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Le regioni meridionali non contengono solo aree di crisi, ma anche poli e filiere che si collocano tra le eccellenze del Paese o che possono aspirare ad esserlo. Si focalizza su cinque importanti settori nei quali, già oggi, il Mezzogiorno può essere considerato punto di riferimento non solo per il mercato nazionale il position Paper della Fondazione Merita a cura di Giampietro Castano e Amedeo Lepore. Si tratta, nello specifico, dell’energia, con un focus sulle rinnovabili, la microelettronica, i sistemi di gestione e controllo di grandi infrastrutture, il cluster della bioeconomia circolare e delle risorse rinnovabili e, infine, la industria agroalimentare. “Sono ambiti che – spiega Lepore – si intrecciano con quelli delle filiere produttive delle 4 A (Automotive, Aerospazio, Abbigliamento e Agroalimentare), che in questi anni hanno dimostrato particolare resilienza e capacità di innovazione e crescita pari a quello delle analoghe industrie del Centro-Nord, con punte di specifico avanzamento in alcune regioni del Sud”.
Di seguito il position paper integrale.

Premessa

Quando si esce dal dato aggregato del gap industriale del Mezzogiorno e dalle dinamiche del PIL rispetto alle altre macroaree del Paese e inizia la ricerca delle aree più arretrate o più in difficoltà, ci troviamo in una prima importante difficoltà o, se vogliamo, contraddizione.

Infatti, le aree più critiche, quelle che da tempo sono agli ultimi posti per tasso di occupazione e in condizioni di regresso o stagnazione economica, come ad esempio il Sulcis, gran parte della provincia casertana, la parte ionica della Calabria, l’area coinvolta dalla crisi siderurgica di Taranto e altre ancora, tutti questi territori non sono quasi mai inseriti nell’elenco ufficiale delle aree di crisi complessa le quali, peraltro, interessano solo 8 zone del Mezzogiorno a fronte del totale di 19 attualmente attive (Invitalia, giugno 2023). È una normativa pensata per far fronte a condizioni di grave deturpazione dei territori a causa della cessazione di attività di grandi imprese e che merita una urgente e profonda revisione: da qui la complessità degli interessi in gioco.

Origine e natura delle crisi territoriali nel Mezzogiorno non sono più ascrivibili ad eventi eccezionali, a condizioni estreme, ma al cronicizzarsi di ritardi nel programmare interventi in grado di invertire il divario economico e sociale, a cui si aggiunge la incapacità della pubblica amministrazione a predisporre le condizioni operative per trasformare le risorse disponibili in conseguenze certe e utili sul versante dello sviluppo produttivo.

Se, da un lato, è vero che nella maggior parte dei casi l’intervento pubblico nelle aree di crisi complessa del Mezzogiorno è quantitativamente assai modesto e non certo in grado di determinare inversioni di rotta attraverso l’impegno dell’imprenditore privato o pubblico, dall’altro lato, ci sono esempi di forte impegno finanziario dello Stato (si pensi alle risorse disposte per il Sulcis o per l’area tarantina), che non si traducono nella realizzazione degli obiettivi dichiarati. È evidente la mancanza di una cultura e di strumentazioni pubbliche funzionali alla pianificazione di interventi straordinari nelle aree di crisi. Questa carenza colpisce anche le regioni centro-settentrionali, che più di frequente si allineano a una prospettiva di limitazione e inefficacia degli interventi. L’effetto, per il Mezzogiorno in particolare, è la stasi o lo sperpero di risorse spesso inadeguate, fatte fluire in mille rivoli, incapaci di innescare un processo virtuoso.

