Investire di più nella transizione energetica è indispensabile. Ma investire meglio è assolutamente vitale. La direzione è chiara, il percorso meno. Se c’è un’illusione ottica in questa campagna elettorale per le elezioni europee, nella quale nessuno sembra assumersi la paternità delle politiche green, è proprio questa. Che esistano, cioè, sentieri alternativi eventualmente percorribili. Si vedrà a suo tempo. No, non si può procedere per tentativi sparsi. Si resta in mezzo, schiacciati. Prigionieri delle tecnologie degli altri. E se è criticabile un estremismo ideologico che spinge sulla transizione accelerata senza curarsi degli aspetti sociali, ugualmente rischioso è l’atteggiamento poco convinto di chi alla transizione energetica vi è costretto. Al di là della propria volontà, senza crederci.
L’ipocrisia delle opinioni è a sua volta un’emissione pericolosa. Non danneggia l’ambiente, ma offusca la qualità dei dibattiti. Le buone intenzioni non eliminano la contabilità degli interventi. Non attenuano la valutazione dei costi opportunità (quello che si poteva fare di meglio investendo altrove). Si può elettrificare tanto, ma non tutto. Farlo credere non aiuta la transizione, la ostacola.
Chi si accolla il rischio di capitale?
Ci si deve allontanare il più possibile dalle fonti fossili, ma petrolio, carbone e gas rimarranno centrali e decisivi nel mondo per svariati decenni. E, dunque, smettere di investirvi può essere pericoloso (altri choc) e controproducente. Le rinnovabili vanno sicuramente incentivate, ma i sussidi non possono trasformarsi in un sostegno occulto (e non meritato) al reddito degli imprenditori del settore. Gli investimenti in infrastrutture, fondamentali, sono l’aspetto più delicato e nascosto della transizione. Se sono destinati a finire nella bolletta degli utenti — che in parte si accollano, senza saperlo, il rischio di capitale degli azionisti — sarebbe utile saperlo e discuterlo per tempo. La trasparenza fa crescere la sensibilità ambientale e rende i cittadini più forti e consapevoli lungo la strada impervia della transizione energetica. L’inganno li rende sospettosi e refrattari.
Industria 5.0 e impatto
Oltre agli investimenti per la transizione previsti dal Pnrr e dal RepowerEu, ai finanziamenti della Bei, la Banca europea degli investimenti, e la miriade di sussidi e incentivi, un ruolo significativo lo avranno gli interventi privati. E la collaborazione tra privati e istituzioni pubbliche. Il passaggio più significativo degli ultimi giorni è quello della cosiddetta Industria 5.0, che sfrutta le risorse messe a disposizione dal progetto RepowerEu.
«Un’occasione straordinaria — spiega Fabrizio Pagani, advisor di Vitale&Co — perché può dare il là a una nuova stagione di investimenti delle aziende nell’innovazione e nell’efficientamento energetico. L’importante è che abbia procedure di attuazione semplici come Industria 4.0. Ed è cruciale che gli imprenditori preparino gli investimenti in tempi ravvicinati, la finestra di opportunità sarà limitata». Il criterio di fondo è quello di dimostrare l’impatto degli investimenti agevolati sul processo di transizione energetica. E qui sta il grande interrogativo. I soldi ci sono, ma li stiamo spendendo bene?
Sussidi e incentivi
I sussidi e gli incentivi alle rinnovabili sono costati 7,9 miliardi nel 2021 in base ai dati dell’Autorità Arera, soltanto per dare un «antipasto» di dati. E tra le varie agevolazioni fiscali, i soli impianti solari pagati dal Superbonus al 110% sono costati tre miliardi. Siamo consapevoli di quanto sarà il costo finale? Forse è il caso di chiederselo, anche perché una grande fetta finirà nelle nostre bollette o nel debito pubblico.
Gli obiettivi climatici, il «Net zero» previsto dalla Ue per il 2050 e la tappa intermedia al 2030 in cui dovremo ridurre le emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990, richiedono un’espansione enorme delle infrastrutture elettriche per adeguare le reti all’aumento della domanda. Questa è dovuta in gran parte all’elettrificazione dei consumi, tra colonnine di ricarica per le auto, pompe di calore per riscaldare e raffreddare le case e piani cottura a induzione e in parte minore di quelle per i gas green, ma anche un forte aumento della produzione di rinnovabili: 80 gigawatt di nuovi impianti in base al piano elaborato dal Mase, il ministero dell’Ambiente (il Pniec, Piano nazionale integrato energia e clima), e presentato a Bruxelles.
