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Sul fatto che la transizione energetica nel nostro continente rappresenti una grande opportunità non c’è davvero ragione di dubitare. Ma con il passare degli anni e il succedersi degli eventi ne sorge un altro, di dubbio: una grande opportunità per gli europei o per chi si trova fuori dall’Europa? Un quesito certamente paradossale, che però è giustificato dalle crescenti difficoltà nell’Unione Europea a soddisfare la richiesta dei prodotti green – come i pannelli fotovoltaici – con la propria attività industriale e commerciale.

Meyer Burger chiude la fabbrica di Friburgo

Un esempio evidente di questa situazione insoddisfacente è rappresentato dal comparto dei pannelli solari, dove i segnali d’allarme sull’assenza di una filiera europea sono sempre più chiari e frequenti. Il più recente riguarda l’annuncio della cessazione di attività dell’ultimo grande produttore di moduli fotovoltaici in Germania.

La storia dell’azienda solare Meyer Burger (di proprietà svizzera) è un esempio emblematico di quello che può succedere all’interno di un comparto produttivo che spesso si giudica superficialmente come “fortunato”, per il semplice fatto che si occupa di una tecnologia, quella fotovoltaica, che si sta diffondendo progressivamente.

Anni di continue perdite

La realtà è invece molto più complessa e per questo il recente annuncio di Meyer Burger non si può ritenere un fulmine a ciel sereno. L’azienda ha deciso di chiudere il suo stabilimento di Friburgo in Sassonia, con 500 lavoratori impiegati, per concentrarsi sui siti produttivi statunitensi riducendo la capacità produttiva complessiva di pannelli solari nell’Unione Europea di circa il 10%.

Nessuna tutela dalla concorrenza cinese

Per quanto riguarda le ragioni del tracollo, sono comuni a quelle di altre imprese europee che lavorano nel comparto delle tecnologie green. “La mancanza di protezione contro la concorrenza sleale della Cina – si legge in un comunicato del maggior azionista di Meyer Burger – sta mettendo a repentaglio quasi quattro anni di duro lavoro da parte di eccellenti dipendenti in Europa”.

Che la situazione di Meyer Burger non rappresenti un’eccezione lo dimostra la recente presa di posizione dei produttori europei di pannelli solari, “pronti a chiudere le linee di produzione”, a meno che l’UE non adotti misure di emergenza a favore del comparto, come ad esempio l’acquisto delle scorte che si sono accumulate a causa dell’afflusso di versioni più economiche provenienti, appunto, dalla Cina.

Produzione di pannelli fotovoltaici europei: situazione senza precedenti

Zygimantas Vaiciunas, il direttore dell’European Solar Manufacturing Council (ESMC), ha parlato di “una situazione senza precedenti”. Per portare avanti il processo di transizione energetica è importante sostenere il settore con misure di emergenza sostanziali. Emerge però anche un altro aspetto da considerare: “attualmente esiste un’eccedenza di moduli fotovoltaici in giacenza nei porti e nei magazzini dell’Unione Europea che viene stimata in un range di 70-85 Gigawatt, una potenza equivalente ad almeno 140-170 milioni di moduli”. Il tutto con i produttori europei che sono in grado di produrre solo 6 GW di moduli solari all’anno, mentre nel 2023 l’UE ha installato un totale di circa 56 GW.

Moduli cinesi venduti sottocosto

Tra le problematiche riscontrate, c’è anche il fatto che le aziende cinesi vendono i moduli fotovoltaici al di sotto dei costi di produzione. Con l’inevitabile conseguenza che i produttori europei non sono in grado di vendere i propri pannelli fotovoltaici. Per questo, come prima iniziativa per rilanciare il mercato, i produttori europei chiedono l’acquisto delle scorte di moduli fotovoltaici accumulati nell’UE, con risorse da rendere disponibili attraverso un fondo speciale a livello europeo.

Ma lo smaltimento delle scorte di moduli fotovoltaici rappresenta, come sottolineato in un recente articolo pubblicato sul sito del Financial Times, un intervento su uno degli effetti e non sulle cause del problema: “I produttori più piccoli europei non possono competere sul prezzo perché i pannelli di fabbricazione cinese possono essere prodotti a un costo pari alla metà di quello delle apparecchiature di fabbricazione europea”.

Prospettive future negative per i pannelli fotovoltaici europei

E secondo Marius Mordal Bakke, analista di Rystad Energy, il divario tra i moduli fotovoltaici importati e quelli prodotti nel nostro continente dovrebbe sì ridursi quest’anno, ma rimanere comunque ben al di sopra di livelli accettabili. “Anche se si riuscissero a trovare soluzioni di finanziamento per evitare ulteriori insolvenze delle aziende, le dimensioni ridotte dell’industria europea sono destinate a rimanere problematiche”.

 

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