Quello che Merita ritiene estremamente urgente è il superamento della logica che è sottoposta alla individuazione delle aree di crisi. La computazione del dato statistico è sempre meno utile per programmare gli interventi che, piuttosto, devono rispondere a una progettazione della crescita, in un rapporto con tutte le parti interessate fin dalla concezione del progetto medesimo, con la consapevolezza che gli interventi con “pannicelli caldi”, in una logica emergenziale, servono solo a disperdere risorse. Progettazione partecipata, ma anche e soprattutto gestione partecipata, attraverso la presenza di capitali pubblici e privati, e gestione integrata, prevedendo il coinvolgimento di tutti i soggetti responsabili dei diversi interventi (infrastrutture, servizi, formazione, ecc.). La dimensione dei progetti presuppone una governance autorevole, in grado di attivare risorse imprenditoriali importanti e di attrarre adeguate competenze, anche di livello internazionale. L’individuazione delle aree, del progetto, delle risorse necessarie e la gestione operativa non possono che essere di rango centrale, in accordo con i territori regionali e locali interessati.

Non solo crisi, ma anche potenzialità

Le regioni meridionali non contengono solo aree di crisi, ma anche poli e filiere che si collocano tra le eccellenze del Paese o che possono aspirare ad esserlo.

Si richiamano cinque importanti settori nei quali, già oggi, il Mezzogiorno può essere considerato punto di riferimento non solo per il mercato nazionale. L’energia, con un focus sulle rinnovabili, la microelettronica, i sistemi di gestione e controllo di grandi infrastrutture, il cluster della bioeconomia circolare e delle risorse rinnovabili e, infine, ma di primaria importanza, la industria agroalimentare. Sono ambiti che si intrecciano con quelli delle filiere produttive delle 4 A (Automotive, Aerospazio, Abbigliamento e Agroalimentare), che in questi anni hanno dimostrato particolare resilienza e capacità di innovazione e crescita pari a quello delle analoghe industrie del Centro-Nord, con punte di specifico avanzamento in alcune regioni del Sud.

Si tratta, quasi sempre, di insediamenti esistenti con presenza di capitale pubblico e privato e con posizionamento di mercato eccellente sia all’interno che in ambito internazionale. Noi siamo certi che la programmazione settoriale di una politica industriale nazionale può rappresentare una grande occasione per consolidare e sviluppare questa presenza. L’esempio dell’energia rinnovabile ci rappresenta un meridione protagonista nella produzione degli apparati per il solare, l’eolico, le batterie per la mobilità, i sistemi di controllo e accumulo. Un aggregato che rappresenta un unicum a livello europeo e per questo merita attenzione, sostegno e pianificazione della crescita. Per il cluster della bioeconomia circolare valgono le medesime considerazioni: ci sono eccellenze nel settore del riciclo delle plastiche, dei prodotti alimentari, della carta e del packaging, del legno, dei metalli e della loro trasformazione in nuovi manufatti, ma anche nella produzione di sostanze biologiche in grado di sostituire quelle di origine fossile, a cominciare dal settore chimico. In generale, a partire dall’esperienza iniziale della green economy, il Mezzogiorno si è dimostrato attrattivo di nuove iniziative industriali e della riconversione di altre esistenti, che hanno seguito un percorso dinamico e competitivo, ponendosi all’avanguardia del processo di transizione ecologica. Nei territori meridionali trova spazio e occasioni di successo anche lo sviluppo attuale della bioeconomia circolare. Tale metasettore si orienta a non rappresentare semplicemente esigenze di sostenibilità e di compatibilità della produzione con l’ambiente ma a promuovere un processo generale di innovazione tecnologica in grado di cogliere convenienze e interessi reali, attraverso investimenti in nuovi materiali, processi produttivi e prodotti con più lungo ciclo di vita, che possano condurre a un’economia tendenzialmente priva di residui ed emissioni nocive, in una logica di crescita.

Il problema del Mezzogiorno, tuttavia, resta quello di tradurre queste eccellenze in una massa critica, facendo delle esperienze innovative un volano di sviluppo e di un tessuto di imprese avanzate il nucleo di una struttura industriale di dimensioni e spessore molto più consistente dell’attuale. L’industria meridionale, per diventare un vero e proprio sistema, deve interpretare un nuovo paradigma, nel quale l’intervento pubblico, fortemente selettivo e limitato nel tempo, serva a mettere in moto capitali e iniziative private e creare nuova competitività, livelli più elevati di produttività e un mercato degno di questo nome.

