
Il tema fondamentale è il passaggio da un’informazione prevalentemente gestita da operatori professionali (giornalisti ed editori) con specifiche deontologie, tipicamente novecentesca, ad una informazione in cui chiunque può produrre e diffondere, anche in diretta e in tutto il mondo, qualunque contenuto che ha creato o che adattato con la modifica di contenuti di altri. Questa svolta si è determinata nel nostro millennio con la deflagrante simultaneità della digitalizzazione, dei social network, dello smartphone. La difficile convivenza tra queste due forme dell’informazione (ovviamente non mancano anche forme miste) ha creato un sistema di rischi e di opportunità in cui l’informazione editoriale rischia di essere sommersa dalla disinformazione. L’intelligenza artificiale rende questo dilemma sempre più attuale.
Nel 1924 si è verificata una vera e propria repressione istituzionale della stampa libera. Guardando a quell’anno, quali segnali ritiene possano essere utili per leggere le difficoltà attuali che il giornalismo affronta?
L’affermazione in tante parti del mondo di governi e partiti “sovranisti” si coniuga – non sempre ma spesso – con una richiesta di subordinazione dei media al potere esecutivo, e con la richiesta pressante, talvolta esplicita, di una informazione che non disturbi, “remando contro”, o che non metta in luce, difetti, lacune, mancanze delle forze al potere. Queste pressanti richieste si combinano con una situazione finanziaria dei giornali (e anche di radio e tv) generalmente più povera del passato anche per la concorrenza fortissima di altre forme gratuite di informazione diffuse su internet. Il combinato disposto di queste due situazioni critiche può creare effetti deflagranti. Anche su questo pericolo la mostra organizzata dalla Fondazione Murialdi accende un faro.
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