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Franco Ferrarotti, nei suoi libri la nostalgia di Dio


Franco Ferrarotti, nei suoi libri la nostalgia di Dio

Eā€™ morto Franco Ferrarotti, i suoi libri hanno fondato la sociologia italiana. Un pensatore originale e profondo, che vedeva nel sacro la risposta allā€™inquietudine umana. Noi lo ricordiamo cosƬ.


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Eā€™ recentemente scomparso Franco Ferrarotti, padre e decano della sociologia italiana.

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Professore emerito allā€™UniversitĆ  La Sapienza di Roma, insegnĆ² nelle principali universitĆ  del mondo (Boston, New York, Toronto, Mosca, Varsavia, Tokyo ecc.).

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I libri e Ferrarotti, dal sacro al ā€œmistero di Dioā€

Nei suoi libri, Ferrarotti sviluppĆ² una profonda riflessione sul sacro e sul fenomeno religioso utile per comprendere la condizione umana. In particolare nel suo La religione dissacrante (EDB 2015), pubblicato con lā€™editore cattolico dei dehoniani.

Molto interessanti le sue riletture dei grandi classici del pensiero sociologico e filosofico, in cui scorse la disperazione dellā€™uomo moderno a causa della scomparsa del sacro e di ciĆ² Ā«che dĆ  senso (coscienza della direzione del movimento) alla vita umanaĀ».

Lā€™eminente sociologo italiano si pose cosƬ agli antipodi di Sigmund Freud.

Lungi da essere unā€™illusione, scrisse Ferrarotti nei suoi libri, la religione ĆØ quello spazio reale in cui lā€™essere umano rivive la dimensione archetipica che fornisce un senso e gli permette di cogliere la propria dimensione profonda.

In unā€™intervista del 1980, Franco Ferrarotti osservĆ² anche il Ā«disorientamento eticoĀ» della modernitĆ :

Ā«Le societĆ  immanenti ritengono di poter fare a meno di qualsiasi trascendenza. Ma per questa via ĆØ inevitabile che finiscano, come il viaggiatore di Marco Aurelio, di dimenticare lo scopo del viaggio lungo la strada. Di qui il disorientamento, il disagio esistenziale e sociale, il senso acuto di una fretta che ĆØ tanto urgente quanto priva di ragioni. Le societĆ  tradizionali mutuavano questi valori dai testi sacri; le societĆ  odierne li ricercano nel frutto di quella consapevolezza sociale media che mi piace chiamare ā€˜religione laicaā€™ o ā€˜religione civileā€™Ā».

Pur non rinunciando a criticare la Chiesa in quanto accentratrice di potere (ā€œVaticano costantinianoā€) e la ā€œmilitanza attiva e polaccaā€ di Giovanni Paolo II (sottolineandone Ā«le virtĆ¹, ma anche le chiusure e i limiti della sua matrice storica, sociale e culturaleĀ»), nonchĆ© rimanendo su posizioni religiose ā€œnon allineateā€, Ferrarotti si mostrĆ² molto sensibile al tema della preghiera.

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Ā«La preghiera, a mio parere, ĆØ lā€™atto religioso per eccellenza ed ĆØ un peccato che nel raduno interreligioso di Assisi ogni gruppo religioso abbia pregato per conto suo. Per me la preghiera ecumenica dovrebbe esprimere la fondamentale convergenza dei valori positivi delle cinque grandi religioni universali (giudaismo, cristianesimo, islamismo, induismo e buddismo). Detto altrimenti la preghiera ecumenica ĆØ un atto di riconoscimento e accettazione dellā€™altro e del diverso e fra i suoi precedenti importanti richiamerei in primo luogo la virtĆ¹ di certi illuministi, a torto ritenuti irreligiosi, che si riassume nella predicazione e ancor piĆ¹ nella pratica della tolleranzaĀ».

