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Gli incerti confini della discrezionalità del legislatore nazionale in materia di incentivi alle rinnovabili: dubbio di compatibilità tra il meccanismo “a due vie” e il diritto europeo (nota a Consiglio di Stato, Sez. II, ordinanza 30 gennaio 2024, n. 926).

di Maria Francesca Tropea

Sommario: 1. Il caso di specie – 2. Le modalità di accesso agli incentivi nel settore dell’energia rinnovabile ai sensi del D.M. 4 luglio 2019. – 3. Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. – 4. Le motivazioni del dubbio di compatibilità tra diritto interno ed europeo – 5. Osservazioni conclusive anche alla luce del principio di neutralità tecnologica e della giurisprudenza della CGUE (sentenza n. 306/2022).

1. Il caso di specie.

L’ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. II, 30 gennaio 2024, n. 926 risulta di particolare interesse in quanto ha determinato il rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per un dubbio di compatibilità tra la normativa interna in materia di incentivi delle rinnovabili e la normativa eurounitaria di promozione dello sviluppo delle medesime fonti energetiche.

La pronuncia in commento trae origine dall’impugnazione – ad opera di una società titolare di un impianto fotovoltaico – del provvedimento amministrativo di ammissione alle tariffe incentivanti di cui al decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 4 luglio 2019 e del contratto stipulato con il Gestore dei Servizi Energetici (G.S.E.) per il riconoscimento degli incentivi nella parte in cui si prevede che «nel caso in cui il valore dell’incentivo, ottenuto come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario, risulti negativo, il G. provvederà a chiedere al soggetto responsabile la restituzione di tale differenza».

La società appellante sostiene che tale meccanismo non garantisca l’equa remunerazione dei costi; violi i principi europei di concorrenza sostanziandosi nell’imposizione di un ricavo; contrasti con l’obiettivo di garantire condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per le imprese che investono in energia rinnovabile; leda il diritto di proprietà e il legittimo affidamento essendo la corresponsione dell’incentivo per la durata di 20 anni un credito idoneo ad essere considerato un “bene” tutelabile ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU.

Il T.A.R. del Lazio, con sentenza n. 3010/2023, ha respinto il ricorso in primo grado, ritenendo la previsione de qua non irragionevole, poiché metterebbe comunque al riparo dall’aleatorietà del prezzo di mercato l’imprenditore garantendogli un importo fisso tramite cui recuperare quanto investito nell’impianto e riconoscendogli, a fronte di tale vantaggio, un “ristorno” al Gestore dei Servizi Energetici quando il prezzo dell’energia aumenta.

La società ha appellato la pronuncia di primo grado sostenendo che il T.A.R. non avesse considerato che, in ipotesi di aumento del prezzo dell’energia, il meccanismo comporta invero l’azzeramento dell’incentivo, precludendo così la remunerazione dei costi di investimento e di esercizio e contrastando così con la ratio sottesa ai regimi di sostegno nazionali e con gli obiettivi europei in tema di energia rinnovabile, volti a garantire condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per gli investitori, che non vadano a minare la sostenibilità economica dell’investimento, nel rispetto dei principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto.

Il Consiglio di Stato, dubitando dell’esistenza di un conflitto tra la normativa interna e quella eurounitaria, ha effettuato un rinvio pregiudiziale di interpretazione ai sensi dell’art. 267 TFUE. 

In particolare, la disposizione del diritto nazionale rilevante nel caso di specie, della cui contrarietà al diritto dell’Unione si dubita, è l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 4 luglio 2019, il quale stabilisce che per gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW «il G.S.E. calcola la componente incentivo come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario di mercato dell’energia elettrica e, ove tale differenza sia positiva, eroga gli importi dovuti in riferimento alla produzione netta immessa in rete, secondo le modalità individuate all’art. 25 del decreto ministeriale del 23 giugno 2016. Nel caso in cui la predetta differenza risulti negativa, il G.S.E. conguaglia o provvede a richiedere al soggetto responsabile la restituzione o corresponsione dei relativi importi. In tutti i casi, l’energia prodotta da questi impianti resta nella disponibilità del produttore».

È su tale disposizione che si fonda il provvedimento di ammissione impugnato e l’art. 4 del contratto stipulato dall’appellante con il Gestore dei Servizi Energetici, il quale prevede che «la tariffa incentivante, costante in moneta corrente, da utilizzare ai fini dell’incentivazione dell’impianto», è pari a 0,090000 Euro/kWh e che il Gestore, da un lato, «riconosce la differenza, qualora positiva, tra la suddetta tariffa incentivante e il prezzo zonale orario», dall’altro «conguaglia o provvede a richiedere all’Operatore la differenza, qualora negativa, tra la suddetta tariffa incentivante e il prezzo zonale orario».

 2. Le modalità di accesso agli incentivi nel settore dell’energia rinnovabile ai sensi del D.M. 4 luglio 2019.

Per meglio comprendere il contesto entro il quale si inserisce la disposizione oggetto del rinvio pregiudiziale che ci occupa, occorre ricordare le modalità di accesso agli incentivi, di cui al citato Decreto ministeriale del 2019. 

Il Decreto ministeriale del 4 luglio 2019 prevede due differenti meccanismi incentivanti, in funzione della potenza dell’impianto. 

Nella specie, il primo meccanismo è rappresentato dal ritiro dell’energia elettrica prodotta da parte del Gestore, il quale eroga all’operatore la tariffa a questi spettante. 

Il secondo meccanismo è invece costituito dall’attribuzione all’impresa di un incentivo, calcolato come differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario che, se positiva, integra il ricavo connesso alla vendita sul mercato dell’energia prodotta, mentre, quando è negativa, ossia quando la tariffa è inferiore al prezzo di mercato, comporta che l’impresa non solo non percepisca alcuna sovvenzione, ma debba versare la differenza al Gestore dei Servizi Energetici.

Tale secondo meccanismo, di cui all’art. 7, comma 7 del decreto ministeriale in questione, è definito come sistema “a due vie”.

Orbene, se da un lato, gli impianti di potenza non superiore a 250 kW possono optare indifferentemente tra uno dei due meccanismi, dall’altro lato, quelli di potenza pari o superiore, come quello dell’appellante, possono accedere al solo incentivo.

Vista la potenza dell’impianto oggetto di causa, il meccanismo incentivante applicato nel caso di specie non poteva che essere quello “a due vie”.

