Jesi – Grande partecipazione all’inaugurazione – il 2 novembre scorso, chiusura lunedì 18 – della mostra fotografica “Verbum imago factum est” Pensiero immaginato, di Luciano Giulodori e Vittorio Graziosi presso le sale espositive di Palazzo Bisaccioni.
Quando alla voce, al pensiero umano rivolto all’infinito seguono le immagini, o viceversa, allora il tutto diventa poesia. Ecco una mostra che mette all’unisono questi due osservatori attenti, della terra e del cielo, quasi a toccare l’infinito, Vittorio Graziosi, scrittore, ha messo a disposizione le parole, dando forma agli scatti del fotografo Luciano Giuliodori.
Come è nata questa esposizione? Vengono prima le parole o le foto?
«Lo scopo non è estetico ma è quello di captare emozioni e diffonderle – ha spiegato Luciano Giuliodori -, le mie foto hanno la presunzione di comunicare emozioni e sensazioni. Con Vittorio ci siamo trovati da subito perché questa esposizione ha fatto emergere le due facce di un’unica medaglia, l’aspetto verbale e l’aspetto visivo. È un gioco di comunicazione con cui ci piacerebbe trasmettere emozioni».
Tutto è nato quindi, da questo fortunato incontro? Com’è andata?
«Lavoriamo nello stesso luogo e dopo esserci conosciuti ci siamo invitati reciprocamente alle mostre personali che abbiamo organizzato. È stato un colpo di fulmine, un’affinità elettiva».
Quando è nata la passione per la fotografia?
«Da una quindicina di anni, perché è una mia necessità, cerco di rivolgere lo sguardo alla profondità, scavo nei miei neri, ne cerco traccia. Proprio durante una mia mostra, alla quale avevo invitato Vittorio, ci è venuta l’idea di accostare pensieri, parole e immagini».
Graziosi, le sue collaborazioni in ambito artistico sono molteplici, cosa ha trovato negli scatti di Giulodori?
«Ho amato da subito le sue foto in bianco e nero che mi destano stupore e mistero. Nonostante ciò, osservando i suoi lavori ho sentito che c’era qualcosa che non afferravo, non capivo sino in fondo, quindi gli ho chiesto di mostrarmi altri scatti. Ci ho visto una ricerca di infinito, oltre i limiti del pensiero, una sorta di liberazione».
«Proprio come me, Luciano Giulodori è alla ricerca della pace divina, che io personalmente ritrovo nella natura, amo passeggiare ore sulla battigia, amo il mare così profondo e misterioso ma anche la terra che regala spazio alle radici degli alberi i cui rami si stagliano verso il cielo, sempre più in alto. Sono riuscito a decriptare i suoi scatti a favore della mia arte di scrittore».
Cosa lega o divide la terra dall’infinito?
«La terra è la base su cui poggia il finito, la vita, oltre questa c’è l’infinito che non ha bisogno di spazi o delimitazioni», ha sottolineato Luciano Giuliodori.
Nelle vostre opere si parla spesso di infinito, ma l’infinito è per voi la ricerca del divino?
«Sì anche, ma io cerco la pace dopo la vita – afferma Luciano Giuliodori -. Facendo l’oncologo e occupandomi di cure palliative che accompagnano l’essere umano verso il fine vita in maniera meno dolorosa possibile, molto spesso ho bisogno di prendere aria, di cercare quel fondo nei miei neri che non sono mai vuoti ma densi di particolari. Di andare oltre l’occhio umano di spingermi al di sopra del finito, alla ricerca di qualcosa. Un famoso fotografo disse: la realtà è a colori ma la verità è in bianco e nero».
«A volte mi perdo se penso all’infinito, al divino, a ciò che va oltre il finito. L’infinito, appunto, io
lo cerco nel legame umano, nei rapporti tra le persone, nei sentimenti che sono la più alta espressione umana. Questo per me è l’infinito», ha aggiunto Vittorio Graziosi.
C’è una sorta di stretta connessione tra terra e cielo, terrestre e divino, bianco e nero,quindi legàmi e non divisione.
«Io non riesco a leggere attraverso l’infinito o attraverso un concetto definito, l’idea di Dio, è un mio limite, se non riporto a una dimensione terrena, antropomorfa, l’idea del Divino, non riesco a confrontarmi con quell’idea – ha affermato Vittorio Graziosi -. Secondo questa mia visione, cielo e terra, terrestre e divino, come il bianco e il nero, sono due facce di una stessa medaglia: l’esistenza».
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