Le due voci di spesa
Le voci di spesa sono principalmente due: i costi per incentivare la produzione di rinnovabili e i costi per adeguare le reti di distribuzione e di trasmissione a ricevere e trasportare una quantità maggiore di energia prodotta in migliaia di punti sparsi sul territorio (oltre ai grandi parchi solari ed eolici industriali ci sono migliaia piccoli impianti dei cittadini produttori) e per potenziare le reti, perché ci saranno picchi di consumi molto più alti di quelli attuali. Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2a, il gruppo che gestisce tra l’altro la distribuzione elettrica di Milano, ha previsto che sarà necessario quasi raddoppiare la potenza della rete. Dice: «Oggi a Milano registriamo una potenza di picco sulla rete elettrica di 1,7 gigawatt, ma presto potremo avere una richiesta aggiuntiva fino a due-tre gigawatt». The Economist, che al tema delle grid ha dedicato diversi articoli nell’ultimo anno, ha citato una frase emblematica di Leonhard Birnbaum, amministratore delegato di E.on, principale operatore della rete elettrica tedesca: «Più transizione energetica, più affari per noi». Partiamo dalle infrastrutture.
Gli investimenti nella rete elettrica
Chiamata allo sforzo maggiore è Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione elettrica nazionale. Gli investimenti per le reti previsti nel piano industriale presentato il 19 marzo scorso ammontano al 2028 a 10,8 miliardi, che salgono a 21 miliardi in base al piano di sviluppo annunciato a marzo 2023. Oltre alla rete in alta e altissima tensione, per migliorare la saturazione delle connessioni, Terna ha previsto di creare una nuova rete di media-alta tensione a 36 kilovolt a cui dovranno allacciarsi i nuovi impianti rinnovabili e sistemi di accumuli tra 10 e 100 megawatt di potenza (la taglia più diffusa). Una rete che non c’è, ancora tutta da costruire.
«Infrastrutturare il Paese con un nuovo livello di tensione è una sfida immensa per gli obiettivi della transizione energetica», commenta Raffaello Teani, consigliere di Anie Energia, l’associazione aderente a Confindustria che rappresenta le aziende che producono, distribuiscono e installano apparecchiature, componenti e sistemi per la generazione, trasmissione, distribuzione, utilizzo e accumulo di energia elettrica.
Costi globali
Uno studio della Energy Transitions Commission, citato dall’Economist, calcola che ogni anno per adeguare le reti elettriche dovranno essere spesi 1,1 trilioni di dollari nel mondo per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette al 2050. Un contributo lo daranno anche i gas verdi, cioè idrogeno, biometano. Snam nel piano 2023-2027 investirà 6,5 miliardi nei business regolati che abilitano la transizione, di cui circa 420 milioni coperti da fondi Pnnr. Poi ci sono gli incentivi alle rinnovabili. Dal 2008 al 2022 sono stati erogati incentivi per oltre 141 miliardi, ha dichiarato in audizione alla Camera il 6 marzo scorso il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, a cui se ne aggiungeranno un’altra cinquantina per esaurire gli incentivi già previsti.
In arrivo nuovi incentivi
Pichetto Fratin ha confermato l’arrivo di altri meccanismi di incentivazione per i nuovi impianti green. Per l’agrivoltaico e le Comunità energetiche saranno destinati complessivamente e rispettivamente 600 milioni e 5,7 miliardi. Ma, soprattutto, ci saranno da promuovere le nuove tecnologie — eolico off shore (in mare aperto), solare floating (galleggiante), solari termodinamici, geotermoelettrici, biogas e biomasse — che saranno comprese in un decreto specifico, il cosiddetto Fer 2, su cui non sono stati forniti dati. Ma saranno incentivate anche le tecnologie come il solare e l’eolico a terra, com’è previsto da un decreto in dirittura d’arrivo (il cosiddetto Fer X), «per il quale è tuttavia prematuro a oggi fornire stime precise», ha dichiarato il ministro.
«Ma perché — chiede Chicco Testa, economista, già presidente tra l’altro di Assoambiente — le rinnovabili già efficienti e remunerative a mercato continueranno a essere incentivate? Ormai questo tipo di impianti si ripaga con un costo del megawattora inferiore». La lista della spesa comprenderà anche gli accumuli, cioè le batterie per immagazzinare l’energia green e utilizzarla quando il vento non soffierà e il sole non splenderà, per cui si ipotizzano oltre sei miliardi di incentivi.
Anche le reti di distribuzione su cui l’energia elettrica viaggia a livelli di tensione medi e bassi sono da potenziare. Complessivamente, sempre in base a quanto spiegato ai deputati durante l’audizione, si stimano investimenti in infrastrutture di rete per circa 37 miliardi.
Tutto finisce in bolletta
Chi paga? «I sussidi alla generazione elettrica da fonti rinnovabili e gli investimenti nelle reti di trasmissione e distribuzione elettrica finiscono in bolletta — spiega l’economista dell’energia Simona Benedettini — e trovano copertura, rispettivamente, negli oneri generali di sistema e nella spesa per il trasporto dell’energia elettrica e la gestione del contatore.
La gestione e lo sviluppo delle reti di trasmissione e distribuzione sono attività regolate. Questo significa che i costi operativi e d’investimento derivanti, prima di trovare copertura nelle bollette, devono essere soggetti a verifica e approvazione di Arera, l’Autorità di regolazione per Energia reti e ambiente».
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