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Pubblichiamo l’intervento del Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, all’Assemblea Nazionale di Confcooperative su “Lavoro-Comunità-Futuro”. 

Un grazie non formale per l’invito. Vi auguro buon lavoro in questa Assemblea che chiude un lungo lavoro di preparazione iniziato nei territori e che ora confluisce in questo appuntamento nazionale.
Per prima cosa vi ringrazio per quello che siete. La forma cooperativa realizza quanto suggerito dal magistero sociale della Chiesa. Imparassimo tutti che al mondo siamo tutti insieme! Solo se ci pensiamo come una cooperativa c’è spazio e futuro per tutti. Papa Francesco in Laudato sì 219 scrive che «ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie». Fare rete come modello di economia e vivere l’economia come esperienza di comunità sono percorsi inscindibili. La vostra testimonianza è fondamentale in un contesto di economia ancora ripiegata esclusivamente sul profitto e talvolta incapace di mostrare un volto comunitario.
Vediamo tante fratture sociali, con territori (aree interne) sempre più fragili e territori all’avanguardia (aree metropolitane del nord), settori economici che fioriscono e altri che ristagnano. Se non ci si vuole limitare a risposte emergenziali, improvvisate, sempre parziali e dilettantesche, occorre strutturare un’economia che generi fiducia e coesione sociale. La vostra attività non è solo certezza per tanti lavoratori e le loro famiglie, ma indispensabile per curare le ferite che segnano la condizione delle persone più povere e per interi territori più fragili. La vostra terapia di rigenerazione delle comunità a partire dal capitale umano e dalla capacità di coniugare solidarietà e sussidiarietà è quanto di più bello e sapiente ci sia. Auspico che questo vostro protagonismo possa stimolare sia tutto il mondo della cooperazione sia le Chiese locali, innescando processi creativi virtuosi e replicabili.
Il metodo cooperativo in economia va sostenuto anche da politiche e normative adeguate, oltre che attraverso finanziamenti in grado di incentivarne la finalità sociale. Le cooperative, infatti, possono contribuire a una trasformazione ecologica e sociale dell’economia stessa e hanno bisogno di un sostegno adeguato, all’altezza delle sfide future. Dopo questa premessa, vorrei offrirvi tre riflessioni di impegno che possono far convergere il cammino ecclesiale con il mondo delle cooperative.
Il primo ambito è l’attenzione alle comunità e alle aree interne. Le crisi degli ultimi anni (economica, pandemica, ambientale e climatica, conflitti e guerre) hanno accentuato le disuguaglianze e le fratture nel tessuto sociale del Paese, lasciando ai margini categorie di persone, territori e classi sociali. Si verifica uno scollamento tra nord e sud (in questo senso l’annunciata «autonomia differenziata» preoccupa molti confratelli Vescovi e presto prenderemo una posizione insieme) e tra centro e periferia, tra aree costiere, aree metropolitane e aree interne. Esiste un’Italia a più velocità che rischia di allargare la forbice delle disuguaglianze e di ingenerare sacche di povertà diffusa. La maggior parte del Paese è costituita da aree marginali e periferiche, ambiti territoriali classificati come «non performanti», che viaggiano a una velocità diversa rispetto ai centri metropolitani. Essi soffrono l’assenza di strumenti per una pur minima risposta alle crescenti necessità di chi vive questi territori.
È bellissimo vedere che in tali contesti fragili molto spesso la cooperazione è l’unico avamposto economico, con imprese cooperative e banche di credito cooperativo che si fanno vicine alle possibilità delle comunità. La risposta delle Cooperative di comunità è quanto mai profetica, prepara davvero il futuro. Esse nascono proprio in situazioni fragili di spopolamento, di desertificazione imprenditoriale e di mancanza dei servizi essenziali e sviluppano un nuovo modello economico in connessione tra la persona e la propria comunità, in relazione diretta con il territorio che abita. Tutta questa vitalità va riconosciuta! È opportuna una legge nazionale sulle Cooperative di comunità, baluardo e speranza per tanti territori emarginati.
