ROMA – La sua assenza si nota. La sua presenza anche. Mattia Zaccagni è temporaneamente fuori dalla Nazionale, ma straordinariamente dentro una Lazio entusiasmante della quale è diventato il leader non solo tecnico. Vive un momento talmente felice da non riuscire a coltivare rimpianti o accendere polemiche. «Felicità massima, la mia» garantisce, «la squadra sta andando bene, risponde alle sollecitazioni di Baroni ed è tutto fantastico». Mattia è oggi un giocatore solido, per il quale l’esecuzione viene sempre prima dell’invenzione. Per colpa del cognome è inseguito da un termine, “zaccagnata”, che ferisce solo chi ne subisce una o più. Lo incontriamo a Formello, campo e ormai casa: «Da qui non intendo muovermi più».
Le zaccagnate, i 4 gol e i due assist col Verona, hanno fruttato 9 punti, nessuno finora ha portato più punti di te.
«Mi sono fatto le ossa in C e in B. Ho raggiunto la consapevolezza, mi fa sentire sereno, è stato lo step mentale per diventare completo».
Capello ha detto che sposti le partite.
«Penso che sia vero. Lo ringrazio, è un grande. Sono onorato».
Una zaccagnata è il “tiraggiro” alla Del Piero o alla Insigne. Come ti viene? Lo alleni?
«L’ho allenato tanto nella mia mente. Avendo da sempre come idolo Alex (Del Piero, ndi) guardavo tante sue giocate, era il suo tiro, la sua mattonella. Mi ha scritto dopo Monza e mi ha detto “gol bellissimo”».
Cos’hai risposto?
«Gli ho scritto “non potevo che onorare il tuo 50º compleanno dalla tua mattonella”».
La scintilla bisogna averla dentro.
«Provo tanto in campo. Ma il gesto mi viene naturale. Partendo da sinistra, calcio col mio piede che è il destro, mi viene automaticamente».
Il bello è che il “tiraggiro” di destro ti viene con una torsione innaturale della caviglia sinistra, tutta piegata, da molleggiato. È successo a Monza come nel derby del 19 marzo 2023: è come segnare in bilico.
«È una mia postura naturale, la assumo dopo il tiro. Mi piego molto col corpo sulla gamba d’appoggio, ma questo non lo percepisco. Non so se aiuta a dare il giro, so che mi viene così».
A Verona la zaccagnata era la rovesciata alla Carlo Parola, come da figurina Panini.
«Era uno Spezia-Verona e segnai a Provedel».
Chissà gli sfottò…
«L’ho preso in giro tante volte. Tiro imparabile, Ivan non aveva grosse colpe (Ride)».
Non dimentichiamo l’incornata in avvitamento contro l’Empoli, assist di re Tavares.
«Ho segnato anche di tacco, di testa, un po’ in tutti i modi».
Com’è avere quel treno alle spalle?
«Un altro po’ e Tavares butta giù anche a me (altra risata). Grande giocatore, ci dà tanta qualità, forza. Stiamo cercando di sfruttare le sue doti e i frutti si vedono».
Non vale come risposta “è merito del lavoro”. Che magia c’è dentro la Lazio?
«Partiamo dal lavoro della società, il mercato di rinnovamento. E Baroni da subito ci ha dato una grande carica, serenità, la scelta dell’allenatore è stata fondamentale».
Luca Pellegrini un giorno ha detto “Baroni non ha mai sbagliato un discorso”.
«E non ha mai sbagliato a preparare una partita, non ci riempie di indicazioni tecniche o tattiche, ci dà quelle che servono».
Nessuno ci credeva, non dirmi che voi…
«Eravamo carichi, curiosi di scoprire Baroni. È stato un impatto piacevole. Ci ha immersi in tanto lavoro, in tanti allenamenti a grande intensità, questo ci ha portati nella condizione di sfruttare il suo gioco».
Guardate la classifica o mi dai la risposta di comodo?
«Dev’essere il motivo che ci dà la spinta per andare avanti così. Si guarda, ma a questo punto della stagione è prematuro pensare a grandi obiettivi. Giochiamo per vincere sempre, l’atteggiamento dev’essere lo stesso».
Quattro punte mobilissime, come si gioca nel calcio senza “ruoli” di Baroni?
«La mobilità che abbiamo descrive l’efficacia del calcio di oggi, con sempre meno ruoli rigidi. Ognuno di noi ha più ruoli da coprire, questo ci chiede Baroni. Non dare punti di riferimento. Io vado molto dentro al campo o resto largo, dipende anche da cosa fanno il terzino e il mediano. Tutti movimenti che portano a soluzioni di gioco».
Dopo Monza hai detto “mi sento libero”.
«Sì perché Baroni, a 30 metri dalla porta, ci dice “fate quello che volete”. Insiste molto nel puntare l’uomo, io mi trovo alla grande».
Otto anni fa eri in C, oggi sei il capitano della Lazio a meno uno del Napoli e dell’en plein in Europa.
«Mi sono affezionato a questo club, ho anche la responsabilità della fascia. Mi sento di aiutare i ragazzi più giovani».