L’impresa appellante lamenta dunque non solo di non aver ottenuto alcun incentivo, ma anzi, di aver ricevuto richieste di pagamento della differenza da parte del Gestore dei Servizi Energetici, avendo stipulato il contratto durante la crisi energetica del 2022, quando il prezzo orario dell’energia era superiore alla tariffa spettante.

 3. Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. 

Il Collegio ha così effettuato un rinvio pregiudiziale d’interpretazione ai sensi dell’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, dubitando della compatibilità tra il meccanismo incentivante c.d. “a due vie”, come delineato dall’art. 7, comma 7, del D.M. 4 luglio 2019, da un lato, e l’art. 3 della Direttiva n. 2009/28/CE e l’art. 4 della Direttiva n. 2018/2001/UE, dall’altro. 

In particolare, l’art. 3 della direttiva n. 2009/28/CE, abrogata a partire dal 1° luglio 2021, ma in vigore all’epoca di adozione del D.M. del 4 luglio 2019, prevedeva che ogni Stato membro «promuove e incoraggia l’efficienza ed il risparmio energetico» e adotta «misure efficacemente predisposte» in modo da raggiungere entro il 2020 la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale fissata quale obiettivo nazionale, e che, a tal fine, può adottare «regimi di sostegno» (definiti dall’art. 2, co. 2, lett. k) dalla medesima direttiva come «ogni strumento, regime o meccanismo […] inteso a promuovere l’uso delle energie da fonti rinnovabili riducendone i costi, aumentando i prezzi a cui possono essere vendute o aumentando, per mezzo di obblighi in materia di energie rinnovabili o altri mezzi, il volume acquistato di dette energie», quali per esempio «le sovvenzioni agli investimenti, le esenzioni o gli sgravi fiscali, le restituzioni d’imposta, i regimi di sostegno all’obbligo in materia di energie rinnovabili, compresi quelli che usano certificati verdi e i regimi di sostegno diretto dei prezzi ivi comprese le tariffe di riacquisto e le sovvenzioni».

Come già anticipato, l’art. 4 della direttiva n. 2018/2001/UE prevede quale termine per il recepimento la data del 30 giugno 2021, dunque un momento successivo rispetto a quello di emanazione del D.M. del 4 luglio 2019.

Tuttavia, da tale direttiva è comunque derivato l’obbligo per gli Stati membri di astenersi dall’adottare disposizioni che potessero compromettere gravemente l’obiettivo posto da questa (c.d. obbligo di “standstill”).

Ebbene, tale termine era già spirato al momento dell’adozione del provvedimento di ammissione agli incentivi impugnato con il ricorso di primo grado e la direttiva era già stata recepita dal Legislatore italiano con il D.lgs. 8 novembre 2021, n. 199.

La Direttiva conferma la possibilità per gli Stati membri di istituire dei regimi di sostegno che prevedano l’erogazione di incentivi, precisando che questi meccanismi debbano basarsi su criteri di mercato, rispondere ai segnali di mercato (evitando inutili distorsioni dei mercati dell’energia elettrica, tenendo conto degli eventuali costi di integrazione del sistema e della stabilità dell’energia elettrica) e garantire che i produttori di energia rinnovabile reagiscano ai segnali di prezzi del mercato e massimizzino i loro ricavi sul mercato.

Inoltre, la Direttiva prevede che gli incentivi vengano concessi con modalità aperte, trasparenti, competitive, non discriminatorie ed efficaci sotto il profilo dei costi.

 4. Le motivazioni del dubbio di compatibilità tra diritto interno ed europeo.

Definito il quadro normativo esistente a livello eurounitario, occorre a questo punto ripercorrere le ragioni che hanno portato il Collegio giudicante ad effettuare il rinvio pregiudiziale de quo

Nella specie, il dubbio sulla compatibilità tra il diritto nazionale e le direttive, secondo il Consiglio di Stato, discende da tre considerazioni.

In primo luogo, alla luce del diritto dell’Unione, il meccanismo incentivante in quanto tale, dovrebbe agevolare la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, favorendo l’investimento nella realizzazione di nuovi impianti o nel potenziamento di quelli esistenti, mediante un contributo pubblico a sostegno dei relativi costi. 

I costi, grazie a tali meccanismi incentivanti verrebbero così posti parzialmente a carico della collettività in ragione delle esternalità positive che si ricollegano al perseguimento di obiettivi di transizione ecologica.

Tale prima considerazione stride necessariamente con l’incentivo negativo configurato dall’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019. 

Tale previsione, infatti, comporta che, nel caso in cui il prezzo zonale orario dell’energia aumenti, le imprese, pur avendo effettuato degli investimenti, non ottengono alcuna sovvenzione che ne riduca il costo. 

Anzi, nella predetta ipotesi, l’impresa deve riversare al gestore del Servizio Energetico parte degli introiti derivati dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta con la conseguenza che queste potrebbero essere indotte ad abbandonare l’incentivo, così compromettendo il raggiungimento dei risultati perseguiti dalle direttive.

La seconda considerazione che lascia dubitare della compatibilità tra l’art. 7 e le direttive è che l’incentivo negativo non può considerarsi una contropartita della garanzia di una tariffa costante, considerato che l’impresa vende l’energia sul mercato, soggiace alle sue dinamiche ed è esposta ai relativi rischi, dunque l’obbligo di versare la differenza tra il prezzo zonale orario e la tariffa spettante al singolo operatore potrebbe pregiudicarne la capacità di reazione alle dinamiche del mercato. 

In altri termini, vi sarebbe in tal senso un contrasto tra il meccanismo di incentivi “a due vie” e i regimi di sostegno contemplati dal legislatore sovranazionale che devono essere configurati in modo tale da rispondere ai segnali di mercato, evitando inutili distorsioni.

In terzo luogo, la tariffa “a due vie”, che può tradursi nell’applicazione dell’incentivo negativo, è imposta quale unico meccanismo incentivante per tutti gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, mentre i titolari di impianti di potenza inferiore, possono optare per il diverso regime che prevede il ritiro dell’energia da parte del gestore del Servizio energetico con corresponsione della tariffa spettante a loro favore.

In questo senso, si delinea il dubbio di compatibilità tra l’art. 7 del decreto ministeriale citato e le direttive eurounitarie, che, invero, richiedono la definizione di regimi di sostegno non discriminatori.