La preghiera come formula dellā€™ecumenismo, quindi. Una visione forse relativistica, progressista e sincretista, certamente non banale. Ma che tradisce, in fondo, una sensibilitĆ  personale verso la quale non si espose mai in modo chiaro.

Lontano dal dibattito sullā€™esistenza o meno di Dio, Ferrarotti intervistato da Monica Mondo su TV2000 (video qui sotto) rispose: Ā«SƬ, si potrebbe pensare a un Dio che crea. Questa disputa che da secoli ci occupa e preoccupa se esista o non esista Dio. Esiste il mistero dellā€™Universo, il mistero di Dio. Questo senso di perplessitĆ  che oggi la tecnologia non riesce a comprendere, nĆ© a esprimere. Corre, corre, dimenticando lo scopo della corsaĀ»

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Ferrarotti, lā€™amico Pavese e il bisogno di trascendenza

Non ĆØ un caso che fu amico personale di Cesare Pavese, come ricordĆ² in molti suoi libri Ferrarotti.

Con Pavese condivise moltissimo tempo, ma anche il dramma spirituale e lā€™aspirazione alla trascendenza.

Come scrivevamo in passato, ha raccontato della loro amicizia in Al Santuario con Pavese, storia di unā€™amicizia (EDB 2016), nel quale Ferrarotti ricordĆ² la visita assieme a Pavese al Santuario Santa Maria di Crea, nel Monferrato, durante gli anni piĆ¹ duri della Resistenza.

Giunto al Santuario, lo stesso Pavese si accostĆ² alla Santa Comunione pur non essendo piĆ¹ qualcosa a lui familiare.

Ferrarotti descrisse questo episodio di nostalgia verso la fede della gioventĆ¹ come Ā«unā€™esperienza piuttosto rara fra gli intellettuali molto consci di sĆ©, della propria cultura, superbamente chiusi nella famosa torre dā€™avorio, pronti a turare i buchi dellā€™universo con i loro berretti da notteĀ».

Nei suoi libri Ferrarotti scrisse riflessioni inedite su Cesare Pavese, individuando in lui Ā«sempre presente e nel fondo, misteriosamente operante, un sentimento religioso che lo rendeva estraneo allo storicismo ā€œlaicisticoā€ allora dominanteĀ».

Probabilmente il celebre sociologo apprese da Pavese la stessa irrisolutezza esistenziale, quella per cui Pavese, di fronte alla mondanitĆ  e allā€™effimera felicitĆ  dei suoi contemporanei, rivelava lā€™Ā«indicibile angosciaĀ» di un uomo che non se ne fa nulla del plauso del mondo e sa di non poter risolvere lā€™enigma dellā€™esistenza in un orizzonte soltanto immanente.

Pavese, scrive Ferrarotti, visse con Ā«il rospo del mistero del divino, il bisogno di una trascendenzaĀ» che potesse dare senso alla Ā«fatica interminabile, lo sforzo per star vivi dā€™ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come mosche dā€™estate [ā€¦] e avverte nel profondo un bisogno essenziale di immortalitĆ Ā».

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Ferrarotti e Simone Weil, la stessa inquietudine interiore

Un altro grande interesse di Franco Ferrarotti emerso nei libri fu verso la figura di Simone Weil, filosofa e mistica cattolica.

Ad essa dedicĆ² il suo Pellegrina dellā€™assoluto (Edizioni Messaggero 1996), descrivendola come animata da una Ā«natura ardente, assetata di certezze trascendentiĀ».

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E forse lui stesso sentƬ suo il tormento interiore di Weil, quella Ā«fede senza dogmiĀ» (Laterza 1990) che divenne uno dei libri di Ferrarotti piĆ¹ famosi.

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Non stupisce che il suo collega e amico Roberto Cipriani, emerito di Sociologia allā€™UniversitĆ  Roma Tre, abbia notato che quando Ferrarotti scrive della Weil, Ā«forse pensa almeno in parte anche a se stessoĀ».

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Qui sotto una bella intervista a Franco Ferrarotti



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