Capitano con la 10, ala-bomber. Il peso di Ciro, Luis e Felipe tutto sulle spalle.
«Uno stimolo. Ciro è un grande giocatore, è un grande amico. Mi sento con lui, mi dà consigli. È anche il padrino di mio figlio Thiago».
Sentivi che saresti stato tu l’erede?
«Non ne sapevo nulla. Quando Baroni mi ha comunicato la decisione ero veramente contento, orgoglioso e voglioso di indossare la fascia».
Sembrò una decisione imposta dall’alto.
«Mai nessun problema nello spogliatoio».
È la Lazio dei capitani, citazione di Baroni.
«Marusic ha tanta esperienza. Ci sono Patric, Alessio, che è stato capitano del Milan. L’ha indossata Ivan. È una bella cosa. Sono sereno, chiunque la indossa la porta in alto».
Lazio di capitani e di giocatori-tifosi. È bello vedervi cantare gli inni.
«È bello e coinvolgente vincere all’Olimpico, la Curva e tutti i tifosi trasmettono passione, voglia di indossare la maglia. C’è grande passione in campo. Giocare per la Lazio è diverso».
In che senso?
«Ti fa stare dentro la passione dei tifosi. Ti porta a essere tifoso di questa storia e di questa maglia».
Piola, Wilson, Chinaglia, D’Amico, Giordano, Signori, Nesta, Favalli, Immobile e Zaccagni. Che capitano pensi di essere?
«La fascia la indosso e la indosserò a modo mio, con tutto me stesso».
Nel calcio di oggi si può ancora dire “capitano a vita”?
«Ho quasi trent’anni e cinque di contratto. Qui sta bene la mia famiglia, siamo contenti, per ora non ho altro futuro che la Lazio».
Juric cosa ti ha dato a Verona?
«Il salto mentale».
E Sarri?
«Mi ha voluto alla Lazio, gliene sarò sempre grato. Mi ha insegnato come difendere, come attaccare la porta e come gestire il possesso».
Tudor cosa ti ha tolto?
«Nulla. Come allenatore era più simile a Juric, come ruolo lo interpretava in tutt’altra maniera. Certe volte mi sono trovato a fare il quinto. Spendevo un po’ troppo in fase difensiva. Siamo riusciti a raggiungere l’Europa che stiamo vivendo adesso».
Ti sei chiesto perché non sei in Nazionale?
«La Nazionale è un obiettivo per tutti, mi sarebbe piaciuto andarci. Spalletti ha fatto questa scelta, giocare in questo modulo obiettivamente è un po’ penalizzante».
Ne avete parlato?
«No, ma quando sono stato convocato dopo l’Europeo mi sono accorto che ero l’unico esterno d’attacco. Il cittì dice che posso anche ricoprire il ruolo di seconda punta. In partita con la Lazio mi alleno a farla, spesso mi trovo a ridosso del centravanti. Non è difficile, ma è un ruolo diverso. Questione di abitudine».
Dopo il gol alla Croazia non hai rigiocato, ci sei rimasto male?
«Se il modulo della Nazionale fosse lo stesso della Lazio il mister mi chiamerebbe a occhi chiusi. Credo sia tutto riferito a questo».
Dopo il gol nel derby rimanesti chiuso nello stadio, non ti facevano uscire. Il prossimo lo vivrai da capitano.
«Sarà ancora più bello vincerlo».
Sei nato regista.
«Marco Osio mi faceva giocare regista a 16 anni in C2, nel centrocampo a tre. Ero sempre stato mezzala sinistra. Quando abbiamo vinto la B a Verona ho fatto l’interno sinistro. Juric giocava a due in mezzo. Mi lasciava libero di allargarmi sulla fascia, di venire dentro da trequartista».
Ieri Del Piero, oggi chi ti ispira?
«Il più forte è Vinicius».
Ammucchiata scudetto, ci sarà anche la Lazio fino alla fine?
«Tante squadre forti, è bello così e per la Lazio sarebbe bello rimanere aggrappata fino alla fine».
Cosa significa quella maxi tigre tatuata sulla schiena?
«Mi piaceva il disegno, tutto qui».
Perché l’Arciere?
«Nel video di presentazione della Lazio c’era una mia esultanza da Arciere, nata casualmente, era piaciuta ai tifosi. L’ho adottata».
Di padre in figlio. Il piccolo Thiago (ieri 2 anni festeggiati a Disnelyland) veste Lazio.
«Quando la mattina io e Chiara gli mettiamo jeans e felpa vuole indossare anche il pantaloncino della Lazio e la maglia. È fantastico. Non vedo l’ora che arrivi la partita per portarlo in campo. Vedo nei suoi occhi la passione per il pallone e verso la Lazio. E lui, appena vede qualcosa, lo scudetto della Lazio o l’aquila, impazzisce. È bello trasmettergli tutto questo».
Hai acquistato un lido sul lungomare di Bellaria-Igea Marina e uno storico caffè di Rimini. Studi da imprenditore?
«Ho acquistato una spiaggia, per ora mi piace solo investire. Il bar è storico, l’ho preso con alcuni amici, mi piace andare a trovarli quando torno a casa».
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