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Equal Pay Day, l’Italia 87esima su 146 paesi secondo il World Economic Forum. Servono 134 anni per la piena parità retributiva


Si celebra oggi l’Equal Pay Day, ovvero la data che segna quanti giorni in più le donne devono lavorare per avere una retribuzione uguale a quella dei colleghi maschi a parità di lavoro e mansioni. Proprio a causa delle disparità ancora presenti una donna, a partire da oggi, lavorerà gratuitamente fine alla fine dell’anno rispetto a un uomo, pur ricoprendo la stessa mansione e avendo le stesse competenze.

Il World Economic Forum pone l’Italia all’87posto, su 146, per quanto riguarda il gender pay gap. In una classifica da 0 a 100, dove zero è il massimo di disparità e cento l’assenza di qualsiasi discriminazione, la percentuale dell’Italia è al 70,5%, rispetto alle media mondiale del 68,5%. Questo vuol dire che nel nostro paese servono 134 anni per la piena parità retributiva. L’indice si compone di quattro elementi: salute e sopravvivenza, istruzione, valorizzazione politica e partecipazione economico. Sul fronte della partecipazione economica si riscontrano le maggiori discriminazioni. Nel mondo del lavoro l’Italia si posiziona al 102esimo posto per la presenza delle donne nei ruoli apicali e al 108esimo posto per il reddito stimato.

Ma anche i dati dell’European Institute for Gender Equality non sono confortanti. Il tasso di eguaglianza si attesta al 68,2%%, rispetto al 70,2% della media europea. Il lavoro è la realtà dove le diversità si accentuano. In Italia la percentuale è al 65% rispetto al 73,8% della media continentale.

Secondo le stime dell’ultimo report di Jobpricing sul gender pay gap la differenza sulla retribuzione annuale lorda tra un uomo e una donna è di 7,3 punti percentuali, mentre su quella globale annuale dell’8,2%. In termini assoluti le donne guadagnano rispettivamente 29.431 e 29.813 euro, mentre gli uomini 31.733 e 32.485 euro. Detto altrimenti è come se una donna ricevesse lo stipendio a partire dal 28 gennaio pur lavorando dal primo del mese.

Anche l’elaborazione sui dati Istat relativi al mercato del lavoro restituisce un quadro negativo. L’occupazione femminile si attesta al 52,5% rispetto al 70,4% di quella maschile. E il 31,4% delle donne ha un contratto part time. Anche il tasso di inattività è molto più alto per le donne 42,3%, rispetto al 24,3% degli uomini. La media delle ore lavorate è di 32,2 per le donne contro 38,9 per gli uomini. Una differenza netta si registra per le ore di lavoro di cura non retribuito, che sono 35,7 per le donne e 15,4 per gli uomini. La maternità, inoltre, è un ulteriore elemento che accresce gli ostacoli verso la parità di genere. Infatti nel periodo immediatamente successivo alla nascita il divario salariale è dell’80%, che scende al 50% a due anni del bambino e al 40% al quindicesimo anno di vita.

Ma la differenza di genere ha origine lontane, le cui radici affondano nell’ambiente familiare, nella diversità dei giochi che vengono proposti a bambini e bambine e nella formazione. Nonostante siano di più le donne laureate rispetto agli uomini, con voti superiori a quelli dei loro colleghi, i percorsi di studio che “scelgono” porteranno a occupazioni meno remunerative. La presenza delle donne nelle discipline STEM, spiega il report, è ancora fortemente minoritaria rispetto ad altri ambiti come l’educazione e la formazione, le lingue, psicologia, arte e design. Questo si rifletterà in retribuzioni molto più basse. Un divario che aumenta con l’aumentare del titolo di studio. Il pay gap si attesta al 5,3% alla scuola dell’obbligo, mentre arriva al 21,4% quando il titolo è una laurea magistrale o un master di II livello. Nelle STEM il divario si fa più consistente. A cinque anni dal conseguimento del titolo, secondo le analisi di Almalaurea, un laureto in informatica guadagna il 12% rispetto a una sua collega e quasi l’11% in più in architettura e ingegneria. E, nel complesso, il gender gap è più forte tra le persone laureate, con un divario del 21%.

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Ci poi sono poi alcune occupazioni dove la presenza femminile è più alta e altre dove scende in modo consistente, tanto da parlare di una vera e propria “segregazione”. Nei servizi alla persona, nelle agenzie per il lavoro o nella consulenza fiscale e legare c’è un sostanziale equilibrio tra uomini e donne. Un altro dato che il rerport evidenzia è che il gender pey gap è più elevante nei settori e nelle aree funzionali con maggior presenza di donne. In quei comparti dove la componente femminile è residuale si arriva alla situazione opposta. Nell’edilizia la RAL di una donna è di 32mila euro rispetto ai 27.500 di un suo collega, mentre nelle utilities è di 35.397 euro rispetto a 33mila euro. Anche in alcuni ruoli si riscontra il fenomeno della segregazione. Nei dirigenti le donne sono solo il 33%, percentuale che scende al 19% se non si considera il pubblico, o negli operai dove gli uomini sono il 64%. Guardando ai vertici apicali nelle aziende, quasi il 75% delle donne ricopre ruoli non esecutivi rispetto al 16,4% dei colleghi uomini. Ancora un CEO uomo guadagna, nel compenso complessivo, il 33,6% in più di una donna, mentre il presidente di un Cda il 45,2% in più.

C’è un ultimo dato del report che merita di essere letto e riguarda il sentimento che emerge tra gli uomini e le donne dopo aver negoziato individualmente con il proprio superiore la retribuzione. Le donne che lo fanno, il 61,7% rispetto al 74,2% degli uomini, pongono al primo posto, come i loro colleghi, l’orgoglio ma dalla seconda alla quarta posizione i sentimenti sono rabbia, paura e tristezza, mentre per gli uomini felicità, gratitudine e serenità.

Tommaso Nutarelli



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