Non pensiamo ad aree “esclusive” del Sud, che impediscano altre esperienze e altre opportunità nel Paese. Noi pensiamo, più concretamente, che la presenza nel Mezzogiorno di eccellenze, più diffuse di quanto non si creda, debba indurre il decisore politico a orientare le scelte nella direzione di favorire un loro rapido sviluppo in un rapporto di reciprocità con il resto del Paese. I benefici per l’Italia e per il Mezzogiorno di una tale politica sono del tutto evidenti.

Gli strumenti della politica industriale

Gli strumenti per le politiche industriali nel Mezzogiorno sono una leva fondamentale, se impiegati selettivamente ed efficacemente, per attrarre investimenti di grandi dimensioni e per mobilitare capitali privati in nuove iniziative produttive.

La costruzione di una nuova politica industriale, che punti sulle transizioni gemelle per lo sviluppo del Sud, è di fondamentale importanza. Una strategia di questo tipo richiede un quadro di policy e una visione sistemica, che puntino all’implementazione della struttura produttiva meridionale in una prospettiva di rilancio dell’intera industria italiana. La crescita dimensionale delle industrie del Sud si deve accompagnare a un disegno di innovazione tecnologica e organizzativa dei processi di produzione, capace di ampliare le opportunità già colte da molte imprese meridionali in termini di digitalizzazione, economia circolare e incremento del valore aggiunto. Alcuni strumenti, sperimentati con successo e da riprendere in modo mirato, possono rappresentare la concreta forma di selezione degli interventi pubblici e di stimolo alla diffusione dell’iniziativa privata.

 

  • Credito di imposta per gli investimenti al Sud

Il credito d’imposta riguarda gli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2016, per quelli realizzati nel Mezzogiorno, e dalla data del DPCM istitutivo della Zona economica speciale, per quelli nelle ZES. Con la legge di stabilità 2016 è stato introdotto un credito di imposta a favore delle imprese che acquistano beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive localizzate nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise e Abruzzo, nella misura massima del 20% per le piccole imprese, del 15% per le medie e del 10% per le grandi. Il decreto-legge n. 243 del 2016 ha modificato la disciplina del credito, innalzandone le aliquote nella misura massima consentita dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2014-2020, incrementando l’ammontare massimo agevolabile per ogni progetto di investimento, prevedendo la cumulabilità del credito con altri aiuti di Stato e con gli aiuti de minimis, nei limiti di quelli più elevati concessi dalla normativa europea.

Con l’art. 5 del decreto-legge n. 91 del 2017 è stato stabilito che, per gli investimenti effettuati nelle zone economiche speciali (ZES), il credito fosse commisurato alla quota del costo complessivo dei beni acquisiti nel limite massimo, per ogni progetto di investimento, di 50 milioni di euro. Tale limite è stato innalzato a 100 milioni di euro dal decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77. Per il 2024, il credito è stato confermato e potenziato: è possibile concedere agevolazioni per gli investimenti riguardanti acquisto di macchinari, impianti e attrezzature destinati a strutture produttive nuove o già esistenti, oltre che acquisto di terreni e acquisizione, realizzazione ovvero ampliamento di immobili strumentali agli investimenti. Il credito d’imposta è riferito alla quota del costo complessivo di beni acquistati o di investimenti immobiliari realizzati dal 1° gennaio 2024 al 15 novembre 2024, nel limite massimo di 100 milioni di euro. Il valore dei terreni e degli immobili non può superare il 50% del valore complessivo dell’investimento agevolato e non sono agevolabili i progetti di investimento di importo inferiore a 200.000 euro. L’incentivo può andare dal 15% fino a un massimo del 60%, mentre il credito d’imposta SUD/ZES prevedeva una quota tra il 10% e il 45%.

