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è il mercato, bellezza! Il bonus alle scuole private è pura ideologia


L’emendamento di Fratelli d’Italia che vuole introdurre un bonus da 1.500 per gli studenti che si iscrivono alle scuole private è solo l’ennesimo tentativo da parte dei governi di destra di introdurre nella politica scolastica uno dei principi fondamentali della concezione neoliberista dell’istruzione

L’emendamento alla manovra di bilancio appena presentato da Fratelli d’Italia intende finanziare bonus da 1.500 euro per genitori che vogliono iscrivere i figli e le figlie alle scuole paritarie. Niente di nuovo sotto il sole. Si tratta dell’ennesimo tentativo da parte dei governi di destra di introdurre nella politica scolastica uno dei principi fondamentali della concezione neoliberista dell’istruzione.

Fu infatti il grande padre del neoliberismo Milton Friedman a formulare per primo, in un articolo del 1955 intitolato The Role Of Government in Education, la proposta dei cosiddetti “buoni scuola”: «Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali. (…) L’iniezione di concorrenza promuoverebbe una sana pluralità di scuole. Farebbe molto anche l’introduzione della flessibilità nei sistemi scolastici. Non ultimo tra i suoi benefici vi sarebbe quello di rendere i salari degli insegnanti sensibili alle forze del mercato. Si darebbe in questo modo alle autorità pubbliche un indice indipendente in base al quale definire i livelli salariali e una più rapida capacità di adeguamento al mutare delle condizioni della domanda e dell’offerta».

Definanziando la scuola pubblica e introducendo meccanismi di concorrenza privata in ambito scolastico andrebbero a instaurarsi, secondo Friedman, processi virtuosi in termini di efficienza e massimizzazione delle scelte. Affinché ciò accada, tuttavia, è essenziale che lo Stato venga meno al suo ruolo di pianificatore e erogatore di istruzione, limitandosi a stabilire requisiti minimi e vigilare affinché vengano rispettati. Dovrebbe, in sostanza, assumere funzioni di coordinamento e vigilanza anziché di comando.

Istruzione, bene privato

Alla base di tale visione — fatta propria e sostenuta per decenni da Banca Mondiale, WTO e OCSE — c’è la convinzione che l’istruzione presenti caratteristiche tali da poter essere assimilata a un bene privato anziché pubblico. Come recita un rapporto della banca mondiale del 1998: «L’istruzione non deve più essere trattata come un bene meramente pubblico. Questo perché presenta caratteristiche di rivalità (offerta limitata), esclusività (spesso è accessibile a pagamento) e rifiuto (non è richiesta da tutti), le quali non corrispondono alle caratteristiche di un bene meramente pubblico, ma, piuttosto, sono proprie di un bene privato. In secondo luogo, i consumatori di istruzione superiore sono ragionevolmente ben informati mentre non lo sono i fornitori – insomma, una condizione ideale per l’operare delle forze del mercato».

Le regole del mercato

Il percorso formativo di un individuo diviene qui un investimento privato finalizzato a incrementare il valore di mercato del proprio bagaglio di conoscenze e competenze. L’istruzione, nella prospettiva neoliberista promossa dalla destra e dalle organizzazioni internazionali, è concepita come un segmento del sistema economico complessivo. Il suo compito è quello di fornire al mondo delle imprese il capitale umano necessario, calibrandolo il più possibile in base alle quantità e alle qualità richieste dal mercato del lavoro. Le istituzioni educative, secondo questa visione, devono operare come servizi alle imprese.

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In questo modo l’idea di istruzione come parte del welfare e bene pubblico viene messa definitivamente in discussione. La “libertà di scelta educativa” da parte delle famiglie — fondamento ideologico della proposta dei buoni scuola — è da intendersi letteralmente come libertà di scelta in senso economico, di mercato. Va di pari passo con la progressiva mercificazione dell’istruzione.

La cultura e la disponibilità finanziaria della famiglia divengono così l’elemento cardine della scelta. L’istruzione che un soggetto riceve dipende dalla ricchezza e dalle ambizioni dei genitori. Come scriveva qualche anno fa un noto studioso dei sistemi scolastici, si compie così il passaggio dall’ideologia della meritocracy a quella della parentocracy.

Il ruolo della Chiesa

È importante considerare una specificità nel contesto italiano. Le forme di finanziamento destinate alle scuole private hanno storicamente rappresentato uno strumento centrale nella gestione dei rapporti tra Stato e Chiesa. La Chiesa di Roma ha sempre mostrato una notevole apertura verso qualsiasi forza politica, di destra o di sinistra, pronta a sostenere le scuole confessionali. Per ottenere il consenso ecclesiastico, non esiste proposta più allettante da mettere sul tavolo. Insomma, non stupisce che la proposta dei buoni scuola incontri il favore delle due formazioni sociali il cui potere di controllo e disciplinamento nell’ambito dell’educazione è stato progressivamente eroso dalla modernità e dal progresso sociale: la Chiesa e la famiglia.

© Riproduzione riservata



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