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Uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro del Superbonus. La misura di efficientamento energetico degli edifici promossa dal governo Conte II in piena pandemia e poi rilanciata e prorogata dal governo Draghi prima dello stop imposto da Giorgia Meloni è stata identificata dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti come la causa di tutti i mali dell’economia italiana. A partire da un deficit di bilancio che nel 2023 avrebbe dovuto posizionarsi a meno del 5% del Pil e invece è schizzato al 7,4% recentemente comunicato dall’Istat.

Quanto è costato il Superbonus

Giorgetti e il governo hanno indicato nel Ragioniere Generale dello Stato, Biagio Mazzotta, un possibile responsabile di omessa vigilanza per conti che sarebbero esplosi senza adeguata verifica. L’ipotesi del governo è che il Superbonus ipotechi la possibilità di fare politica economica all’esecutivo e, dunque, la responsabilità sarebbe dell’ideatore della misura, Giuseppe Conte, e del governo Movimento Cinque Stelle-Partito Democratico che l’ha sostenuto.

Tutto vero? Ancora presto per dirlo. Partiamo da un dato di fatto. E cioè che verificare il reale costo di una politica economica appare complesso quando essa è, di fatto, ancora in corso d’opera. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha recentemente stimato i costi-monstre del Superbonus: “l’ammontare del Superbonus nel periodo 2020-23 è stato pari a circa 170 miliardi. Quanto rilevato in termini di competenza economica nel quadriennio 2020-23 inciderà, a livello di debito, soprattutto sul triennio 2024-26: a un impatto in media annua pari allo 0,5 per cento del PIL nel triennio 2021-23, seguirà un onere più elevato pari a circa l’1,8 per cento in quello successivo“, si legge nel rapporto pubblicato dall’Upb sul suo sito. Queste stime parlano di una media superiore, per poco più di tre anni di misura, a 45-50 miliardi di euro per esercizio. A ciò bisogna però contrapporre altre stime. L’agenzia Enea, titolare della concessione sui conti in corso d’opera del Superbonus, a marzo 2024 conteggiava interventi complessivi per 122,2 miliardi di euro.

A ottobre 2023 era stato invece indicato in 130 miliardi di euro il costo complessivo dei bonus edilizi secondo il calcolo del capo del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia Sergio Nicoletti Altimari, il quale ha ricordato in audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato come questa somma aggiungesse al Superbonus i conti del Bonus Facciate. Intendiamoci: il fatto stesso che su una misura così importante i costi effettivi varino, nel computo, mostra un problema di disegno della policy non secondario. In particolare, ci premiamo a sottolineare come l’Upb abbia centrato il punto ricordando due limiti del Superbonus, la più imponente politica espansiva dell’Italia dopo l’entrata nell’euro. Da un lato,” l’elevata percentuale dell’agevolazione”, al 110%, “che ha comportato che la spesa incentivata fosse interamente a carico dello Stato eliminando di fatto il contrasto di interessi tra acquirente e fornitore”.

Le sottovalutazioni di Draghi sul Superbonus

Dall’altro, “la fissazione di massimali di spesa agevolabile più elevati rispetto a quelli previsti per altri interventi di incentivo riguardanti gli immobili”. Aggiungiamo, poi, che la cedibilità del credito ha mediamente, secondo il portale specializzato LavoriPubblici.it, dato alle banche acquirenti dei crediti dai privati una porzione dell’8% dell’incentivo totale in media. Fonte, questo, di un trasferimento di ricchezza coperto da fondi pubblici compreso tra 9,8 miliardi di euro (se i costi del Superbonus saranno quelli dell’Enea) e 13,6 miliardi, seguendo le stime Upb, capace di gonfiare gli utili-record delle banche.

Stupiscono, però, diversi punti riguardanti il giudizio sul Superbonus. Partiamo dalle criticità: nella narrazione politica viene promosso in capo all’asse M5S-Pd, a Conte e al suo titolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, il macigno di responsabilità dell’avvio della misura. Tuttavia, come ha ricordato Gianluca Oreto, che di LavoriPubblici.it è una delle firme di punta, il buco che si dimentica si è prodotto sotto il governo Draghi. Il quale, forte dell’unità nazionale, ha remato nella direzione di ampliare l’estensione degli interventi e delle agevolazioni. Il Superbonus fu pensato dal governo giallorosso in piena pandemia per espandere l’economia in crisi. Fu poi prorogato dopo l’avvicendamento a Palazzo Chigi tra Conte e Mario Draghi nel febbraio 2021. Nota Oreto, infatti, che “fino a dicembre 2021 (ovvero all’interno dell’originario orizzonte temporale) il totale degli investimenti ammessi a detrazione ammontava a 16,2 miliardi di euro” secondo l’Enea. L’esplosione è arrivata dopo: “Nel 2022 (in pieno Governo Draghi che ha passato le consegue all’attuale Governo Meloni solo il 22 ottobre) il totale degli investimenti ammessi a detrazione ammontava a 46,2 miliardi di euro”. Quasi altri 60 miliardi di euro si sono aggiunti nei quindici mesi successivi.