Dal 2016 a metà 2022 il Credito d’imposta Sud ha distribuito ben 4 miliardi di incentivi generando investimenti stimabili in ben 12 miliardi. Data la sua caratteristica di fruibilità in misura addizionale rispetto ai crediti per l’innovazione di Industria e Transizione 4.0, ha permesso di arrestare il calo di investimenti privati al Sud, che è la principale causa del divario di produttività e di PIL nel Mezzogiorno. Per invertire stabilmente il trend meridionale negativo, tale strumento andrebbe rifinanziato stabilmente e in modo congruo (al momento scade a fine 2024).

 

  • Contratti e Accordi di sviluppo

I Contratti di sviluppo sono stati introdotti nell’ordinamento con l’art. 43 del DL 25 giugno 2008, n.112. Divenuti operativi nel 2011, rappresentano lo strumento agevolativo di tipo negoziale essenziale per i programmi produttivi di valore strategico e innovativo legati agli investimenti di maggiori dimensioni nel settore industriale, agro-industriale, turistico e di tutela ambientale. La materia, dopo numerosi miglioramenti e semplificazioni1, è stata regolata dal Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 9 dicembre 2014 e s.m.i., che ha previsto la finanziabilità di: programmi di sviluppo industriale (compresi quelli per la trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli); programmi di sviluppo per la tutela ambientale; programmi di sviluppo di attività turistiche. Nell’ambito di questi programmi, lo strumento può sostenere anche programmi di ricerca, sviluppo e innovazione, oltre a opere infrastrutturali. L’importo complessivo delle spese e dei costi ammissibili alle agevolazioni non deve essere inferiore a 20 milioni di euro, ovvero a 7,5 milioni di euro se il programma concerne attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli e progetti turistici localizzati nelle aree interne o inerenti il recupero di strutture dismesse.

Con il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico dell’8 novembre 2016, è stata introdotta una procedura fast track per il finanziamento di progetti strategici di grandi dimensioni e di significativo impatto sul sistema produttivo (investimenti pari o superiori a 50 milioni di euro, ovvero 20 milioni se relativi alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli). Questa procedura è finalizzata alla sottoscrizione tra il Ministero, Invitalia, l’impresa proponente e le eventuali Regioni cofinanziatrici, di Accordi di Sviluppo, che assicurano una corsia preferenziale per l’accesso alle risorse finanziarie, permettendo una riduzione dei tempi di istruttoria delle proposte e un maggior coinvolgimento delle amministrazioni interessate. Con il DM del 23 marzo 2018, sono state ampliate le modalità di sostegno delle imprese, prevedendo la possibilità per Invitalia, a integrazione delle agevolazioni di natura contributiva o di finanziamento, di intervenire (solo nelle regioni meridionali) alle normali condizioni di mercato nel capitale di rischio del soggetto proponente.

Il soggetto gestore dei Contratti e Accordi di sviluppo è Invitalia, che opera sotto le direttive e il controllo del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con la finalità di consolidare e innovare la struttura industriale italiana, anche attraverso l’attrazione di investimenti esteri. I Contratti di sviluppo si rivolgono a imprese di qualsiasi dimensione, anche aggregate tra loro. Le agevolazioni sono destinate, anche in combinazione, a: finanziamento agevolato (entro il 75% delle spese ammissibili), contributo in conto interessi, contributo in conto impianti e contributo diretto alla spesa (per i progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale). Questo strumento è stato recentemente modificato per effetto del Decreto Ministeriale 14 settembre 2023.