In sostanza, ciò che si domanda il Consiglio di Stato nell’effettuare il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE è se, in effetti, l’art. 7, comma 7 del Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 4 luglio 2019 sia conforme con le prescrizioni del Legislatore eurounitario in forza delle quali i regimi di sostegno devono essere in grado di promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili, devono essere definiti in modo tale da rispondere ai segnali di mercato e devono in ultimo essere definiti in modo tale da non creare discriminazioni.

Il Collegio ha così posto il seguente quesito alla Corte di Giustizia dell’Unione europea: «se i principi recati dall’art. 3 della direttiva 2009/28/CE e dall’art. 4 della direttiva 2018/2001/UE ostano o non ostano a una normativa interna, quale l’art. 7, comma 7, del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 4 luglio 2019, che, nell’ambito di un regime nazionale di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, preveda, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, un meccanismo incentivante (c.d. “a due vie”) in forza del quale, rispetto ai soli impianti di nuova costruzione di potenza pari o superiore a 250 kW, l’incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa spettante all’impresa (determinata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia di impianto e d’intervento, dalla normativa applicabile e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste in via generale dalla normativa interna) e il prezzo zonale orario, con conseguente obbligo di riversare le somme eccedenti il valore della tariffa spettante quanto il prezzo zonale orario sia a essa superiore (c.d. “incentivo negativo”)».

 5. Osservazioni conclusive anche alla luce del principio di neutralità tecnologica e della giurisprudenza della CGUE (sentenza n. 306/2022).

Ricostruito il fatto da cui è occasionata la pronuncia di rinvio pregiudiziale e richiamate le considerazioni per cui il Collegio ha ritenuto sussistere un dubbio di compatibilità tra la normativa interna e il diritto europeo, possono a questo punto svolgersi alcune osservazioni conclusive.

Ad avviso di chi scrive, dal confronto tra la normativa interna e il diritto europeo in materia di fonti energetiche rinnovabili, emerge un evidente contrasto tra i risultati dell’applicazione del c.d. incentivo negativo e gli obiettivi di promozione delle rinnovabili proclamati dalle Direttive richiamate e, da ultimo riconfermati con la Direttiva 2023/2413/UE.

Il meccanismo di incentivazione contemplato dall’art. 7, comma 7, del Decreto ministeriale del 4 luglio 2019, infatti, nel contemplare non solo la possibilità di un non incentivo – pur a fronte di investimenti effettuati – ma anche la possibilità di una richiesta di riversare al Gestore del Servizio Energetico parte degli introiti derivanti dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta, condivisibilmente rispetto a quanto prospettato dal Consiglio di Stato, parrebbe porsi in contrasto con il diritto europeo.

In particolare, si condividono le tre considerazioni effettuate dal Collegio giudicante in ordine alla natura del meccanismo incentivante contemplato dal decreto ministeriale più volte richiamato che non è idoneo ad agevolare la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili se, a fronte di investimenti effettuati, non contempla alcune sovvenzioni che ne riducano i costi e, addirittura, prevede che le imprese riversino al Gestore parte degli introiti derivati dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta.

Ancora, è condivisibile la seconda considerazione in ordine alla incapacità del regime di sostegno contemplato dal Legislatore italiano di rispondere ai segnali di mercato, soprattutto nell’odierno contesto di crisi energetica. 

Parimenti condivisibile è il dubbio in ordine alla discriminatorietà del regime di sostegno contemplato dal Legislatore nazionale, nella misura in cui la tariffa a due vie, che talvolta può tradursi nell’applicazione dell’incentivo negativo è imposta quale unico meccanismo incentivante per tutti gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, mentre i titolari di impianti di potenza inferiore possono optare per il diverso regime (più favorevole) del ritiro dell’energia da parte del Gestore con corresponsione della tariffa spettante.

Il trattamento che ne deriva, infatti, è evidentemente discriminatorio, contemplando, peraltro, un regime ben più favorevole per impianti che sono per loro stessa natura destinati a produrre minor quantità di energia da fonti rinnovabili, poiché di minor potenza, sfavorendo invece gli impianti di maggiore potenza. 

In relazione a tale ultimo aspetto, si rende necessario un seppur rapido richiamo al principio di neutralità tecnologica, che, dall’applicazione di un simile meccanismo incentivante, ne risulterebbe evidentemente pregiudicato. 

Tale principio, infatti, predica la libertà di scegliere la tecnologia più appropriata e adeguata alle esigenze e ai requisiti per lo sviluppo, l’acquisizione, l’uso o la commercializzazione, senza dipendenze di conoscenza implicate come informazioni o dati.

Il principio di neutralità tecnologica, applicato alla materia della transizione energetica, è realizzabile attraverso un approccio flessibile alle tecnologie disponibili, vale a dire attraverso un mix di tecnologie di cui disporre di volta in volta in base alla loro maturità ed efficacia nel ridurre le emissioni. 

La decarbonizzazione, infatti, può realizzarsi solo attraverso una pluralità di tecnologie da applicare a seconda del contesto di riferimento.

L’approccio flessibile secondo il principio di neutralità tecnologica favorisce l’utilizzo di tutte le opzioni in maniera complementare.

Secondo tale strategia, le energie rinnovabili svolgono al meglio il loro ruolo nella transizione energetica quando abbinate ad altre misure di mitigazione, quali possono essere appunto, oltre all’efficienza energetica, le misure di sostegno e i meccanismi incentivanti delle rinnovabili.

Ebbene, sostenere un meccanismo incentivante che si applichi solo per determinate tipologie di impianti equivarrebbe in ultimo anche a ledere il suddetto principio di neutralità tecnologica.

A sostegno della tesi secondo la quale parrebbe sussistere un contrasto tra la normativa interna e il diritto dell’Unione nei predetti termini, peraltro, può pervenirsi anche tenendo a mente quanto statuito dalla medesima Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza n. 306/2022, resa nelle cause riunite C-306/19, C-512/19, C-595/19 e da C-608/20 a C-611/20.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, in tale occasione, ha avuto modo di pronunciarsi in materia di incentivi alle rinnovabili e, nella specie, in tema di riduzione degli incentivi al fotovoltaico, a conferma dell’incertezza dei confini della discrezionalità del legislatore in materia di meccanismi incentivanti.

In particolare, in tal caso, la Corte ha ritenuto la conformità al diritto UE della normativa interna che contemplava la rimodulazione degli incentivi del G.S.E. sull’energia da fonti rinnovabili considerato che un operatore economico prudente, sulla base del quadro normativo vigente, avrebbe dovuto essere in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi.