Il secondo ambito è l’attenzione al lavoro e alla sicurezza. Il dibattito anche recente ha fatto emergere la logica deresponsabilizzante dei subappalti che non favoriscono il buon lavoro. Il tutto a scapito della dignità dei lavoratori. Sappiamo che la vera cooperazione è contro ogni fenomeno di sfruttamento illegale e contro qualsiasi forma di evasione fiscale. È importante la lotta senza quartiere che state portando avanti contro le false imprese di qualsiasi natura giuridica esse siano, senza enclave intoccabili: false Spa, false S.r.l. semplificate, false cooperative, false imprese semplici e artigiane. Oltre a colpire le false imprese, occorre denunciare altrettanto duramente anche chi utilizza consapevolmente le imprese criminali per lucrare nelle proprie aziende. Il lavoro povero non deriva solo da alcune tipologie di impresa o da alcuni settori produttivi, come il commercio e i servizi. Serve un patto per il lavoro a cui il sistema cooperativo è in grado di dare un contributo determinante per mettere al riparo le vere cooperative da chi si traveste da lupo cooperatore per fare i propri sporchi affari, disattendendo i contratti di lavoro e mortificando la dignità dei lavoratori. È in gioco la stessa immagine della cooperazione che non va sporcata in nome di un’economia corrotta e ingiusta. Una cattiva economia genera cattivo lavoro.
Il terzo ambito è la collaborazione tra Confcooperative e la comunità ecclesiale in Italia. Il movimento cooperativo ha favorito in questi anni progetti di accoglienza, integrazione e inserimento lavorativo delle persone più fragili dal punto di vista fisico e sociale. Immigrati e persone disabili in particolare sono rinati all’interno di un percorso lavorativo capace di ridare dignità. C’è una competenza che avete acquisito nel lavoro di cura, nella gestione dei servizi sociali, nella valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, nei servizi a sostegno dei bambini (zero-sei anni) ma anche delle donne che intendono intraprendere o riprendere un percorso lavorativo, o nel sostegno alle mense dei poveri e alle donne vittime di tratta. È un mondo così ricco di umanità il cui racconto dovrebbe riempirvi di orgoglio. È il fiore all’occhiello dell’Italia!
L’accoglienza e l’integrazione delle persone svantaggiate, donando loro un futuro atteso ma che sembrava irraggiungibile, spesso non fa notizia e si caratterizza per i piccoli numeri. Così si realizza un autentico servizio alla persona. Oggi tutto ciò è in discussione a causa di modelli incentrati sui grandi numeri (come ad esempio i CAS, i centri di accoglienza straordinaria) che però non consentono un lavoro di integrazione adeguato e sostenibile per la popolazione locale. Il modello cooperativo rappresenta un valore che occorre tutelare per la qualità della risposta che offre al tema dell’immigrazione.
So che Confcooperative si è molto impegnata in alcune iniziative con la Chiesa italiana: ricordo soprattutto il Progetto Policoro e l’organizzazione delle Settimane sociali. Il vostro contributo è fondamentale e vi ringrazio. Continuate a sostenerci soprattutto in favore del lavoro giovanile e per il bene del Paese. Grazie al Progetto Policoro possiamo animare comunità che sembrano aride: i giovani sono il presente in grado di far fiorire i territori attraverso la nascita di imprese o cooperative, l’apertura di “Partite iva” e molte altre attività imprenditoriali e sociali.
La Settimana sociale di Trieste ci vedrà impegnati fianco a fianco per riflettere sul tema della partecipazione democratica. Le cooperative sono esperienze partecipative da far conoscere, modelli di economia e di presenza sociale. Il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa può aiutarvi sempre più a qualificare il vostro impegno per rigenerare i luoghi, le persone e il lavoro nel senso di una fraternità vissuta. Ci sono bellissime esperienze di collaborazione tra Chiesa e cooperazione: gestione di scuole parrocchiali o diocesane di ogni grado, gestione dei musei ecclesiastici diocesani e valorizzazione dei beni culturali, gestione di residenze per anziani e case di riposo parrocchiali, gestione di abitazioni e housing sociale con le diocesi per famiglie fragili, la gestione energetica con le Comunità energetiche rinnovabili (CER) nella forma cooperativa. Tutte collaborazioni che a vario titolo e a diverso livello consentono alle diocesi e ai territori di rinascere, mettendo in gioco beni poco valorizzati e generando servizi alla persona.
Tanta ricchezza è un valore aggiunto per il bene comune del Paese. Camminiamo insieme nelle rispettive competenze, ma con la consapevolezza che «nessuno si salva da solo» (FT 54). La Chiesa ha bisogno della vostra competenza e ha da offrirvi in dono la dottrina sociale della Chiesa. Così possiamo essere tessitori di reti che costruiscono con speranza l’Italia del futuro.

 

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