Oreto è netto sul fatto che le modifiche introdotte da Draghi e Meloni abbiano complicato il caos: “Ciò che colpisce maggiormente della terza fase del superbonus (avviata dal Governo Draghi e su cui il Governo Meloni sta continuando l’inerzia) è la totale assenza di prospettiva. Dal Decreto-Legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Decreto Sostegni-ter), convertito con modificazioni dalla Legge 28 marzo 2022, n. 25, con lo scopo di bloccare il superbonus si è pensato di intervenire sul meccanismo di cessione (il vero motore dell’edilizia)”, col risultato di aver “smantellato il primo meccanismo di cessione (i cui motivi sono tutt’ora oscuri), instillato il dubbio delle frodi, disincentivato le banche al loro ruolo fino a quel momento giocato nel binomio superbonus-cessione del credito”. E, su questo fronte, sarebbe difficile incolpare ad altri le responsabilità degli errori: Draghi ha criticato il Superbonus solo a frittata già fatta dopo aver spinto per la proroga al 2023 e due partiti di punta dell’attuale maggioranza, Lega e Forza Italia, sedevano nella sua coalizione. E forse per questo motivo è partito l’assalto a chi, Mazzotta, con il Patto di Stabilità sospeso aveva meno potere nel suo ruolo di “guardiano” dei conti. Tutto questo mentre, nonostante l’avvitamento del deficit, Giorgetti e Meloni a fine 2023 hanno firmato un accordo sul Patto di Stabilità che reintroduce vigilanza e supervisione sui conti.

Il volano economico della misura

Per concludere sul Superbonus, il giudizio molto spesso è concentrato unicamente sulla voragine di bilancio che è addebitata agli incentivi edilizi, ma meno si parla della prospettiva di crescita del Paese che la spesa pubblica ha contribuito a generare. Questo dato va tenuto in considerazione, perché di una misura espansiva è limitante guardare solo i costi. Lo Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, di recente ha calcolato “nel 2021-2024, +2,9 punti di Pil e +107 mila occupati nel Mezzogiorno; +3,8 punti di Pil e +322 mila occupati nel Centro-Nord” legati al Superbonus. Del resto, nell’era Draghi a fine 2021 è stata salutata come una vittoria del Paese intero la notizia del rimbalzo dell’economia italiana del 6,6% nel primo anno del governo di unità nazionale a cui, è indubbio, anche le misure di incentivo in un’Italia bloccata dalla pandemia fino a maggio hanno contribuito. Va sottolineato anche la spinta di circa un terzo della potenza fotovoltaica innestata in Italia dal 2021 a oggi garantita dal Superbonus.

Il centro studi Cresme ha ricordato che circa il 34% delle misure del Superbonus ritornano allo Stato sotto forma di fiscalità generale diretta e indiretta, e dunque la quota di tali flussi di cassa varia a seconda della presa di posizione sul costo effettivo della misura. Nomisma ha nel 2023 calcolato gli impatti economici del Pil in “195,2 miliardi di euro, con un effetto diretto di 87,7 miliardi, 39,6 miliardi di effetti indiretti e 67,8 miliardi di indotto”. Ma la spinta più importante sulla misura è arrivata dal Financial Times, che a marzo ha indicato nell’edilizia uno dei traini del Paese dopo il Covid-19. La testata della City di Londra ha ricordato che “gli investimenti italiani, che includono l’edilizia abitativa, sono aumentati del 30% rispetto al quarto trimestre del 2019, prima della pandemia, il tasso più veloce mai registrato nel Paese da quando sono iniziati i dati comparabili nel 2000”.

Un bilancio del Superbonus

Inoltre “secondo i dati Eurostat, la produzione edilizia nel dicembre 2023 è diminuita del 13% in Spagna, del 7% in Germania ed è rimasta stabile in Francia. In Italia è aumentato del 40% rispetto a 4 anni prima”. Il Ft centra il punto nel giudicare il Superbonus laddove aggiunge che la misura poteva fare “ben poco” per risolvere i problemi di “bassa produttività e anzianità della popolazione” ritenuti i veri freni alla crescita dell’Italia, ma mostra come una misura vada valutata nel suo complesso e senza emotività.

A conti fatti, il Superbonus è stata una misura con evidenti coni d’ombra (a cui, a bocce ferme, andrà valutata la prospettiva di una certa venatura “classista” per la destinazione privilegiata a ceti medio-alti, su cui ci sono già diversi indizi), legati principalmente alla fase di aggiustamento dopo l’avvio che ai problemi sorti in fase di partenza. Il tiro al piccione contro Conte fa scordare, però, che anche Draghi e Meloni, dunque l’intero arco parlamentare, hanno visto lievitare i conti. E in quest’ottica, l’impatto di stimolo alla crescita esiste e non va dimenticato. Resta la realtà: un Paese dove anche la misura più espansiva della storia recente si è dovuta legare a un settore a valore aggiunto non eccelso come l’edilizia per fare di necessità virtù. Sarebbe bello vedere l’Italia crescere trainata da start-up tecnologiche, boom di settori come microelettronica, intelligenza artificiale e calcolo quantistico. Ma non è ancora tempo per quella fase. Ammesso che lo sarà mai.

 

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