Nei casi decisi con tale pronuncia, gli imprenditori interessati dalla riduzione degli incentivi lamentavano la lesione del legittimo affidamento e la violazione del principio di certezza del diritto, nonché della Direttiva 2009/28/UE, nella misura in cui l’articolo 26 del Decreto-Legge n. 91/2014 ha introdotto retroattivamente misure incentivanti meno favorevoli, tali da sovvertire le condizioni iniziali di investimenti già realizzati.

In questo caso, ciò che maggiormente ha rilevato ai fini della decisione è stato il richiamo alla formulazione dell’art. 3 paragrafo 3, lettera a), della Direttiva 2009/28/UE e, in particolare, all’utilizzo del termine «possono».

Gli Stati membri, sulla scorta di tale disposizione, infatti, non sono affatto obbligati, al fine di promuovere l’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ad adottare regimi di sostegno per le rinnovabili. 

Essi godono di un potere discrezionale quanto alle misure ritenute appropriate per raggiungere gli obiettivi nazionali generali obbligatori fissati all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di detta Direttiva, in combinato disposto con l’Allegato I della medesima. 

Un siffatto potere discrezionale implica che gli Stati membri siano liberi di adottare, modificare o sopprimere regimi di sostegno purché tali obiettivi siano stati raggiunti.

In tal caso, la stessa formulazione dell’articolo 7, comma 2, del D.lgs. n. 387/2003 indicava all’operatore economico prudente e accorto, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che gli incentivi in questione non erano garantiti a tutti gli operatori interessati per un periodo determinato, tenuto conto, in particolare, del riferimento a un importo decrescente delle tariffe incentivanti nonché alla durata limitata dell’incentivo e della fissazione di un limite massimo di potenza elettrica cumulata ammissibile all’incentivo medesimo.

Parimenti, anche il D.lgs. n. 28/2011, che ha abrogato il D.lgs. n. 387/2003, dispone, all’art. 25, che l’incentivo alla produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici è disciplinato da un decreto ministeriale che fissa un limite annuale della potenza elettrica cumulata di simili impianti ammissibili a beneficiare delle tariffe incentivanti e che prevede tali tariffe tenendo conto della riduzione del costo delle tecnologie e degli impianti nonché delle misure incentivanti applicate negli altri Stati membri e della natura del sito degli impianti.

La pronuncia ha inoltre chiarito la natura delle convenzioni sottoscritte con il G.S.E. che si limitavano a definire le modalità di erogazione degli incentivi, senza tuttavia attribuirli.

Pertanto, in tal caso, secondo la Corte di giustizia non v’è stata lesione del legittimo affidamento, trattandosi di posizione giuridica non acquisita, che non rientra nella tutela prevista all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Sotto un secondo profilo, si è esclusa altresì la violazione dell’art. 16 della Carta in materia di libertà di esercitare un’attività economica o commerciale, in quanto le convenzioni concluse con i proprietari di impianti fotovoltaici prevedevano unicamente le condizioni pratiche per l’erogazione degli incentivi, assegnati invero con decisioni amministrative precedenti. 

Pertanto, gli imprenditori non disponevano di alcun potere negoziale in ordine al contenuto delle convenzioni stipulate con il G.S.E., trattandosi di un contratto-tipo redatto da una parte contrattuale, ove la libertà contrattuale della controparte consiste, in sostanza, solo nel decidere se accettare o meno le condizioni del contratto stesso.

Alla luce di tutti i rilievi richiamati, la Corte di Giustizia UE, in tale occasione, ha stabilito che l’art- 3, paragrafo 3, lettera a) della Direttiva 2009/28/UE e gli artt. 16 e 17 della Carta, letti alla luce dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, dovessero essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede la riduzione o il rinvio del pagamento degli incentivi per l’energia prodotta da impianti solari fotovoltaici.

Tale conclusione, come sottolineato in dottrina, evidenzia l’esistenza di un attuale sistema normativo che non costituisce uno stimolo adeguato e sufficiente per la realizzazione di investimenti nel campo dell’energia sostenibile, potendo anzi determinarne la disincentivazione.

Ad ogni modo, con il rinvio pregiudiziale effettuato dalla pronuncia in commento, si è chiesto alla Corte di Giustizia UE di stabilire non tanto se il legislatore nazionale, nell’esercizio della facoltà di prevedere (o meno) un meccanismo incentivante nel settore del fotovoltaico, a seguito della conclusione di convenzioni con il G.S.E., possa prevedere che gli incentivi ivi previsti siano ridotti, ma, diversamente, se il meccanismo incentivante possa determinare effetti contrari e, nella specie, discriminatori, non rispondenti ai segnali di mercato, e, per l’effetto, disincentivanti.

In entrambi i casi rimessi alla Corte, può dirsi che i dubbi di compatibilità tra il diritto nazionale e il diritto europeo siano fondati sull’esistenza di un quadro normativo interno che pare mal conciliarsi con le esigenze sottese alla transizione ecologica, in un contesto di crisi ambientale e, soprattutto, energetica, segnato dalla consapevolezza di essere ormai prossimi a un collasso ecologico dovuto al superamento dei cc.dd. “Planeraty Boundaries”, al cui interno sono stati individuati alcuni spazi per poter prosperare in modo sicuro sia da un punto di vista ambientale che sociale (cc.dd. Safe Operating Spaces – SOS), ove ben si inseriscono, appunto, gli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

Concepire modelli di incentivazione come quelli di cui al D.M. del 4 luglio 2019, a sommesso avviso di chi scrive, oltre a contrastare con il diritto europeo, equivale a legittimare una contraddizione interna al sistema, nel quale è la stessa Carta costituzionale a rendere finalmente “giustizia” al bene “ambiente” con la sua introduzione negli artt. 9 e 41 Cost..

Ne deriva che il compito di cui è investito il Giudice europeo a fronte del rinvio pregiudiziale in commento è se non altro strategico, poiché idoneo ad individuare, da ultimo, gli strumenti giuridici più idonei alla realizzazione a alla mobilizzazione della transizione ecologica.

