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Zes e fondi di sviluppo e coesione, serve un intervento sistemico e la centralizzazione in una cabina di regia nazionale


Intervento sistemico. Questa è la parola magica della quale il Paese ha bisogno e il Mezzogiorno ancora di più. Un coordinamento complessivo che consenta che una miccia faccia accendere la miscela che porti a quello sviluppo tanto atteso, che per l’Italia significa incrementi del reddito che non si riducano a qualche zero virgola, al quale il Mezzogiorno contribuisca significativamente, magari raddoppiando o triplicando la crescita rispetto a quella della parte forte.

Cosa possibile se alcuni interventi già programmati andranno a regime. In tale logica e prospettiva la riforma della politica di coesione del Ministro Raffaele Fitto, indispensabile per sbloccare la prossima rata del PNRR, diventa la svolta necessaria per la spesa dei fondi strutturali.
La centralizzazione in una cabina di regia nazionale delle linee di intervento necessarie per far partire la seconda locomotiva va, con una serie di azioni successive, ormai a regime.

Da una parte la Zes, la cui spiegazione dell’acronimo è diventato Zona Economica Unica. Dall’altro il coordinamento dei Fondi di Sviluppo e Coesione, che tanto fastidio ha dato ad alcuni Governatori regionali.
E si capisce anche perché: dover coordinare gli interventi con un organismo centralizzato può rappresentare un grosso problema, perché sottrae alla gestione autonoma risorse importanti. Bisognerà confrontarsi con un piano nazionale. E questo nel caso di gestione corretta delle risorse.
Ma se invece, come spesso è avvenuto, la spesa avviene per soddisfare le classi dominanti estrattive, che indirizzano i fondi per foraggiare i propri “clientes”, viene tolto uno strumento di gestione del consenso, fondamentale per il permanere di uno status quo che fa comodo a tanti.

Al Dpcoe, dipartimento per le politiche di coesione, che «avrà funzioni di supporto organizzativo e tecnico» alla Cabina di regia, che sarà composta dai Ministri dei settori strategici indicati dal decreto (risorse idriche; infrastrutture per il rischio idrogeologico e la protezione dell’ambiente; rifiuti; trasporti e mobilità sostenibile; energia; sostegno allo sviluppo e all’attrattività delle imprese, anche per le transizioni digitale e verde) è affidato anche il «monitoraggio rafforzato degli interventi prioritari», che si baserà su relazioni semestrali. Un ruolo impegnativo dal momento che saranno assicurati dal Dipartimento «nei limiti delle risorse umane e strumentali disponibili (…) e senza nuovi o maggiori oneri a carico dalla finanza pubblica», anche se esso recentemente era stato rafforzato con risorse umane nuove.

Infatti si era intervenuto sul potenziamento della capacità amministrativa, facendo ricorso alle risorse del programma nazionale per la coesione 2021-2027 (quasi 1,3 miliardi di euro), cofinanziato dalla Commissione Europea e che prevede l’assunzione di un migliaio di funzionari nelle amministrazioni che gestiscono fondi europei, ma solo con contratti fino a dicembre 2026, che come avviene di solito si può prevedere che passeranno dal tempo determinato a indeterminato.
D’altra parte è noto che le realtà a sviluppo ritardato hanno bisogno di centralismo avvertito. Ma non basta che si accentri se poi si creano dei colli di bottiglia che frenano tutto, o si inviino dei Commissari governativi per risolvere le problematiche di alcune realtà, se poi questi operano peggio di quanto non avessero fatto le Istituzioni locali.

Bisogna perciò evitare che quelle iniziative già in itinere, portati avanti dalle 8 ZeS, si perdano per strada, perché se passa la vulgata che del Governo non ci si può fidare, perché cambia le regole del gioco a partita iniziata, il recupero di fiducia da parte degli investitori sarà estremamente complesso.
Peraltro il momento è di quelli magici: i grandi investimenti nelle infrastrutture, che sono stati trainati dalla decisione di riavviare il ponte sullo stretto di Messina e del Mediterraneo e dall’investimento conseguente, potranno dare un loro contributo fondamentale alla vivacizzazione dell’economia meridionale.
Mentre il prossimo inizio dei lavori sullo stretto dovrebbe portare un incremento dell’occupazione interessante, nonché essere volano per tante attività indotte da tale progetto.

La centralizzazione di molte decisioni potrà portare anche a completare quegli investimenti fondamentali sul porto di Augusta e quello di Gioia Tauro, che consentano alla logistica meridionale di diventare l’Hub strategico europeo, non solo a livello energetico ma anche per le importazioni di merci, magari consentendo lo sdoganamento dei Tir e il potenziamento dell’attività manifatturiera delle aree retroportuali, che, contrariamente a quelle di Genova molto contenute, sono estremamente ampie.
Nella cabina di regia andrebbe inserito il Ministero del turismo, terza gamba dello sviluppo del Mezzogiorno insieme alla logistica e al manifatturiero, che finora procede senza una vera programmazione.
Bisogna probabilmente pensare ad alcune aree del Mezzogiorno per un turismo di grandi numeri, che aiuti a incrementare le 80 milioni di presenze, uguali a quelle del solo Veneto, malgrado il boom di alcune città d’arte meridionali come Napoli e Palermo, e portarle perlomeno ad un raddoppio nei prossimi cinque anni.

Insomma, cabina di regia dovrebbe voler dire anche un progetto complessivo fino alla fine della legislatura, che preveda i numeri che si vogliono raggiungere, in termini di incremento di Pil, di occupazione, di movimento portuale complessivo, di numero di presenze turistiche, di importo di investimento nel manifatturiero privato. Parlo ovviamente della parte economica che deve essere affiancata da un progetto di sviluppo adeguato dei diritti di cittadinanza, oltre quello all’occupazione che sarebbe soddisfatto dall’impianto precedente, anche quello alla salute e alla formazione, oltre all’infrastrutturazione della quale si è già parlato.

Si ritorna al concetto con cui ho aperto questo intervento. Quello che serve è un intervento sistemico. Se così non dovesse essere non saranno singole azioni a far cambiare un andamento che stenta a decollare.
Chiedersi perché sia difficile sviluppare una realtà di 20 milioni di abitanti è quasi da ingenui. È una mission difficilissima che può essere raggiunta e risolta soltanto se tutti gli elementi andranno nella loro giusta allocazione.


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