Una proposta di miglioramento è legata alla necessità di coordinare più efficacemente i rapporti tra il Governo e le Regioni, prevedendo l’estensione di questo strumento a tutti i territori meridionali che non hanno sottoscritto accordi nazionali. In diversi casi, l’intervento è stato indebolito dalla duplicazione degli strumenti agevolativi a livello regionale, per favorire la gestione delle iniziative e delle relative risorse a livello locale. A questo proposito, sarebbe opportuno potenziare il coordinamento di queste attività. Un’altra proposta riguarda la finalizzazione di Contratti e Accordi di sviluppo a peculiari strategie di crescita economica. In particolare, si potrebbero rafforzare selettivamente questi strumenti con l’obiettivo di fornire agevolazioni prioritarie alle iniziative di ricucitura tra porti, centri della logistica e industrie connesse, sostenendo il raccordo tra il Mezzogiorno, il Mediterraneo e i principali snodi internazionali di mercato. Infine, si potrebbero implementare Contratti e Accordi di sviluppo in riferimento alla rigenerazione di zone industriali abbandonate e impianti dismessi, incentivando gli investimenti volti a recuperare e riconvertire le aree brownfield. In questo quadro, si potrebbero riservare significative risorse a Contratti e Accordi di sviluppo destinati alla bioeconomia circolare Tutti questi interventi, peraltro, sono già stati inseriti negli Obiettivi Strategici del FSC2.

 

  • Resto al Sud e Basket bonds

Resto al Sud è l’incentivo che favorisce la nascita e lo sviluppo di nuove imprese e attività professionali in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, nelle aree del cratere sismico del Centro Italia (Lazio, Marche e Umbria) e nelle isole minori marine, lagunari e lacustri del Centro-Nord. È rivolto soggetti di un’età compresa tra i 18 e i 55 anni. I fondi disponibili per questo intervento ammontano a 1 miliardo e 250 milioni di euro.

Resto al Sud può coprire fino al 100% delle spese effettuate per: ristrutturazione o manutenzione straordinaria di beni immobili; macchinari, impianti e attrezzature nuovi; programmi informatici e servizi per le tecnologie, l’informazione e la telecomunicazione; spese di gestione. Le agevolazioni sono composte per il 50% di contributo a fondo perduto e per il 50% di finanziamento bancario garantito dal Fondo di Garanzia per le PMI. Il finanziamento massimo è di 50.000 euro e può arrivare fino a 200.000 euro nel caso di società composte da quattro soci. Per le imprese esercitate in forma individuale, il finanziamento massimo è di 60.000 euro. A supporto del fabbisogno di circolante, è previsto un ulteriore contributo a fondo perduto, fino a un massimo di 40.000 euro.

Attorno allo strumento di Resto al Sud, che è stato il maggior successo degli ultimi decenni, potrebbe essere riorganizzata l’incentivazione della auto-imprenditorialità. L’intervento di Resto al Sud va sviluppato semplicemente in termini di funzionamento della misura, di adesioni e di soggetti attivati. Sotto questi profili, ha operato complessivamente bene. Il numero di domande presentate è cresciuto notevolmente, anche per effetto della crescente disponibilità degli aiuti, perlomeno fino a qualche tempo fa. È quindi utile la sua continuazione, considerando che la stabilità del quadro normativo e della struttura degli incentivi è di per sé un vantaggio. La valutazione dei progetti da parte di Invitalia avviene in tempi coerenti, ma la valutazione bancaria va accelerata.

Gli strumenti finanziari adottati da alcune Regioni meridionali sono di particolare interesse per una politica di sviluppo industriale. In particolare, andrebbe ripresa e generalizzata la scelta della Regione Campania che – attraverso Sviluppo Campania con Cassa Depositi e Prestiti e Mediocredito Centrale in qualità di finanziatori (anchor investors) dell’operazione – ha varato un programma di emissione multipla di minibonds costituiti in portafoglio (Basket bonds), assistiti da garanzia pubblica (con risorse POR FESR 2014-2020, Azione 3.6.1., Ob. 3.6). Dopo il successo della prima edizione, che ha permesso a 65 PMI, diffuse su tutto il territorio regionale, di emettere minibonds per 144,1 milioni di euro, è stata rinnovata questa misura con l’obiettivo di favorire l’accesso al mercato dei capitali, mediante strumenti di finanza alternativa, per la realizzazione di progetti imprenditoriali di espansione, rafforzamento e innovazione. Nella seconda edizione, raggruppati in un portafoglio con un ammontare massimo di 148 milioni di euro, i minibonds sono sottoscritti da un’apposita società veicolo che, a sua volta, emette titoli sostenuti da investitori istituzionali.

 

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