Ad ogni modo, anche laddove il Giudice europeo ritenesse che il meccanismo incentivante “a due vie” costituisca espressione del legittimo esercizio dell’(ampia) discrezionalità attribuita agli Stati membri, è auspicabile che i futuri interventi normativi in materia, in linea con il P.N.R.R. nazionale, contemplino nuovi ed ulteriori incentivi, nonché nuovi meccanismi di accesso caratterizzati da una disciplina chiara, certa, semplificata e non discriminatoria, in modo tale da garantire sempre maggiori investimenti nel settore e, con essi, la massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili nel perseguimento degli obiettivi sottesi alla transizione ecologica e in conformità con il chiaro favor espresso dal legislatore eurounitario nei confronti delle fonti energetiche rinnovabili.

 

 Cons. Stato, Sez. II, 30 gennaio 2024 n. 926, in www.giustizia-amministrativa.it.

 In giurisprudenza, sullo specifico tema dei meccanismi incentivanti delle rinnovabili, cfr. Cons. St., Sez. II, 19 aprile 2023 n. 3992, in Riv. giur. ed., 2023, 4, I, 911, in materia di applicabilità della tariffa incentivante alla serra fotovoltaica; Cons. St., Sez. II, 28 novembre 2022 n. 10409, in Red. Giuffrè amm., 2022, sulla disciplina degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili contenuta nel d.m. 6 luglio 2012, ove, già in tale occasione la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che la disciplina degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili ha la finalità di sostenere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili attraverso la definizione di incentivi e modalità di accesso semplici e stabili, che promuovano l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità degli oneri di incentivazione in misura adeguata al perseguimento dei relativi obiettivi, stabiliti nei Piani di azione per le energie rinnovabili. Per una ricostruzione dell’ampia casistica di giurisprudenza delle giurisdizioni superiori esistente in materia di incentivi energetici e relative controversie, si rinvia alla rassegna monotematica dell’Ufficio massimario della Giustizia amministrativa a cura di D. Caminiti, Le controversie in materia di incentivi energetici. Il G.s.e., in www.giustizia-amministrativa.it, 15 novembre 2023. 

In dottrina, in materia di incentivi alle rinnovabili, A. Castelli, M. Loche, Produzione di energia da fonti rinnovabili e incentivi pubblici: il punto sul fotovoltaico dopo il d.l. “Rilancio”, in Ambiente e sviluppo, 7, 2020, 589, i quali affermano, appunto, che: «Lo sfruttamento dell’energia da fonti rinnovabili rappresenta, da tempo, una delle finalità centrali della politica di crescita dell’Unione Europea, indirizzata verso la promozione di un utilizzo ed uno sviluppo sempre maggiori di tale metodologia di produzione energetica, coerentemente con le politiche ambientali degli Stati membri, sempre più orientate verso la sostenibilità e la mitigazione degli impatti sull’ambiente delle attività umane»; M. De Focatiis, Il sistema italiano tra incentivi, obblighi e contraddizioni, in P. Biandrino, M. De Focatiis (a cura di), Efficienza energetica ed efficienza del sistema dell’energia: un nuovo modello?, Milano, 2017, 97-103; C. Vivani, I procedimenti di autorizzazione alla realizzazione e alla gestione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, in Urb. & app., 2011, 7, 775, ove si legge che: «L’incremento del ricorso all’energia da fonti rinnovabili costituisce indubbiamente uno dei capisaldi dell’attuale politica energetica dell’Unione Europea, permettendo di coniugare alcuni obiettivi prioritari: non solo la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, ma anche la riduzione della dipendenza dell’Europa dalle importazioni di combustibili fossili tradizionali e l’incremento della crescita economica europea tramite lo sviluppo di tecnologie innovative e competitive a livello globale»; B. Pozzo, a cura di, Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, Milano, 2009, 14 ss.. Occorre sottolineare che, rispetto al panorama internazionale, l’Unione europea, nel mondo, è sempre stata considerata all’avanguardia nella ricerca e nell’impiego delle fonti rinnovabili di energia. Esiste, infatti, già da tempo, una Direttiva Quadro, appunto la 2001/77/CE, con la quale è stato dato avvio ad una politica energetica, fondata sull’incentivazione del ricorso alle fonti rinnovabili di energia, cui è stato accompagnato un apparato amministrativo semplificato che non ostacolasse l’iter burocratico connesso con l’installazione degli impianti energetici, ma che anzi lo favorisse. Così si è espresso, ormai molti anni orsono, A. Cutera, Introduzione, in Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, a cura di, B. Pozzo, cit., XIII. Si segnala tuttavia, nella giurispridenza amministrativa nazionale, l’esistenza di un orientamento consolidato in forza del quale, sebbene si riconosca che la ratiodell’attribuzione degli incentivi alla produzione di energia da fonti rinnovabili sia certamente costituita dall’incremento della produzione di detta energia, si afferma che la stessa non può comunque giustificare violazioni delle procedure finalizzate alla corretta attribuzione degli stessi che, diversamente, si tradurrebbero in un aiuto di Stato illegittimamente erogato. In questo senso, si veda, da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 3 febbraio 2022 n. 1281, in Red. Giuffrè amministrativo, 2022.

 Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, 4 luglio 2019, recante «Incentivazione dell’energia elettrica prodotta dagli impianti eolici on shore, solari fotovoltaici, idroelettrici e a gas residuati dei processi di depurazione», in G.U. Serie Generale n. 186, del 9 agosto 2019.

 Sulla natura del Gestore del Servizio energetico, quale soggetto privato svolgente pubbliche funzioni, posto che, pur rivestendo formalmente la veste di società di capitali di diritto privato, è soggetto munito dalla legge di funzioni pubbliche correlate alla diffusione delle energie da fonte rinnovabile, al controllo ed alla gestione dei flussi energetici di tale provenienza e all’assolvimento degli obblighi imposti dalla legge agli operatori del settore energetico, cfr. Cons. St., Ad. plen., 3 settembre 2019 n. 9, con nota di A. Colavecchio, Provvedimento amministrativo e atti di accertamento tecnico, in Giorn. Dir. Amm., 2020, 1, 90).

 Cons. Stato, Sez. II, n. 926/2024, cit., punto 3.

 «La nozione di “beni” contenuta nella prima parte dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 è autonoma, e comprende sia i “beni esistenti” che i diritti patrimoniali, compresi i crediti, in relazione ai quali il ricorrente può sostenere di avere almeno una “aspettativa legittima”. Il termine “beni” comprende i diritti “in rem” e “in personam”. Il termine comprende beni immobili, beni mobili nonché altri diritti patrimoniali». Tale nozione si rinviene nella Guida all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in www.echr.coe.int, p. 7

 T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-ter, 22 febbraio 2023 n. 3010, in www.giustizia-amministrativa.it.

 Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 23 giugno 2016, recante «Incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico», in G.U. Serie Generale n.1 50 del 29 giugno 2016.

 Cons. Stato, Sez. II, n. 926/2024, cit., punto 9.

 In materia di incentivi, in dottrina, si rinvia, da ultimo ai saggi di L. Anibali, Gli incentivi alle fonti rinnovabili e gli interventi rimodulatori, in Giorn. dir. amm., 2022, 481, che in particolare approfondisce il rapporto tra regimi incentivanti e il legittimo affidamento; E. Traina, Incentivi alla produzione di energie rinnovabili, poteri amministrativi e legittimo affidamento nella giurisprudenza, in Federalismi.it, 5 giugno 2023.

 Cons. Stato, Sez. II, n. 926/2024, cit., punto 8, ove il Collegio giudicante spiega le ragioni della necessità del rinvio pregiudiziale d’interpretazione «anche considerato che avverso le decisioni del Consiglio di Stato non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno e che, nella specie, la corretta interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione rilevanti ai fini del giudizio non s’impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi, né queste sono già state oggetto d’interpretazione da parte [della] Corte di giustizia, dunque non ricorrono le condizioni in cui il giudice di ultima istanza può ritenersi esonerato dall’obbligo di rimessione (sulle quali si v., tra le tante, Corte giust., Grande Sez., sent. 6 ottobre 2021, C-561/19 [ECLI:EU:C:2021:799], Consorzio I.M., ot. 27 e ss., e, più di recente, Corte giust., sent. 22 dicembre 2022, C-83/21 [ECLI:EU:C:2022:1018], A.I., pt. 79 e ss. e ord. 27 aprile 2023, C-482/22 [ECLI:EU:C:2023:404], Associazione R.V., pt. 28 e ss.)».

 Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 «sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE», in G.U.U.E. L 140/16 del 5 giugno 2009. L’Italia ha recepito la Direttiva con il D.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili», con il quale, ai sensi dell’art. 1, «Finalità», sono stati definiti «gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti» nonché le «norme relative ai trasferimenti statistici tra gli Stati membri, ai progetti comuni tra gli Stati membri e con i paesi terzi, alle garanzie di origine, alle procedure amministrative, all’informazione e alla formazione nonché all’accesso alla rete elettrica per l’energia da fonti rinnovabili e fissa criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi». Con specifico riferimento ai regimi di sostegno, l’art. 23, comma 1, del D.lgs. n. 28/2011 ha previsto il riordino e il potenziamento degli allora vigenti sistemi di incentivazione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili tramite l’introduzione di «un quadro generale volto alla promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica (…), attraverso la predisposizione di criteri e strumenti che promuovano l’efficacia, l’efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione, perseguendo nel contempo l’armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori». Il D.lgs. n. 28/2011, nella specie, sulle energie rinnovabili riforma i meccanismi incentivanti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili per gli impianti entrati in esercizio dal 1° gennaio 2013, abrogando il vecchio sistema incentrato sui certificati verdi. I nuovi meccanismi di incentivazione consistono in tariffe fisse per i piccoli impianti (fino a 5 MW) e in aste al ribasso per gli impianti di taglia maggiore. Anche per gli impianti entrati in esercizio entro il 2012, a partire dal 2016, i certificati verdi saranno sostituiti – per il residuo periodo di spettanza – da una tariffa fissa tale da garantire la redditività degli investimenti realizzati. Il GSE ritira annualmente i certificati verdi rilasciati per gli anni dal 2011 al 2015, in eccesso di offerta, ad un prezzo di ritiro pari al 78% del prezzo definito secondo i criteri vigenti.

 Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, in G.U.U.E. L 328/82 del 1° dicembre 2018. In attuazione della Direttiva 2018/2001/UE, è stato adottato il D.L. 8 novembre 2021, n. 199, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”. Nella specie, il Titolo II del D.L. n. 199/2021 disciplina i regimi di sostegno e sugli strumenti di incentivazione al fine di promuovere l’efficacia, l’efficienza e la semplificazione, al fine di raggiungere gli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Tale nuovo sistema di incentivi prevede per i grandi impianti, con potenza superiore a una soglia almeno pari a 1 MW, l’attribuzione dell’incentivo attraverso procedure competitive di aste al ribasso effettuate in riferimento a contingenti di potenza, mentre per impianti di piccola taglia (<1 MW), è previsto l’accesso diretto alle tariffe.

 Sul principio di non discriminazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili, alla Direttiva 2009/28/CE cfr. i Consideranda n. 40, sulle procedure di autorizzazione all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e n. 62, sui costi della connessione alla rete elettrica; cfr. altresì l’art. 15, sulle «Garanzie di origine dell’elettricità, del calore e del freddo prodotti da fonti energetiche rinnovabili», ove si stabilisce che « […] l’origine dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili sia garantita come tale ai sensi della presente direttiva, in base a criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori» e l’art. 16, in materia di «Accesso e funzionamento delle reti», ove si precisa che il mantenimento dell’affidabilità e della sicurezza della rete è basato su criteri trasparenti e non discriminatori definiti dalle autorità nazionali competenti. Successivamente, il principio di non discriminazione ha trovato disciplina nella Direttiva 2018/2001/UE, ai consideranda n. 19, ove si stabilisce che per accrescere l’efficacia delle procedure di gara e ridurre al minimo i costi generali di sostegno, le procedure di gara dovrebbero essere, in linea di principio, aperte a tutti i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili su base non discriminatoria; n. 43, in materia di procedure di autorizzazione; n. 65; n. 68 e n. 69; n. 71; n. 92 e n. 112; nonché all’art. 4, paragrafo 4, ove si stabilisce che gli Stati membri assicurano che il sostegno per l’energia elettrica da fonti rinnovabili sia concesso con modalità aperte, trasparenti, competitive, non discriminatorie ed efficaci sotto il profilo dei costi.

 Cons. Stato, Sez. II, n. 926/2024, cit., punto 19.

 Direttiva 2023/2413/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, che modifica la direttiva (UE) 2018/2001, il regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio, su G.U.U.E., Serie L, del 31 ottobre 2023. 

In dottrina, sul punto, si rinvia a A. Muratori, Più spazio alle fonti rinnovabili con la nuova direttiva 2023/2413/UE, in Ambiente e diritto, 2023, 725.

