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‘Hegseth finì in indagine su presunta aggressione sessuale’ – Nord America


Pete Hegseth, scelto da Trump come segretario alla Difesa, è stato coinvolto in un’indagine della polizia su una presunta aggressione sessuale avvenuta nel 2017: lo riporta la Cnn. Un portavoce del governo della città di Monterey, California, ha affermato che la polizia aveva indagato su “una presunta aggressione sessuale” che coinvolgeva Hegseth, conduttore di Fox News. La presunta aggressione è avvenuta l’8 ottobre 2017, all’Hyatt Regency Monterey Hotel and Spa ed è stata denunciata quattro giorni dopo. “Il signor Hegseth ha negato con forza ogni accusa”, ha affermato il direttore delle comunicazioni di Trump Steven Cheung.

   Donald Trump nomina due suoi avvocati ai vertici del ministero della giustizia: Todd Blanche come vice procuratore generale ed Emil Bove come principale vice procuratore generale associato e vice procuratore generale facente funzione, “fino a quando Todd Blanche sarà sottoposto alla fase di conferma da parte del Senato”. Un ex anchor di Fox al Pentagono, una ex dem accusata di fare da pappagallo della propaganda russa come zar dell’intelligence e un divisivo deputato indagato per traffico sessuale e uso di droga alla guida della giustizia, mentre si attende un no vax cospirazionista come Rfk junior alla sanità.
    Le nomine sempre più provocatorie di Donald Trump per la sua amministrazione hanno lasciato sconcertati anche alcuni dei suoi consiglieri, vari esponenti repubblicani e numerosi esperti.
    “Sono così scioccanti che sono una forma di performance art”, ha ironizzato Michael Waldman, presidente del Brennan Center for Justice. Ma sono la prima prova di forza del tycoon contro l’establishment e il suo stesso partito dopo i pieni poteri ottenuti grazie al triplete di Casa Bianca, Camera e Senato, che ora rischia di minare il tradizionale sistema americano dei ‘checks and balances’, considerando che la Corte suprema ha già una maggioranza di destra.
    La prima sfida è al Senato, dove i repubblicani, che hanno riconquistato la maggioranza con 53 seggi, saranno sotto un’immensa pressione: o per confermare i pretoriani di The Donald o per rinunciare alle proprie prerogative costituzionali, consentendogli di procedere unilateralmente alle nomine durante le pause della loro attività (recess appointments), come ha chiesto lo stesso presidente eletto al loro prossimo leader. Ma nel segreto dell’urna i senatori del suo partito gli hanno già dato un dispiacere, eleggendo non il candidato Maga Rick Scott, bensì John Thune, uomo più vicino all’establishment nonché vice del leader uscente Mitch McConnell. E alcuni di loro hanno già manifestato le loro riserve verso alcune nomine, in particolare quella di Matt Gaetz come attorney general. “Non è un candidato serio, se volessi fare una battuta direi che ora sto aspettando che venga nominato George Santos”, ha commentato la senatrice Lisa Murkowski, paragonandolo ad un altro controverso deputato repubblicano travolto dalle inchieste ed espulso dalla Camera.
    La sua collega Susan Collins si è detta “scioccata” dalla scelta. Il malumore cova ma il Grand Old Party non può perdere più di tre senatori per le conferme. L’ex speaker della Camera Kevin McCarthy, destituito dalla carica per una fronda interna guidata proprio da Gaetz, ha fatto una profezia: “Lo sanno tutti che non verrà confermato (al Senato, ndr)”. Sarcastico il deputato repubblicano dell’Ohio Max Miller: “Gaetz ha più possibilità di cenare con la regina Elisabetta II che di essere votato dal Senato”.
    La nomina di Gaetz è quella che appare più divisiva: si è dimesso giusto in tempo per evitare il rapporto della commissione etica della Camera sulle accuse di abusi sessuali (anche contro minori), uso di droghe, accettazione di doni impropri, favoritismi e ostruzione della giustizia, dopo l’archiviazione di un’inchiesta penale. E ha invocato l’abolizione dell’Fbi e di altre agenzie, tra cui quel ministero della Giustizia che Trump lo ha chiamato a guidare con l’intento di vendicarsi dei suoi nemici. Chi ci lavora già trema.
    La sua scelta ha quasi oscurato quelle di Peter Hegseth al Pentagono e di Tulsi Gabbard come direttrice della National Intelligence. Ma anche loro suscitano forti timori, pure tra i repubblicani non allineati al mondo Maga. Ex candidata presidenziale dem convertitasi al trumpismo, Gabbard dovrà supervisionare tutte le 18 agenzie dell’intelligence (settore di cui non ha alcuna esperienza), ma in passato ha fatto da cassa di risonanza alla propaganda russa sull’Ucraina e ha incontrato segretamente Assad mettendo in discussione la conclusione degli 007 Usa sul fatto che il dittatore siriano avesse usato il gas nervino contro i propri cittadini. Veterano in zone di combattimento ed ex anchor di Fox, anche l’iper-tatuato Hegseth (ha tra le altre cose la croce di Gerusalemme disegnata sul petto) appare privo di esperienza per guidare la difesa americana. Ma entrambi sono stati nominati per attuare l’agenda del tycoon: vendicarsi di quell’intelligence che lo ha tenuto sotto scacco col Russiagate e condurre una guerra culturale nel Pentagono, contro i programmi sulla diversità, le donne in combattimento e gli ufficiali sgraditi, tutti da ‘epurare’.
    Intanto già si vedono i primi ‘effetti Trump’ sui processi contro gli assalitori del Capitol: due giudici federali hanno accettato di rinviare i processi penali per alcuni imputati accusati di aver fatto irruzione al Campidoglio il 6 gennaio 2021, ritenendo che l’imminente insediamento del presidente eletto potrebbe rendere i procedimenti inutili dopo la sua promessa di grazia. 
   

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