Elon Musk è stato uno dei personaggi più raccontati dell’ultima campagna elettorale statunitense, per il ruolo molto attivo che ha avuto nel promuovere la candidatura di Donald Trump. Musk ha usato le sue aziende, in particolare X (Twitter), ha partecipato agli appuntamenti elettorali e all’organizzazione della campagna e soprattutto ha donato al comitato elettorale di Trump molto denaro, una cifra stimata fra i 130 e i 200 milioni di euro. Non è però l’unico miliardario ad aver sostenuto in modo molto consistente Trump: nell’elenco dei maggiori finanziatori del presidente eletto ci sono decine fra gli uomini più ricchi degli Stati Uniti.
Molti lo hanno fatto non solo per motivi puramente politici, ma anche per questioni legate direttamente ai loro affari. E, come segnala un articolo del New York Times, ora sono pronti a passare all’incasso. Si attendono cioè che vengano approvate alcune misure, presenti nei programmi e nei discorsi di Trump, che potrebbero farli ampiamente “rientrare” dei soldi investiti.
Musk potrebbe non essere nemmeno il donatore più munifico di questa campagna: Timothy Mellon, 82enne erede di una storica famiglia dell’alta finanza statunitense, ha donato oltre 150 milioni di dollari. Mellon è uno storico sostenitore dei candidati Repubblicani, altri miliardari e uomini di affari si sono invece avvicinati a Trump più recentemente, e mossi da ragioni specifiche.
Fra questi ci sono imprenditori del settore del petrolio e del gas, come Chris Wright, nominato sabato segretario all’Energia nella prossima amministrazione, o Harold Hamm, fondatore di Continental Resources, azienda attiva principalmente nel settore petrolifero. Oltre a favorire perforazioni per la ricerca di combustibili fossili la prossima amministrazione potrebbe aiutare il settore anche eliminando le sovvenzioni per i veicoli elettrici, rallentando così la transizione da quelli a benzina o diesel.
Ma attese e possibilità hanno spinto a sostenere la campagna di Trump anche esponenti dell’industria delle armi e delle carceri private, oppure uomini d’affari attivi nel settore dei mutui, delle criptovalute o dell’intelligenza artificiale.
Marc Andreessen, 53 anni, fu uno dei cosiddetti “pionieri di internet”, a capo di varie big tech californiane che furono grandi sostenitrici dei Democratici, in varie campagne presidenziali. Oggi il suo fondo investe in società e start up nel campo dell’intelligenza artificiale, delle criptovalute e anche della tecnologia da utilizzare a scopi bellici. È diventato un convinto e attivo finanziatore di Donald Trump, da cui si aspetta in primo luogo una limitazione o soppressione di parte dei controlli governativi sulle attività delle grandi aziende tecnologiche, che avevano reso più complesse le acquisizioni delle start up: «Le agenzie di regolamentazione erano state autorizzate a usare la forza bruta per indagare, perseguire e intimidire le nuove aziende».
Trump potrebbe anche eliminare per le aziende che si occupano di AI l’ordine di fornire rapporti sui rischi che queste tecnologie possano essere usate da paesi o singoli terroristi per costruire armi di distruzione di massa. È una misura che implica spese e limitazioni per questo genere di aziende.
Andreessen è inoltre fra coloro che potrebbero ottenere importanti vantaggi da una regolamentazione favorevole o perlomeno blanda riguardo al settore delle criptovalute. I gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, noti soprattutto per il contenzioso con Mark Zuckerberg riguardo all’ideazione di Facebook, sono diventati grandi investitori del settore e finanziatori di Trump.
Il prossimo presidente ha dichiarato in campagna elettorale di voler licenziare Gary Gensler, presidente della SEC (Securities and Exchange Commission, l’organo di vigilanza sulle questioni finanziarie e di borsa), che ha avuto un approccio prudente e restrittivo nei confronti delle criptovalute: il valore dei bitcoin ha raggiunto i suoi massimi storici dopo l’elezione di Trump. Ha interessi nel settore anche Howard Lutnick, possibile candidato al ruolo di segretario del Tesoro (e particolarmente sostenuto da Musk per quell’incarico).
Il New York Times inserisce nell’elenco dei finanziatori “interessati” anche Joe Lonsdale, che ha un’azienda di tecnologie legate alla difesa: il settore lamentava spesso come la passata amministrazione fosse legata a storici fornitori e meno propensa a innovazioni e nuovi strumenti. Le cose potrebbero cambiare con Trump.
Brian Evans, amministratore delegato di Geo Group, si attende un aumento del volume d’affari della sua azienda, la più grande nel settore delle carceri private. Se verrà realizzata, la promessa elettorale di rastrellamenti ed espulsioni di massa per le persone che vivono irregolarmente negli Stati Uniti porterà a un aumento della richiesta di posti nelle carceri. Le azioni del gruppo sono già tornate ai loro massimi, toccati una prima volta proprio dopo la prima elezione di Trump.
Tutti questi imprenditori hanno finanziato la campagna Repubblicana con milioni di dollari: lo ha fatto anche John Paulson, a capo di un fondo di investimento interessato soprattutto alla possibile privatizzazione della Fannie Mae e Freddie Mac, società che fornisce una gran parte dei mutui negli Stati Uniti e di cui lo stato prese il controllo dopo la crisi economica nel 2008.
A queste politiche e decisioni specifiche si aggiunge poi un atteggiamento decisamente favorevole di Trump verso la parte più ricca della popolazione, già mostrato durante il primo mandato con tagli delle tasse proprio per chi aveva un patrimonio maggiore. Molti miliardari che hanno garantito la maggior parte delle donazioni ricevute dalla sua campagna si attendono un approccio simile anche a partire da gennaio.
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