 A livello europeo, il principio di neutralità tecnologica è sorto già nel 1999, anno in cui la Commissione Europea ha declinato tale principio come principio normativo in un documento ufficiale sulla revisione del quadro normativo per le comunicazioni elettroniche. Il riferimento è alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni, del 10 novembre 1999, dal titolo «Verso un nuovo quadro per l’infrastruttura delle comunicazioni elettroniche e i servizi correlati. Esame del 1999 del quadro normativo delle comunicazioni» [COM(1999) 539 def., 10.11.1999 – Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale]. Il consolidamento del principio della neutralità tecnologica è avvenuto con la Direttiva 2009/140/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, in G.U.U.E. del 18.12.2009, n. L 337/37.

 Sulla transizione energetica, cfr. l’opera monografica di L. Ammanati, a cura di, La transizione energetica, Torino, 2018, passim.

 Il riferimento è alla sentenza Corte Giustizia UE, cause riunite C-306/19, C-512/19, C-595/19 e da C-608/20 a C-611/20, Sez. X, 1° marzo 2022 n. 306, in Foro Amm. (Il), 2022, 3, II, 355. La pronuncia è di particolare rilievo anche in considerazione della ricostruzione del quadro ordinamentale interno in materia di incentivi, cui si rinvia, per quanto qui di interesse. 

 Ad ulteriore conferma dell’incertezza dei confini della discrezionalità del legislatore in materia di meccanismi incentivanti, va segnalato che v’è un ulteriore interrogativo posto dal Giudice amministrativo italiano (con l’ordinanza Con. St., Sez. II, 8 agosto 2023 n. 7673, in www.giustizia-amministrativa.it) ove la questione posta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea è analoga anche se riferita ad una fattispecie per certi aspetti differente (in primo luogo, è diversa la normativa nazionale della cui compatibilità si dubita – D.M. del 23 giugno 2016, in un caso, D.M. del 4 luglio 2019 nel caso in commento; in secondo luogo, nel caso in commento, quando è stato adottato il D.M. del 2019 era già stata adottata la Direttiva 2018/2001/UE; in terzo luogo, nel regime di cui al decreto del 2016 l’applicazione della tariffa “a due vie” era correlata alla modalità di accesso all’incentivo – mediante iscrizione al registro o mediante asta – mentre in quello configurato dal decreto del 2019 essa discende dalla sola potenza dell’impianto, quindi cambia l’elemento su cui si fonda la diversità di trattamento tra imprese; da ultimo, le parti sono diverse e solo con un nuovo e autonomo rinvio si garantisce il diritto di difesa del ricorrente). In particolare, il quesito posto con tale pronuncia di rinvio è il seguente: «Dica la Corte di giustizia se i principi recati dagli articoli 3 della direttiva 2001/28/CE e 4 della direttiva 2018/2001/UE ostano o non ostano a una normativa interna che nell’ambito di un regime nazionale di incentivi prevede, con riferimento a fattispecie in cui i produttori vendono l’energia sul libero mercato, una tariffa incentivante che garantisce un prezzo minimo, che è al contempo anche un prezzo massimo, in virtù di un meccanismo di conguaglio-restituzione delle somme eccedenti il valore dell’incentivo qualora il prezzo di mercato sia superiore a quest’ultimo (cosiddetto incentivo negativo), applicandosi inoltre il meccanismo di conguaglio soltanto laddove il produttore che vende l’energia sul libero mercato acceda all’incentivo mediante iscrizione al pertinente registro e non anche laddove vi acceda mediante partecipazione a una procedura di asta». Si segnala che il Giudice del rinvio ha sollecitato alla Corte di Giustizia una valutazione circa l’opportunità di una trattazione congiunta delle due cause.

 Sulla legittimità costituzionale della norma si è pronunciata la Corte cost., 24 gennaio 2017 n. 16, in Giur. Cost., 2017, 1, 85, ove si è affermato che «detta disposizione costituisce un intervento rispondente a un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica. Essa ha inoltre dichiarato che la modifica del regime di incentivi di cui ai procedimenti principali non è stata imprevedibile né improvvisa, per cui un operatore economico prudente e accorto avrebbe potuto tener conto della possibile evoluzione legislativa, considerate le caratteristiche di temporaneità e mutevolezza dei regimi di sostegno».

 Corte Giustizia UE, Sez. V, 15 aprile 2021, n. 798, C-798/18 e C-799/18, in Foro Amm. (Il), 2021, 4, 581, punto 28. 

 Cfr. punto 44 della sentenza Corte Giustizia UE, Sez. V, 15 aprile 2021, n. 798, C-798/18 e C-799/18, cit., ove si precisa che: «Secondo giurisprudenza parimenti costante della Corte, la possibilità di avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento è prevista per ogni operatore economico nei cui confronti un’autorità nazionale abbia fatto sorgere fondate aspettative. Tuttavia, qualora un operatore economico prudente e accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, esso non può invocare detto principio nel caso in cui il provvedimento venga adottato. Inoltre, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sul mantenimento di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali [sentenza del 15 aprile 2021, Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche (Anie) e a., C-798/18 e C-799/18, EU:C:2021:280, punto 42 nonché giurisprudenza ivi citata]».

 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000/c 364/01), su G.U.C.E. C 364/1 del 18 dicembre 2000.

 In questo senso, si rinvia al saggio di E. Traina, Incentivi alla produzione di energie rinnovabili, poteri amministrativi e legittimo affidamento nella giurisprudenza, cit., 204.

 Sul concetto di transizione ecologica, in dottrina, si rinvia a F. de Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle amministrazioni, in Dir. amm., 2021, 4, 779 ss.; A, Moliterni, Il Ministero della Transizione Ecologica: una proiezione organizzativa del principio di integrazione, in Giorn. dir. amm., 2021, 4, 439 ss..

 La teoria dei Planetary Boundaries (P.B.) e del Safe Operating Space (SOS) è il frutto di uno studio di un gruppo di 29 eminenti scienziati guidati da Johan Rockström (Aa. VV., J. Rockström, guidati da, A Safe Operating Space for Humanity, in Nature, 461, 2009, 472 ss.; Id., Planetary Boundaries: Exploring the Safe Operating Space for Humanity, in Ecology and Society, 14, 2, 2009, 32 ss.). In dottrina, si rinvia al saggio di M. Monteduro, La tutela della vita come matrice ordinamentale della tutela dell’ambiente (in senso lato e in senso stretto), in Riv. quad. dir. amb., 2022, 1, 423 ss.; F. Albione, I nuovi equilibri giuridici tra ambiente e paesaggio sullo sfondo della transizione ecologica, in Riv. giur. ed., 4, 2023, 235.

