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Per quest’anno il conto parla di 38,298 miliardi. Nel 2025 sale a 39,799, flette un poco a 38,627 miliardi l’anno successivo per scendere a 25,445 miliardi nel 2027. In questi numeri c’è la ricaduta aggiornata dei bonus edilizi sui conti pubblici: fondata su cifre decisamente più grandi di quelle, già importanti, ipotizzate dal ministero dell’Economia nelle precedenti puntate della telenovela dei crediti d’imposta. Senza questo carico, ad esempio, quest’anno il debito/Pil sarebbe sceso di 1,3 punti percentuali anziché aumentare di 0,5 punti.

Il dato non è evidentissimo, scritto com’è nella riga di una tabella a pagina 72 della sezione II del Def, quella dedicata alle «analisi e tendenze della finanza pubblica». Ma una volta individuato è parecchio chiaro.

Il calcolo mostra le ricadute sulla cassa, quindi sul fabbisogno e di conseguenza sul debito pubblico, dei «trasferimenti in conto capitale alle famiglie». La voce è quasi integralmente assorbita dai bonus fiscali all’edilizia, e quindi prima di tutto dal 110% che da solo copre circa i tre quarti dei 200 miliardi abbondanti spesi in questo filone negli ultimi tre anni.

Prima dell’era delle superagevolazioni, infatti, questi trasferimenti alle famiglie erano una componente quasi trascurabile dei conti pubblici, nota solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori: nel Def del 2022 per esempio, scritto poco prima che lo tsunami del 110% cominciasse a emergere, il dato viaggiava tranquillo poco sopra il miliardo all’anno, nell’indifferenza generale. Nel breve giro di due anni questa casella del conto consolidato di cassa della Pubblica amministrazione è crescita di 20 volte. E ha guadagnato, meritatamente, le luci della ribalta.

Le cause di fondo ormai sono note anche ai molti che hanno fatto di tutto per non vederle, e nascono dal meccanismo dei crediti d’imposta che negli anni successivi a quello di nascita riducono le entrate dello Stato, aumentando quindi il fabbisogno di cassa da coprire con l’emissione di debito pubblico, con una dinamica su cui non c’è criterio contabile di Istat o Eurostat che possa far qualcosa. Con il non trascurabile effetto collaterale, fra l’altro, di far sentire il proprio peso sul debito negli anni in cui si è già esaurita anche la spinta alla crescita (molto discussa nelle sue dimensioni) determinata dai lavori agevolati.

 

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