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Calo dei consumi e costo delle materie prime, dell’energia e dei trasporti sono stati i problemi più evidenti che le imprese del vino italiano si sono trovate a fronteggiare nel 2023. Ma una delle difficoltà meno visibili e più pesanti, in un settore che lavora in generale a margini bassi e ha spesso bisogno del credito per investire, è stata quella del costo del denaro, spinto in alto dall’inflazione stessa e dai diversi aumenti dei tassi di interesse decisi dalla Bce (Banca Centrale Europea), guidata da Christine Lagarde. Con il peso degli oneri finanziari che, nel 2023, praticamente, è raddoppiato sul 2022, e che sembra destinato a crescere ancora in maniera importante nel 2024. A dirlo un’analisi, per WineNews, di Luca Castagnetti del “Centro Studi Management DiVino”. In breve, gli oneri finanziari, nel 2023, sono cresciuti del +82,8%, per 125,7 milioni di euro, con un’incidenza sui ricavi passata da 0,92% a 1,68%. E, nel 2024, si potrebbe registrare un ulteriore aumento del +33%, per un valore superiore ai 305 milioni di euro, ed un peso sui ricavi del 2,24%.

“Abbiamo analizzato tutte le imprese italiane del vino che hanno già depositato, in questi mesi, i loro bilanci 2023, avendo chiuso il loro esercizio nei mesi da giugno 2023 a settembre 2023: si tratta di 181 cantine su una popolazione complessiva di 900 cantine che fanno bilancio e hanno ricavi superiori ad 1 milione di euro. Il campione è significativo – spiega Castagnetti – in quanto rappresenta ricavi per 3,35 miliardi di euro su un totale di 13,6 miliardi dell’intero segmento. La particolarità di questo campione è quello di essere composto per l’89% da cooperative (162 società su 181): società che, a differenza della srl e spa, hanno spesso l’esercizio non coincidente con l’anno solare e pertanto hanno già depositato i loro bilanci chiusi entro settembre 2023”.
A livello generale, nel 2023, le aziende hanno registrato un amento dei ricavi del 3% (e, quindi, una perdita di volumi in quanto l’incremento medio dei prezzi è stato superiore al 3%) e hanno mantenuto la loro marginalità che oscilla tra il 4,5% e il 5,1% di ebitda. A livello finanziario i debiti bancari aumentano di poco (+3,83%), ma gli oneri finanziari crescono dell’82,86%, portando l’incidenza dei costi finanziari sui ricavi dal 0,64% del 2022 al 1,14% del 2023. “Un delta di mezzo punto percentuale che non è poco – sottolinea Castagnetti – se consideriamo la marginalità complessiva del campione oscilla tra un 4% e un 5%. Le rimanenze aumentano del 12,89% dal 2022 e del 22,54% dal 2021, ben oltre l’impatto inflazionistico. Restano, invece, nella media dell’oscillazione inflazionista i valori dei crediti verso clienti e dei debiti verso fornitori”.
Nonostante questo, però, sottolinea lo studio, gli investimenti non si sono fermati (a scapito delle previsioni) e le immobilizzazioni sono aumentate nelle imprese del campione di oltre 65 milioni di euro, con un incremento del +3,5%. Ma non per questo si può abbassare la guardia, perché “il contesto attuale della politica monetaria globale è caratterizzato da una fase di incertezza e cautela. Le principali banche centrali, tra cui la Federal Reserve (Fed) degli Stati Uniti, sono attentamente focalizzate sul bilanciamento tra il controllo dell’inflazione e il sostegno alla crescita economica. “Recentemente, la Fed – spiega Castagnetti – ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse, nonostante le pressioni inflazionistiche, per sostenere una ripresa economica ancora fragile a seguito degli impatti della pandemia di Covid-19”. Questa decisione riflette un approccio prudente, sottolinea ancora lo Studio Idea by Management DiVino cercando di evitare shock al sistema finanziario, mentre si monitorano gli sviluppi economici globali e domestici. La Fed, infatti, ha affermato che “i recenti indicatori suggeriscono che l’attività economica ha continuato ad espandersi. L’inflazione è rallentata nell’ultimo anno, ma resta elevata. Negli ultimi mesi c’è stata una mancanza di progressi verso l’obiettivo del 2%. Non ci aspettiamo che sarà appropriato ridurre i tassi fino a quando non avremo maggiore fiducia sulla traiettoria dell’inflazione verso il target del 2%”. Negli Stati Uniti il raggiungimento del target inflazionistico del 2% si sta rivelando più difficile del previsto. Per contenere la domanda aggregata, la Fed dovrà, quindi, mantenere i tassi almeno invariati e rinviare l’avvio del ciclo di riduzione dei tassi a giugno. Questa situazione condizionerà sicuramente la Bce non tanto nella fase di avvio del ciclo di riduzione dei tassi di intervento che tutti si aspettano entro giugno, ma nella velocità e nell’entità dei tagli. E questo, ovviamente, avrà un ulteriore impatto sul costo del denaro, che ricade a sua volta sull’economia e sul settore vinicolo. Tassi di interesse più alti, chiaramente, rendono il credito più costoso, riducendo l’accessibilità al finanziamento sia per i consumatori che per le imprese. Questo generalmente conduce ad una riduzione degli investimenti e della spesa dei consumatori, con un rallentamento dell’attività economica complessiva. Ed “oggi stiamo assistendo a questo rallentamento, che comporta una riduzione dei consumi di vino da parte dei consumatori italiani ed esteri”, commenta Castagnetti, che evidenza anche gli effetti più evidenti del costo elevato del denaro. A partire, ovviamente, da quelli sugli investimenti.
“L’incremento del costo del denaro rende più costoso per le aziende accedere al credito necessario per finanziare investimenti capitali come l’acquisto di nuove terre, l’ammodernamento delle tecnologie di vinificazione o l’espansione delle infrastrutture di stoccaggio. Le aziende – spiega Castagnetti – potrebbero decidere di posticipare o ridimensionare questi progetti, limitando la loro capacità di espansione o di miglioramento della qualità della produzione”. Ma ci sono impatti anche sul tema della sostenibilità e dell’innovazione. Perché “progetti innovativi, come quelli legati alla sostenibilità ambientale o all’introduzione di nuove tecniche di coltivazione e produzione più efficienti, possono richiedere investimenti significativi. Un alto costo del denaro può scoraggiare queste iniziative, compromettendo la capacità dell’azienda di rimanere competitiva e di rispondere alle crescenti richieste di pratiche sostenibili”. Ovviamente, come già evidenziato dai dati, sono tutt’altro che trascurabili gli effetti sui costi operativi delle aziende. A partire dalla gestione del debito.

