PESCARA. Ci sono anche due minorenni nella banda del terrore che – quasi come sul set di Arancia meccanica – perseguitava e minacciava con mazze di legno e coltelli chiunque passasse nel loro giro d’azione. Una associazione a delinquere composta da sette extracomunitari che nelle loro «scorribande» “educavano” i due ragazzini (anche loro stranieri) alla violenza, portandoli a diventare complici di continue percosse, minacce di morte e lesioni su passanti scelti senza nessun specifico motivo. L’accusa del pm Gennaro Varone, titolare del fascicolo, contesta alla banda reati di estorsione, atti persecutori e, infine, associazione a delinquere «finalizzata alla commissione di più reati di violenza privata, minaccia aggravata, percosse, estorsioni». Poco prima dell’alba di mercoledì scorso, i poliziotti della squadra mobile di Pescara, guidati dal dirigente Gianluca Di Frischia e dal vice Mauro Sablone, e con il supporto della squadra mobile teatina e del commissariato di Vasto, hanno eseguito l’arresto di cinque membri della banda, su disposizione del gip Mariacarla Sacco. Si svolgeranno stamattina, alle ore 10, gli interrogatori di garanzia e l’udienza di convalida degli arresti. Continua la caccia agli altri due nordafricani, membri della banda che finora non sono stati trovati.
il territorio d’azione Hanno origini nordafricane i volti della banda criminale: ci sono cinque 19enni e un 18enne egiziani e un 18enne tunisino. A cui si aggiungono due ragazzini stranieri la cui età non supera nemmeno i 18 anni. All’interno della banda c’è anche chi lavora e mensilmente porta a casa la busta paga: è il caso del 19enne egiziano, residente a Vasto, difeso dall’avvocato Francesco Bitritto. Il 19enne la mattina lavorava in una azienda edile della città, la notte si trasformava nell’aggressore violento di Pescara. «Aveva un cappello tipo baseball di colore beige», è un dettaglio fornito da una delle vittime ai poliziotti. La banda, mossa da un «comune programma criminoso» e con «il mero desiderio di fare del male al prossimo», aveva un raggio d’azione ben preciso: il centro cittadino era sotto il loro controllo. I membri della banda – tra di loro non ci sono legami di parentela se non l’origine nordafricana – erano soliti frequentare il centro «in ogni ora del giorno e della notte». Tra i punti d’attacco ci sono i locali della movida nella zona centrale della riviera; poi si spostavano attorno alla Nave di Cascella; passando su corso Umberto, via Cesare Battisti e corso Vittorio Emanuele. Punto di ritrovo erano i giardinetti della stazione e il parcheggio del terminal bus. Il nascondiglio di uno dei criminali era nei ruderi abbandonati dell’ex stabilimento Tortuga, al confine tra Pescara e Montesilvano, punto in cui mercoledì mattina è stato rintracciato e arrestato dai poliziotti della Mobile.
IL CAMERIERE PESTATOLa banda «aggrediva per mero desiderio di provocazione» i passanti. Per la stessa motivazione, il gruppo aveva preso di mira un ragazzo che lavora come cameriere in un ristorante del centro. Su di lui, dal 3 agosto scorso, si è scatenato l’inferno, tanto da cadere in un grave stato di ansia e timore. Tanto da cambiare le sue abitudini di vita. Quella sera d’estate del 3 agosto, al termine del turno di lavoro, il ragazzo è stato circondato per la prima volta dal branco. In quell’occasione sono volati pugni sul volto e sul resto del corpo. Stessa violenza ripetuta senza alcun motivo due giorni dopo, sempre al termine del suo turno di lavoro. Ma, questa volta, con il pericolo di un coltello dalla lama «di circa 25 centimetri» che l’aggressore aveva tra le mani. Da qui, una lunga serie di escalation violente contro il cameriere che in più di una occasione aveva provato a chiamare le forze dell’ordine. Se non fosse che la chiamata non è mai partita perché la banda, dopo averlo picchiato, gli ha strappato il telefono dalle mani. Per riaverlo, la banda chiedeva 10 euro in cambio. Ancora più grave la scena di quando, dopo averlo picchiato in strada, gli hanno gettato addosso l’acqua fredda.
BOTTE DAVANTI AL PADRE
E ancora, una sera di fine agosto (era il 17 agosto, alle 2 di notte) il gruppo con in mano i coltelli ha di nuovo circondato il cameriere, spingendolo verso il muro di un tabaccaio in via Mazzini. «Se ci denunci, uccidiamo te e la tua famiglia». A poca distanza dal teatro dell’aggressione, il padre della vittima aspettava il ragazzo in macchina. Ma la brutalità del gruppo, definito dalla procura «unito, pronto a vessare occasionali passanti per mero desiderio di far del male al prossimo», ha finito per travolgere anche i familiari del cameriere. l’aggressione sessuale È stato uno dei 19enni egiziani della banda a mettere le mani sulla cugina del cameriere: presa per il collo, la ragazza racconta di aver «temuto una aggressione sessuale» davanti a uno stabilimento nel centro di Pescara. Anche la sera di Ferragosto, vicino alla Nave di Cascella, il cameriere stava passeggiando con le cugine, quando il gruppo si è di nuovo avventato su di lui. «Con fare ironico dicevano che ero un loro amico», dice la vittima, «visti i trascorsi mi sono sentito in pericolo e mi sono allontanato». Non è passato troppo tempo e, mentre chiacchierava con la cugina su una panchina, uno degli aggressori lo ha preso alle spalle, tirandogli un forte calcio alla schiena.
PASSANTI PRESI DI MIRA Il «programma criminoso» del gruppo faceva leva sulle «energie di ognuno», scrivono gli inquirenti, «messe a disposizione del gruppo per il raggiungimento degli obiettivi illeciti cosicché dalla interscambiabilità dei ruoli, a seconda delle occasioni che si presentano» si potesse creare scompiglio in centro. Ripetute anche le aggressioni a un giovane di origine ucraine: l’8 agosto, poco dopo la mezzanotte, mentre percorreva corso Vittorio, all’altezza della stazione, una decina di egiziani lo ha inseguito e minacciato. Subito il ragazzo ha cercato di rifugiarsi in via Cesare Battisti. Ma, a bordo di un monopattino elettrico, uno degli egiziani lo stava inseguendo con un coltello in mano. A questo punto, il giovane, in attesa delle forze dell’ordine, ha trovato salvezza in un negozio. Episodio purtroppo non nuovo per il giovane ucraino: anche a fine luglio, la stessa banda di egiziani lo aveva minacciato nel parchetto delle Naiasi; la sera dell’8 agosto tre egiziani lo avevano circondato all’uscita di uno stabilimento nella zona della rotonda Paolucci. «Ho temuto per la mia incolumità», racconta il giovane ucraino chiamato anche lui in questura a indicare i volti della banda del terrore.
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