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Autonomia, panico nella Lega. È scontro tra Zaia e Calderoli


La maggioranza di destra-centro il giorno dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale dei due cardini della legge sull’autonomia differenziata, è apparsa come una scena del teatro surreale di Ionesco in cui ognuno degli attori pronuncia frasi slegate da quelle degli altri presenti in scena. A sinistra ci si gode il crash della legge. Al di là delle dichiarazioni tutti si interrogano sul che fare ora: sia nella maggioranza che nelle opposizioni, per le quali diventa dirimente sapere se la Cassazione a metà dicembre consentirà il referendum sulla parte residua della legge Calderoli. E Giorgia Meloni? La premier ha deciso di fare ciò che da quando governa le riesce meglio: un forlaniano aspettare.

IL PRIMO elemento dirompente, non emerso nelle dichiarazioni, è stato un forte dissidio tra Calderoli e il governatore veneto Luca Zaia. Questi nel 2022 aveva chiesto ai vertici leghisti di procedere direttamente con le intese Stato-Regioni, senza prima una legge quadro come invece aveva fatto il precedente ministro Francesco Boccia. Calderoli aveva spiegato che la legge quadro serviva a portare gradualmente gli alleati di Fdi e Fi sulle posizioni para-scissioniste volute dalla Lega. Lo stop della Consulta alla legge rinvia tutto nelle mani del parlamento, allungando i tempi del trasferimento delle materie Lep. «Avevo ragione io» avrebbe detto Zaia a Calderoli, secondo quanto risulta da fonti affidabili. Ieri Zaia e il governatore lombardo Attilio Fontana hanno detto che si va avanti con le materie e le funzioni No-Lep, sulle quali tuttavia la Corte ha detto che ci si deve muovere in modo opposto a quanto governo, Veneto e Lombardia stavano facendo. Si abroghi la legge Calderoli, anche con un articoletto in uno dei molti decreti omnibus del governo, e si proceda direttamente con le intese, ipotizza qualche serenissimo, che chiede l’anonimato. Una boutade, visto che da Fi il portavoce Raffaele Nevi e Maurizio Gasparri ribadiscono che deve essere il parlamento a ricalibrare tutto. Certo Gasparri rassicura l’alleato che «il percorso prosegue».

Non ha nascosto la propria gioia il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto.

I GOVERNATORI della quattro regioni che hanno impugnato la legge Calderoli davanti alla Corte costituzionale (Toscana, Campania, Puglia e Sardegna) si godono il successo: «Siamo tutti sollevati» ha detto Michele Emiliano, per il quale «è stato bloccato un disegno che avrebbe spaccato l’Italia». La narrazione leghista per la quale «non cambia nulla» e «si va avanti», viene definita da Emiliano «una barzelletta». «Il mio animo è di felicità, è stata fatta giustizia» ha detto Eugenio Giani.

Oltre a dover rimettere il dossier nelle mani del parlamento, il governo e Calderoli hanno ora la grana del Comitato per la definizione dei Lep (Clep), guidato da Sabino Cassese. Benché esso abbia accelerato i lavori per concluderli entro Natale, il loro esito rischia di finire in un cassetto, viste le precise indicazioni della Consulta. Per non parlar delle polemiche dopo che è emersa una circostanza imbarazzante: due componenti del Clep hanno difeso la posizione della Regione Veneto davanti alla Corte, martedì, a difesa della legge Calderoli, in un clamoroso conflitto di interessi. Tanto che Avs, con Filiberto Zaratti, ha chiesto le dimissioni di Cassese.

Le opposizioni, per una volta, mangiano i popcorn. Ieri è stato un fiorire di metafore: «Una musata» (Nicola Fratoianni), «una sonora bocciatura» (Dario Parrini del Pd), «la legge è finita su un binario morto» (il dem Alessandro Alfieri), «la legge è stata fatta a pezzi» (Peppe De Cristofaro di Avs), mentre Giuseppe Conte ha irriso «un governo di dilettanti, la cui legge è stata smantellata dalla Consulta». La segretaria del Pd Elly Schlein ha guardato alla sostanza, intimando al governo e alla maggioranza «di fermarsi», a partire dalle trattative sulle intese con Veneto e Lombardia. La principale questione che riguarda ore le opposizioni è il referendum sulla legge Calderoli. Il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli ha invitato ad attendere la Cassazione che potrebbe «valutare il venir meno della legittimità del quesito». Sul piano giuridico prima della pubblicazione della sentenza non è scontato capire come si muoverà la Suprema Corte, anche se il costituzionalista Michele Ainis ritiene che il quesito per l’abrogazione totale «resta in piedi». Tifano perché la Cassazione apra la via alle urne la Cgil, la Uil, e nelle opposizioni è Iv la più convinta in questo auspicio: «Ci sono tutti i margini perché si svolga», ha detto Raffaella Paita. Infatti una battaglia comune avvicinerebbe ancora di più il partito di Matteo Renzi al centrosinistra, indipendentemente dal raggiungimento del quorum, che è invece la questione su cui si interrogano le altre opposizioni. A temere il referendum è invece il centrodestra, come dimostrano le dichiarazioni di chi lo esclude, e come certifica la scaramantica affermazione di Zaia: «Andrà male».

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