 Il riferimento è alla riforma costituzionale di cui alla Legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, «Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente», su G.U. n. 44 del 22 febbraio 2022. Approvata in prima lettura dall’Assemblea del Senato della Repubblica, il 9 giugno 2021, con 224 voti favorevoli, 23 astensioni e nessun voto contrario. aggiunge all’art. 9 della Costituzione un nuovo terzo comma che attribuisce alla Repubblica italiana il dovere di tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni e introduce, altresì, una riserva di legge statale in materia di tutela degli animali. In origine, l’art. 9 della Costituzione prevedeva la sola promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. La riforma ha avuto ad oggetto anche l’art. 41 della Costituzione e, nella specie, il secondo e il terzo comma. Al secondo comma, è stato aggiunto il riferimento al «danno alla salute» e al «danno all’ambiente», a integrazione dei limiti che si impongono all’esercizio della libertà di iniziativa economica privata, nel senso che quest’ultima «Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana». Al terzo comma, si registra poi l’aggiunta dei fini ambientali nel novero delle finalità cui può essere espressamente «indirizzata e coordinata» l’attività economica, sia essa pubblica o privata, mediante i programmi e i controlli opportuni che la legge è chiamata a determinare. Il nuovo terzo comma, nello specifico, all’esito della modifica, così recita: «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali». Sulla riforma che ha portato all’introduzione dell’ambiente in Costituzione, la dottrina è ampissima, tra i tanti, si segnalano F. Fracchia, L’ambiente nell’art. 9 della Costituzione: un approccio in “negativo”, in Dir. econ. (Il), 2022, 15 ss.; F. de Leonardis, La riforma “bilancio” dell’art. 9 Cost. e la riforma “programma” dell’art. 41 Cost. nella legge costituzionale n. 1/2022: suggestioni a prima lettura, inApertaContrada, 2022; M. Cecchetti, La revisione degli artt. 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum quad. cost., 2021, 285 e ss.

 In dottrina, sugli obiettivi perseguiti dal P.N.R.R. in materia di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, cfr. S. Spuntarelli, Le rinnovabili per la transizione energetica: discrezionalità e gerarchia degli interessi a fronte della semplificazione dei procedimenti autorizzatori nel PNRR, in Dir. amm., 2023, 1, 59 ss.

Nella specie, il P.N.R.R. prevede numerose misure riguardanti la materia dell’energia, allocate principalmente nella Missione n. 2, in materia di «Rivoluzione verde e transizione ecologica», che prevede ingenti investimenti in materia di «economia circolare e agricoltura sostenibile», «tutela del territorio e delle risorse idriche», «efficientamento energetico», «energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile». Si tratta di interventi (per 15,9 miliardi di euro) che mirano tutti a realizzare un sistema di energia sostenibile che assicuri risorse energetiche sufficienti capaci di determinare positivi impatti sull’ambiente. 

 Con specifico riferimento al tema degli incentivi, la giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito che il sistema degli incentivi deve essere tale da garantire il perseguimento degli obiettivi di promozione delle fonti energetiche rinnovabili. In questo senso, ex multis, cfr. Cons. St., Sez. II, 28 novembre 2022 n. 10409, cit.; più in generale, in tema di favor verso le energie rinnovabili, cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, 4 novembre 2022, n. 1750, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si è detto che, nel bilanciamento tra i diversi interessi confliggenti, quello all’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili, è da considerarsi “strategico” e che “la strada tracciata dalla governance nazionale e sovranazionale è tutta nel senso dell’assoluto favor verso le energie rinnovabili in generale” (T.A.R. Puglia, Lecce, 9 febbraio 2023, n. 251, inwww.giustizia-amministrativa.it). Esiste poi una vastissima giurisprudenza, nel panorama nazionale, a conferma del chiaro favor manifestato dalla Comunità internazionale (e, soprattutto, europea) per le fonti energetiche sulla base degli impegni assunti con il Protocollo di Kyoto. A tal proposito, ex multis, si vedano: T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 3 luglio 2013, n. 1082, in Foro amm.-T.A.R., 2013, 2508 ss.; Corte cost., 11 ottobre 2012, n. 224, in Giur. cost., 2012, 3363 ss.; Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2012, n. 4768, in Vita notarile, 2012, 1347 ss.;Corte cost., 12 aprile 2012, n. 85, in Giur. cost., 2012, 1180 ss., «la normativa internazionale (Protocollo di Kyoto addizionale alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato l’11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivo con l. 1 giugno 2002 n. 120) e quella comunitaria (direttiva 27 settembre 2001 n. 2001/77/Ce e direttiva 23 aprile 2009 n. 2009/28/Ce) manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili»; nello stesso senso, T.A.R., Sardegna, Cagliari, Sez. I, 8 aprile 2011, n. 327, in Foro amm.-T.A.R., 2011,  1431 ss.. Più di recente, Corte Cost., 23 marzo 2021 n. 46, in Foro Amm. (Il), 2021, 10, 1405 ss., ove si legge il seguente principio di diritto: «Le fonti energetiche rinnovabili (FER), definite talvolta alternative, sono quelle forme di energia che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono esauribili nella scala dei tempi “umani” e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future, e verso le quali sia la normativa internazionale (Protocollo di Kyoto e Statuto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili IRENA) che quella comunitaria manifestano un deciso favor, al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili, con conseguente esigenza di semplificazione dei relativi procedimenti autorizzatori. (Precedenti, sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019, n. 177 del 2018, n. 275 del 2012 e n. 85 del 2012)»; Id., 13 novembre 2020, n. 237, in Giur. Cost., 2020, 6, 2803 ss.; Id., 18 aprile 2019, n. 98, ivi, 2019, 2, 1072 ss.. 

La dottrina che sostiene la tesi del favor espresso nei confronti delle fonti energetiche rinnovabili è ampissima. Nella specie, tra i richiami più recenti, si rinvia a D. Bevilacqua, La dialettica tra la promozione delle fonti energetiche rinnovabili e la tutela di altri beni ambientali, in Giorn. dir. amm., 2024, 1, 125 ss..

 

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