Al Santuario di Oropa, si è rinnovata una tradizione che, anno dopo anno, continua a suscitare meraviglia e devozione tra i fedeli: il rito della pulizia del viso della Madonna Nera e del Bambin Gesù. Ogni anno, il sabato che precede la festa della Presentazione di Maria al Tempio, celebrata il 21 novembre, si compie questo gesto simbolico che unisce sacro e mistero. Come sempre, l’evento è accompagnato da un fenomeno che lascia increduli: sul volto della statua non si posa mai la polvere.
Secondo la tradizione, la statua viene portata fuori dal sacello per essere delicatamente pulita con un panno di lino. Un gesto apparentemente semplice, ma che acquisisce un significato profondo nella spiritualità e nella storia del Santuario. Per i devoti, non si tratta solo di un rito, ma di un segno tangibile dell’amore e della protezione divina. E proprio quest’anno, ancora una volta, il fenomeno si è verificato, consolidando la leggenda che accompagna la Madonna di Oropa.
Don Michele Berchi, rettore del Santuario, ha voluto sottolineare l’importanza di questa cerimonia con parole che affondano le radici nella filosofia di Romano Guardini. “Nell’esperienza di un grande amore, ogni fatto è un avvenimento”, ha detto il sacerdote. “Nel grande amore che c’è tra i pellegrini e la Madonna di Oropa, questo piccolo gesto rafforza la fede e la devozione, è una carezza che vogliamo dare alla Madonna, per riceverla da Lei”.
La pulizia del volto non è solo un atto liturgico, ma una sorta di dialogo intimo tra il sacro e i fedeli. Ogni anno, sono centinaia i pellegrini che accorrono per assistere a questo momento, portando con sé speranze, preghiere e promesse. Il volto della Madonna, con il suo sguardo enigmatico e dolce, diventa così un simbolo di forza e di conforto, un riferimento spirituale che trascende il tempo.
Ma è il mistero della polvere – o meglio, della sua assenza – a rendere tutto questo ancora più straordinario. Nessuna spiegazione scientifica sembra poter chiarire il motivo per cui il volto della statua resti sempre intatto, immune al passare del tempo e alle particelle che, inevitabilmente, si accumulano altrove. Per i fedeli, non c’è bisogno di risposte razionali: è un prodigio, una manifestazione della grazia divina.
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Oropa, con il suo fascino austero e la sua storia millenaria, continua a essere un luogo di fede che richiama persone da ogni dove. La Madonna Nera, con il suo manto di mistero e spiritualità, rimane il cuore pulsante di questo luogo, e il rito della pulizia del volto è l’ennesima dimostrazione di come la devozione possa trasformare un gesto ordinario in un evento straordinario.
La Madonna di Oropa (tratto da santuariodioropa.it)
La Madonna di Oropa da sempre porta una corona che costituisce un corpo unico con la statua. E’ la Regina del Cielo.
Il primo “oggetto” da tenere in conto per parlare dell’Incoronazione non è la corona, ma la Statua. La Madonna è una Regina. Del Cielo, degli Angeli, della Pace, dei Martiri…: ogni regina porta corona e la Regina dei monti di Oropa non fa eccezione. Il Simulacro è coronato di suo, da sempre. La corona fa parte del manufatto originale e attesta la regalità di Chi ritrae.
Ha scritto don Delmo Lebole a proposito della prima Incoronazione (“Storia della Chiesa Biellese. Il Santuario di Oropa”, vol. II, Gaglianico 1998): “La Vergine aveva già una corona di legno dorato, che faceva corpo unico con la testa“. Il 30 agosto 2020, per la quinta volta, dopo quattro secoli dalla prima, si porrà una nuova corona su una “Statua di legno di cembro dipinto e dorato della Madonna di Oropa attribuibile a scultore valdostano operante nella seconda metà del sec. XIII”. Anche queste sono parole di don Lebole, che ha dedicato le pagine più equilibrate ed esaustive sul “mistero” di una scultura che da sette secoli rappresenta in effigie la Madre di Dio.
I biellesi si sentono da sempre suoi figli speciali, ma il rapporto filiale si è diversificato, senza corrompersi né snaturarsi, anche in una altrettanto speciale sudditanza. I nostri antenati del primo Seicento si sono ispirati a quanto avvenuto a partire dal 1592 a Santa Maria Maggiore in Roma all’icona della “Salus Populi Romani” (incoronata per primo da Clemente VIII), a Vicoforte di Mondovì e in altri santuari italiani, dove le statue (o le icone) delle Madonne andavano via via a ricevere sul capo segni inequivocabili della loro sovrana maestà.
Ma la Venerata Effigie oropea solo nell’ultima Incoronazione, quella del 1920, si è presentata al suo secolare appuntamento con questo aspetto. Avremmo forse incontrato qualche difficoltà a riconoscere la Statua per come appariva nel 1620 e, più ancora, nelle due edizioni successive. “Abbigliata” a seconda della situazione con paramenti preziosi, proverbialmente “carica d’ori” e gioielli, dorata quanto mai, perché gli occhi dei fedeli fossero abbagliati dalla preziosità di un “oggetto” che quasi aveva perso le sue fattezze primigenie.
Il legno di cembro, ovvero di cirmolo, ossia della conifera dura e resistente su cui l’ignoto artista valdostano operò con scalpelli e sgorbie, si intuiva sempre meno e si scuriva sempre di più. Dapprima chiaro (probabilmente mai davvero bianco, magari pallidamente ambrato), poi sempre più “di color bruno, mà per l’antichità. et fumo” (così ha testimoniato Bassiano Gatti nella sua “Breve relazione” del 1621). Le tinte che dall’artista, o da qualcuno dopo di lui, erano state posate sui particolari del volto, come le labbra, a conferirLe l’incarnato della “umanità”, furono ben presto coperte dalle esalazioni delle candele, e poi dalla vernice. Fino a trasformare la pelle in ebano.
Quella coloritura è ormai traccia d’antichità e caratteristica propria nel nostro Simulacro. Le cromie (ri)svelate dai restauri del 1910 ci hanno consegnato la versione più vera della Madonna di Oropa, una vetusta Signora di 1,32 metri di statura ai cui piccoli piedi calzati di rosso si sono prostrate generazioni di “divoti accorrenti”.
Danilo Craveia, archivista del Santuario di Oropa
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