“Le aziende con prestiti esistenti a tasso variabile subiranno un aumento dei costi finanziari man mano che i tassi di interesse salgono. Questo aumento si traduce in maggiori spese mensili o annuali per interessi, che possono erodere significativamente i margini di profitto. Un aumento nei costi del debito, inoltre, può causare problemi di liquidità, specialmente per quelle aziende che operano con margini ristretti. Ciò può limitare la capacità di coprire spese operative quotidiane come salari, manutenzione, e acquisto di materiali”. Ma aumentano anche i rischi finanziari: “con costi di finanziamento più alti, il rischio di insolvenza aumenta – sottolinea ancora Castagnetti – specialmente per le aziende che dipendono in modo significativo dal finanziamento esterno per le loro operazioni. Questo può rendere le aziende meno attraenti agli occhi degli investitori e delle banche, potenzialmente limitando ulteriormente l’accesso al capitale”. E ci sono effetti negativi anche sul fronte delle esportazioni, che valgono oltre la metà del fatturato enoico tricolore. E questo perché le dinamiche dei tassi di interesse influenzano anche il valore dell’euro rispetto ad altre valute, impattando la competitività delle esportazioni italiane sul mercato mondiale. “In poche parole, la gestione finanziaria delle imprese del vino deve fare un salto di qualità. La presenza di un gran numero di Pmi spesso destrutturate e focalizzate su altri aspetti strategici non facilita quanto obiettivo”, aggiunge Castagnetti nella sua analisi, che prende in considerazione anche le strategie di mitigazioni degli effetti negativi del costo elevato del denaro.
“Per far fronte a questi impatti, le aziende vinicole possono adottare diverse strategie. A partire dagli investimenti. I piani di investimento – spiega Castagnetti – dovrebbero essere trainati dai vantaggi competitivi direttamente ad essi collegati, i soli a creare le condizioni necessarie alla loro copertura finanziaria. Altri investimenti che rispondono ad altre logiche e/o indirettamente correlati a vantaggi competitivi evidenti potrebbero essere posticipati a momenti in cui il costo del denaro dovesse ridursi. Inoltre, con tassi di interesse elevati diminuisce il valore nel lungo periodo degli asset immobiliari e pertanto potrebbe diventare difficilmente sostenibile un loro elevato valore nei bilanci societari”.
Ma, come del resto molti in questi mesi hanno fatto, a livello aziendale, e anche privato, si può lavorare anche sulla ristrutturazione del debito. Per esempio, negoziando condizioni di finanziamento più favorevoli, o convertendo i debiti a tasso variabile in debiti a tasso fisso per evitare future sorprese. E si può, e si deve, “migliorare l’efficienza operativa per ridurre i costi, ad esempio attraverso l’adozione di tecnologie che migliorano la produttività o riducono il consumo di risorse. In questo ambito sono favorite le imprese del vino che hanno il controllo sull’intera filiera vitivinicola”. “Last but not least”, come si dice, si può lavorare sulla diversificazione delle fonti di reddito. Per esempio, esplorare nuovi mercati, soprattutto all’estero, o canali di vendita, come il commercio on line. Il tutto, ovviamente, sperando in una riduzione del costo del denaro, che aiuterebbe i consumi, gli investimenti, e la vita di consumatori ed imprese.


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